Non sono stati pochi i film comici che hanno caratterizzato un presidente o un allenatore. I più celebri sono stati “L’allenatore nel pallone” con protagonista Lino Banfi, “Il presidente del Borgorosso Football Club” con protagonista principale Alberto Sordi in qualità di presidente, e “Mezzo destro mezzo sinistro” con Leo Gullotta nella parte dell tecnico “Juan Carlos Fulgencio”.

Vujadin Boškov sembrerebbe un attore di un successo cinematografico. Chi segue poco il calcio, ma ha sentito parlare del tecnico dell’ex jugoslavia, magari lo identificherà con il protagonista di un film comico sul calcio.

Vujadin Boškov nacque il 16 maggio 1931 a Begeč, villaggio a pochi chilometri da Novi Sad, nella provincia di Vojvodina, all’epoca appartenente Jugoslavia (oggi fa parte della Serbia). Il tecnico jugoslavo è deceduto esattamente 8 anni fa, il 27 aprile 2014. Boškov è diventato celebre, più ancora che per la sua “prima vita” da centrocampista o per le abilità da allenatore, per le arguzie verbali tanto amate dal giornalismo sportivo. L’arguzia di questo tecnico jugoslavo è stata la munizione di pregio nel suo arsenale. La sua saggezza, più orientale che balcanica (alcune frasi sembravano uscite dalla bocca di un maestro zen), incastrata nel celebre quanto proverbiale “è rigore quando arbitro fischia”, è entrata nel cuore degli appassionati.

Da calciatore è stato un centrocampista di tutto rispetto, che ha vestito le maglie di Vojvodina, Sampdoria e Young Boys. Tuttavia, Boškov ha scritto da allenatore e “oratore” le pagine più belle della sua vita calcistica. Guidò Young Boys, Vojvodina, Jugoslavia, Den Haag, Feyenoord, Saragozza, Real Madrid, Sporting Gijon, Ascoli, Sampdoria, Roma, Napoli, Servette, nuovamente Sampdoria, Perugia e, infine, accettò una seconda esperienza da CT della Jugoslavia.

A Vojvodina “zio Vujadin” è ricordato così…

Il calcio era per lui una religione, in una ex Jugoslavia che combatteva in campo anche per Tito, il dittatore jugoslavo. La carriera del “Vujke” calciatore era l’esemplificazione della vita da mediano, iniziata con quella che considerava il suo primo amore, la squadra del Vojvodina. «Io non ho mai tradito Vojvodina», ha ripetuto sempre davanti agli occhi innamorati della moglie Jelena, con cui è stato legato tutta la vita. I due hanno trascorso mezzo secolo insieme, cambiando città, case – acquistandone sette – nelle varie esperienze calcistiche in una vita da autentico nomade del calcio.  A tal riguardo, Gianni Brera lo definì: «L’astuto zingaro di Vojvodina». E non ne ha mai ricevuto una smorfia di dissenso. Boškov  era per gli italiani, senza doppi sensi, “lo zingaro”.

Boškov era un predestinato del pallone: a soli 17 anni giocò la prima partita con la nazionale jugoslava e, a fine carriera, collezionò 57 partite ufficiali, ricordando con orgoglio: «Non sono mancato un minuto». Fiero spirito serbo, ma sempre di una correttezza e una lealtà esemplari. «Mai preso un cartellino giallo da calciatore».

Boškov riuscì a non cedere alle lusinghe dei capi della nomenklatura, che lo proposero alle squadre migliori del Paese, vale a dire Stella Rossa e Partizan Belgrado. Quando fu ospite alla mensa di Mao Tse-tung nel 1955, affermò con fierezza: «Fudbal je fudbal, politika je politica», ovvero “Il calcio è il calcio, la politica è la politica”.

«Ci misero benda e portarono in un luogo segreto. Tolta benda eravamo a cena con Mao Tse-tung. Ma la sorpresa vera fu il giorno dopo: ci dissero che avevamo mangiato polpette… di cane».

Oltre a poter essere il protagonista di uno dei film cult sul calcio, Vudajin Boškov sarebbe potuto essere anche un narratore calcistico da bestseller. La sua narrazione delle storie era degna dei grandi scrittori sudamericani, alla quale aggiungeva una dose di ironia della tradizione balcanica, di cui è stato un maestro impareggiabile.

