C’è una storia, per molti bella, per altri inquietante, avvolta da un alone di cospirazione e confusione, della saga che ha preceduto il trasferimento di Alfredo Di Stéfano al Real Madrid. Ognuno riporta la propria versione, ma il succo della storia è che il generale Francisco Franco, il dittatore di estrema destra che ha governato la Spagna con il pugno di ferro dal 1936 al 1975, in qualche modo avrebbe cercato di utilizzare la sua influenza per sabotare il trasferimento del calciatore argentino al Barcellona.

Di Stéfano era all’epoca considerato uno dei prospetti più brillanti del calcio mondiale, e sia il Barcellona che il Real Madrid erano sulle tracce dell’argentino. La sua situazione era già un po’ contorta. Nonostante giocasse per i Millonarios, club colombiano, il suo precedente club, il River Plate, sosteneva che il trasferimento avesse violato il regolamento e di detenerne ancora il cartellino.

Pertanto, le trattative furono travagliate e si protrassero, anche prima che il Barcellona manifestasse il proprio interesse. Le circostanze che portarono l’attaccante a firmare alla fine per il Real Madrid, nonostante fosse destinato ad approdare in Catalogna (disputò anche in un’amichevole pre-campionato per il Blaugrana), sono certamente torbide e difficili da dipanare, ma le teorie cospirative convergevano tutte verso il coinvolgimento di Franco.

Alcune di queste teorie sono più plausibili di altre. La più sensazionalistica affermava che l’uomo che curò la gestione del trasferimento al Barcellona era in realtà sul libro paga di Francisco Franco, e si rese protagonista di errori deliberati nelle trattative per sgomberare il campo al Real Madrid. Una teoria un po’ più credibile, e che molti storici del calcio catalano sottoscrivono, è che le autorità franchiste approfittarono dello stallo tra Millonarios e Barcellona, esercitando pressioni sul club affinché recedesse dall’accordo e permettesse al Real Madrid di ingaggiare il giocatore.

Questa storia viene spesso utilizzata dai detrattori del Real Madrid – tra cui i presidenti che si sono succeduti alla guida del Barcellona – come prova dei legami tra il club della capitale e il regime franchista. Il Real Madrid è stato sempre identificato come la squadra del dittatore e si dice che beneficiasse di un trattamento preferenziale da parte del governo. Non mancano coloro che sostengono che il successo e la ricchezza dei Blancos in quel periodo fosse in qualche modo dovuto ai loro subdoli legami con il Generalísimo. Ci sono diversi motivi che hanno fatto acquisire consistenza a queste teorie, sebbene il ruolo di Barcellona nel perpetuare il mito non vada sottovalutato.

La storia dei legami del Real Madrid con Franco calza a pennello con i consueti discorsi in voga a Barcellona. Nella città catalana, i tifosi amano vedere il club della capitale come simbolo dell’ordine costituito e della Spagna conservatrice e centralizzata, mentre essi stessi simboleggiano la democrazia e l’indipendenza della Catalogna – i coraggiosissimi perdenti, che hanno avuto successo nonostante l’intensa persecuzione del regime.

Senza dubbio, club come il Barcelona e l’Athletic Club, che rappresentano rispettivamente la Catalogna e i Paesi Baschi, hanno sofferto durante il regime a causa delle richieste avanzate dalle loro regioni per il riconoscimento ufficiale dei loro dialetti, delle loro culture e delle loro identità individuali. La Spagna di Franco era fondata sulla centralizzazione e sull’omogeneizzazione etnica, culturale e linguistica, e chiunque la contestava veniva stanato.

Fu per questo motivo che nel 1941 l’Athletic Club fu costretto a modificare il proibito nome in Atlético Club. Franco aveva proibito l’uso di qualsiasi lingua che non fosse il Castellano, la lingua ufficiale spagnola, e Athletic è una parola basca. I Leones furono anche costretti ad abbandonare la politica che permetteva solo ai giocatori di origine basca di giocare per il club, pietra miliare della tradizione e del patrimonio del club.

Tornando al Barcellona, c’è una storia, anch’essa ricca di miti, che riassume il modo in cui i Blaugrana sono stati considerati e trattati dal regime. Si narra che, nel 1943, dopo aver vinto l’andata di una semifinale di Coppa del Re contro il Real Madrid per 3-0, i giocatori del Barcellona ricevettero la visita di uno degli amici di Franco, che ricordò loro che potevano scendere in campo solo grazie alla “generosità del regime” e suggerì loro, senza mezzi termini, di rilassarsi nella gara di ritorno. Il Real Madrid vinse quella partita per 11-1, di gran lunga la più grande vittoria nella storia di Clásico. Anche in questo caso, è difficile stabilire la linea di demarcazione tra fatti reali e romanzati, ma è difficile credere che un tale risultato sia stato del tutto naturale.

Inoltre, come l’Athletic Bilbao, il Barcellona fu costretto a modificare il proprio nome e gli fu ordinato di rimuovere la bandiera catalana dal suo stemma. Come racconta Franklin Foer nel suo libro Come il calcio spiega il mondo, quando le truppe di Franco, una volta conquistato il potere, entrarono in città, “tra quelli da punire c’erano in ordine: i comunisti, gli anarchici, i separatisti e il Barcellona Football Club. A tal punto che quando il suo esercito lanciò l’offensiva finale bombardarono il palazzo dove erano custoditi i trofei del club”. Il Barcellona fu costretto quindi a cambiare il proprio nome da “Barcellona Football Club” a “Club de Futbol Barcelona”.