Boškov è noto per aver portato la Sampdoria allo scudetto da allenatore. Eppure ha giocato in blucerchiato nella stagione 1960/1961. Come in URSS, anche in Jugoslavia era fatto divieto ai calciatori di espatriare prima dei 29 anni. Alla Sampdoria Boškov indossò la maglia numero 7, giocando però solo 13 partite, condite da una rete, a causa di problemi fisici che lo tormentarono.

Boškov con Rozzi

Il Boškov allenatore

Boškov è una delle icone non solo del calcio italiano ma di quello mondiale, esemplificazione perfetta delle qualità che deve possedere un tecnico straniero per entrare nel cuore degli appassionati del Bel Paese e delle tante patrie calcistiche che ne compongono il mosaico.

Prima di allenare in Italia, tra le altre squadre, ha allenato il Real Madrid. Con le Merengues conquistò una Liga e una Coppa del Re, allenando calciatori celebri come Santillana e Juanito. Il suo adepto principale è stato un allenatore che qualche trofeo importante lo ha vinto… Parliamo di Vicente Del Bosque che non ha mai dimenticato il suo padre putativo.

«Tutto quello che ho fatto lo devo a Vujadin, l’uomo del rinascimento del calcio». 

“Infagottato” nel suo impermeabile chiaro, con sguardo sveglio e battuta pronta, Vujadin Boškov è stato il tenente Colombo o l’Humphrey Bogart del calcio italiano. Era geniale, intelligente, scaltro e arguto. In Italia ha iniziato riuscendo a salvare l’Ascoli del presidentissimo Rozzi. Dopo due stagioni allo Sporting Gijon accettò la chiamata di Italo Allodi che lo volle alla Juve. Boniperti decise però di parcheggiarlo ad Ascoli. Il presidentissimo Costantino Rozzi, esonerato Carletto Mazzone, prima convinse Boskov nell’impresa disperata di salvare l’Ascoli e poi rimanere in carica anche l’anno successivo. Il legame con il pubblico del Del Luca era viscerale e i tifosi lo definivano così: «Ascolano o con piedi sottoterra o con piedi sopra cielo, mai ascolano con piedi sulla terra».

Dopo la sua avventura all’Ascoli la Juve cambiò idea. Narra la leggenda che l’Avvocato disattese le promesse di Allodi e Boniperti, mettendo il veto sull’ingaggio di Boškov perché era considerato comunista. 

A quel punto accettò la corte della Sampdoria dell’ambizioso presidente Paolo Mantovani, al quale si presentò a modo suo.

«Squadra è come pianta: devi piantare semi, curare, annaffiare. Io dovere ancora piantare semi e tu volere vedere pianta adesso? Impossibile».

Boškov con Mantovani

Paolo Mantovani aveva ingaggiato il tecnico jugoslavo non per partecipare, ma per vincere. E l’impresa che secondo molti era impossibile diventò reale. Nel 1990-1991 la Sampdoria conquistò lo scudetto. Boškov diede i meriti principali di quel trionfo al suo centravanti principe, il suo pupillo: «Date palla a Gianluca Vialli e poi corrette ad abbracciarlo». Quel Gianluca Vialli che, prima di Gullit, definì «come cervo che esce di foresta». Zio Vujadin è stato il tecnico più amato nella storia della Sampdoria. Eppure non scappò all’iconoclastia di alcuni detrattori, che affemavano che la formazione era decisa a tavolino dalla triade Vialli-Vierchowod-Mancini. Considerati il carisma e la personalità di Boškov, da “figlio di buona donna”, è facile pensare che semplicemente il tecnico jugoslavo teneva in dovuta considerazione i suggerimenti.

«Ascoltavo e dicevo a tutti “sì… hai ragione”, poi però formazione decidevo con mia testa», confessò Boškov.

Celebre l’aneddoto su Vialli:

«Gianluca era uno che non voleva avere controlli. Giocava bene, in area era spietato, ma fuori campo era uno a cui piaceva uscire e fare serate. Le regole per lui non esistevano. Un giorno prima di un Milan -Sampdoria, lo trovai a fumare vicino sua macchina. Gli dissi: ‘Gianluca, tu puoi fumare quando vuoi, non c’è problema, a me non dà fastidio. Ma ricordati, se vengo a sapere che la notte vai in giro, ti faccio pentire di essere arrivato qui alla Samp. Diventerò tuo incubo.’ Lui, mi promise che se ne sarebbe stato buono. La sera andai sotto casa di Gianluca, e mi fermai li per 4-5 ore buone. Verso mezzanotte, vidi uscire lui con una ragazza. Senza farmi vedere, accesi i fari della macchina accecandoli entrambi. A quel punto, scesi, presi Gianluca per un orecchio e lo trascinai sopra fino a casa… In quanto alla ragazza, la invitai a salire in macchina e la portai a casa sua, dicendogli di lasciar perdere quel ragazzo perché l’avrebbe solo usata. Lei mi ringraziò e andò via. Sono stato sempre un signore con le donne…»

La Sampdoria scudettata nel 1990/1991

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Gianni Brera lo ha ricordato così.

«Io non conosco Boskov. So da un mio amico olandese che dice di avere allenato l’Ajax: ma non la favolosa squadra dei lancieri; è un Ajax che sta a quello vero come la Juventus Domo alla Juventus. Di balle ne contiamo tutti secondo convenienza e umori. È vero però che Boskov ha allenato il Real e che nell’Ascoli ha fatto così bene da indurre Mantovani ad assumerlo per la Samp. Qui ha navigato da sornione, mai facendo la figura del ciolla. Si è sovente adeguato secondo astuzia e adesso risulta che i suoi giocatori non vogliono se ne vada. Io l’ho criticato perché non portava la sua gente fuori dal mollime mediterraneo e spiegavo con la dannosa permanenza a Bogliasco le ricorrenti magre della Samp».

Dopo la Samp, con la quale conquistò anche una Coppa delle coppe, una Coppa Italia e una Supercoppa italiana, Boškov passò alla Roma, dove lanciò un certo Francesco Totti, che fece debuttare quando il “Pupone” aveva solo 16 anni, il 28 marzo del ’93.

Dopo la Roma, decise di accettare la corte di Ferlaino al Napoli («bella città ma tutti parlano solo di Maradona»). I fasti degli scudetti, nonostante fossero recenti, sembravano lontani anni luce. La squadra disputò stagioni dignitose, nelle quali Boškov lanciò il compianto Carmelo Imbriani.

Dopo Napoli, trovò l’accordo con il Perugia di Gaucci, che salvò, ma fu poi mandato via per “insubordinazione”. D’altronde reputava la riconoscenza «come mucca di Bosnia: prima abbiamo riempito secchio di latte e poi gli abbiamo dato un calcio». Boškov concluse la sua carriera da allenatore nel 2001 da CT della Jugoslavia. Al suo commiato con il mondo del calcio, disse alla moglie Jelena: «Allenatori sono come le gonne: un anno vanno di moda le mini, l’anno dopo le metti nell’armadio».

Boškov e alcune delle sue frasi celebri

  • “Benny Carbone con le sue finte disorienta avversari ma pure compagni”.
  • “Gullit è come cervo che esce di foresta” (quando l’olandese andò via dalla Samp)
  • “Gullit è come cervo ritornato in foresta” (quando l’olandese tornò)
  • “Rigore è quando arbitra fischia”.
  • “Chi ha sbagliato? Pagliuca?”.
  • “Ci sono allenatori che pretendono di far mangiare ai loro giocatori prosciutto di San Daniele e formaggio Bel Paese. Poveri noi e poveri loro”.
  • “Gli allenatori sono come i cantanti lirici. Sono molti e anche bravi, ma soltanto due o tre possono cantare alla scala di Milano”.
  • “Gli allenatori sono come le gonne: un anno vanno di moda le mini, l’anno dopo le metti nell’armadio”.
  • “Se io sciolgo il mio cane, lui gioca meglio di Perdomo” (riferendosi al centrocampista del Genoa).
  • “Io non dire che Perdomo giocare come mio cane. Io dire che lui potere giocare a calcio solo in parco di mia villa con mio cane”.
  • “La zona? Un brocco resta brocco anche se gioca a zona. Dov’è lo spettacolo?”.
  • “Io penso che tua testa buona solo per tenere cappello”.
  • “Non ho bisogno di fare la dieta. Ogni volta che entro a Marassi perdo tre chili”,
  • “Più bravi di Boskov sono quelli che stanno sopra di lui in classifica”.
  • “Se mettessi in fila tutte le panchine che ho occupato, potrei camminare chilometri senza toccare terra”.
  • “Un grande giocatore vede autostrade dove altri solo sentieri”.
  • ” Io penso che per segnare bisogna tirare in porta”.
  • ” Meglio perdere una partita 6-0 che sei partite 1-0″.
  • ” In campo sembravamo turisti. Con la differenza che per entrare allo stadio non abbiamo pagato il biglietto”.