In questo contesto di persecuzione per le squadre regionali, il trattamento del Real Madrid sarebbe potuto apparire preferenziale. Rispetto a squadre “scomode” come Barcellona e Bilbao, che implicitamente rifiutavano il regime e che Franco vedeva come una minaccia per l’identità nazionale spagnola, i Blancos simboleggiavano il potere della centralizzazione e della lingua e cultura spagnola tradizionale. Per sua stessa natura, un regime centralizzatore è fondato sul potere della sua capitale. Il regime franchista era centrato, politicamente ed economicamente, intorno a Madrid.

Per questo motivo, il Real Madrid, in quanto squadra di maggior successo della città e più prestigiosa squadra di identità interamente castigliana, è sempre stato la squadra preferita del dittatore. Fu per questo motivo che il Generalísimo si recò regolarmente a vedere la squadra negli anni ’50 e ’60, soprattutto nel periodo di maggior successo, quando, ispirato dal maestoso Di Stéfano, il Real vinse cinque Coppe dei Campioni consecutive tra il 1956 e il 1960. Tuttavia, l’idea che secondo cui il successo del Real sia dovuto principalmente al regime è assolutamente esagerata.

Il fatto che il Real Madrid fosse grande perché era la compagine nelle grazie di Franco è un luogo comune. La squadra era zeppa di fuoriclasse ed era la più forte in Europa. Il Real Madrid simboleggiava tutto ciò che Franco rappresentava: il potere di una Spagna centralizzata, il potere di Madrid e la forza dei valori tradizionali castigliani. Il Real Madrid rappresentava uno strumento diplomatico e politico a disposizione del dittatore. In primo luogo, il successo del club, in particolare sul palcoscenico europeo, rappresentava un’idea della Spagna molto lontana dalla percezione generale che gli opinionisti del Vecchio continente avevano.

 

Il regime di Franco, anche se principalmente rivolto verso la nazione, si preoccupava molto di come veniva percepito dal resto d’Europa. Il Real Madrid era lo strumento di propaganda perfetto, veicolando un’idea di una Spagna ricca, felice e unita, cosa che chiaramente cozzava con la realtà. In secondo luogo, il suo manifesto sostegno al Real Madrid poteva essere utilizzato implicitamente da Franco come una critica alla Catalogna e ai Paesi Baschi, aree che utilizzavano il calcio come mezzo per esprimere la loro identità culturale e linguistica e la loro insoddisfazione nei confronti del regime.

Il Barcellona e il Real Madrid, già allora, erano di gran lunga le squadre di maggior successo in Spagna. Ogni appoggio al Real Madrid, come Franco ben sapeva, costituiva anche un rifiuto nei confronti del Barcellona, e viceversa della Catalogna, il cui movimento separatista rappresentava di gran lunga la più grande minaccia all’unità nazionale spagnola agli occhi del dittatore. Ironia della sorte, anche se in origine l’apparente sostegno di Franco a Barcellona fu utilizzato in una certa misura per sminuire la città catalana e la squadra, i Blaugrana ora lo utilizzano per deridere e punzecchiare i rivali madrileni. È la massima espressione della dicotomia che i tifosi del Barcellona amano sottolineare: il ricco e conservatore Real Madrid di destra contro il Barcellona progressista, liberale e di sinistra.

Il regime franchista ha una connotazione talmente tossica nella Spagna democratica moderna che ogni illazione di associazione o, peggio ancora, di collaborazione con esso rappresenta un’accusa feroce. Inoltre, il Real Madrid, come il Manchester United in Inghilterra, è la squadra che i tifosi di altri club amano odiare, e i presunti legami con Francisco Franco rappresentano un modo per contestare i trofei del club, soprattutto quelli vinti quando il dittatore era in auge. Il mito del legame tra il Real Madrid e il regime franchista è senza dubbio esagerato. Questo non vuol dire che non ci sia nulla di vero – Franco si è in qualche modo allineato con il club – ma da qui ad affermare che il successo del Real in quegli anni sia dovuto a Francisco Franco ce ne corre. Si tratta comunque di un’influenza diversa rispetto a quella esercitata sul calcio da Mussolini in Italia e da Salazar in Portogallo.

Tornando alla storia di Di Stéfano, il regime può aver avuto un piccolo ruolo nelle vicende che hanno portato l’attaccante a scegliere il Bernabéu al posto del Camp Nou, ma è altamente improbabile che il suo coinvolgimento sia stato un fattore fondamentale. Dopo tutto, il governo si stava occupando di cose che reputava più importanti rispetto ad interferire sul calciomercato.

In definitiva, la storia può essere vista, più che altro, come un’altra sfaccettatura dell’acerrima rivalità politica che è sempre esistita tra Barcellona e Real Madrid, una rivalità che trascende il calcio e che si nutre di storie come queste per abbellire il suo ricco arazzo.

Vincenzo Di Maso