Il masochismo del Napoli l’ha portato all’autodistruzione

Dentro NapoliRoma si sono mescolati stati d’animo capaci di trasmettere l’immagine primordiale di due squadre al momento agli antipodi. Da un lato, gli azzurri, che hanno speso l’intera annata perdendo progressivamente, ma con disarmante puntualità, forza e convinzione nei propri mezzi. Evidente che qualcosa si sia rotto dalle parti di Castelvolturno, generando un’astratta nostalgia per un titolo mai vissuto davvero fino in fondo. Come se il destino di un gruppo oltraggiosamente dominante dovesse compiersi nell’arco di un solo campionato, al pari di quei motori avveniristici portati agli estremi delle loro possibilità. Ergo, destinati inevitabilmente a bruciarsi.

Con cinismo disarmante, circolano le voci più disparate sui reali motivi alla base del fallimento post scudetto. Al punto che all’ombra del Vesuvio storia e fantasia si sono mischiate, per giustificare il vuoto che s’è spalancato sul presente e sul futuro della squadra partenopea. Che sembra addirittura vicina a raggiungere un punto di non ritorno. Dall’altro, i capitolini, in grado di sacrificare un totem del calibro di Mourinho, ormai insostenibile per l’ambiente. Nonostante lo Special One ne avesse alimentato una (presunta…) grandeur. Riscoprendo con De Rossi in panchina la voglia di correre e faticare. Restituendo dunque nuova vita ai giallorossi, oltre che un senso tattico maggiormente equilibrato. E facendogli scalare in maniera prepotente la classifica.  

Napoli, identità contrastanti

Attualmente, dal punto di vista del rendimento dei singoli, il Napoli è sicuramente impoverito. Tecnicamente, senza punti di riferimento. Troppo fragile per resistere alle onde negative di una stagione programmata male e gestita peggio. In termini di intese di gioco, desolante il funzionamento della squadra, che veicola in tifosi e addetti ai lavori una sgradevole sensazione di decadenza. Gli uomini di Calzona, però, in certe condizioni, riescono a ribaltare l’ordine naturale delle cose. Accantonando momentaneamente l’impressione che aspettino solamente la fine di un campionato straziante. Insomma, un lungo e snervante esercizio di attesa. Talvolta però assumono un approccio eroico, esaltandosi nella sofferenza. E giocano un match manifesto della identità con cui chi indossa gli abiti della sfavorita deve scendere in campo.

Ovviamente, i padroni di casa hanno fatto quello per cui sono balzati agli onori della cronaca per tutto l’anno, ricadendo negli errori di sempre. Cioè non smentire sé stessi, a un passo della crisi di nervi generata dalla più fosca delle previsioni in tema di amnesie difensive. Che hanno controbilanciato una fase di possesso a tratti bella ed efficace. Durante la risalita dal basso, infatti, la squadra partenopea si disponeva con una sorta di 3-2-4-1, al punto da mandare in zone più interne Di Lorenzo. Come se stretto vicino a Lobotka, fosse veramente un centrocampista. Olivera più bloccato e Kvaratskhelia a garantire l’ampiezza a sinistra.

Gli azzurri hanno dovuto affrontare e risolvere i soliti problemi di staticità nella fase offensiva, poiché mancando il dinamismo di una mezzala come Zielinski, l’unica idea plausibile per smuovere la Roma era isolare Politano e Kvara, sperando che dalle loro iniziative partisse la scintilla. Per disordinare il piano gara predisposto da De Rossi, era proprio Anguissa ad assumersi maggiori responsabilità, strappando in conduzione o inserendosi senza palla. Portando un pò di scompiglio tra le linee.    

L’indole orientata maggiormente verso l’interno del capitano serviva anche ad accorciare nel mezzo spazio centrale su Pellegrini. Un atteggiamento tattico che obbligava i giallorossi a stimolare Azmoun attraverso il lancio sulla fascia destra dei padroni di casa. Da quel lato si alzava Politano su Spinazzola. Con la conseguenza che alle spalle dell’ex Sassuolo non c’era nessuno a dare copertura. Scenario nel quale al centravanti iraniano veniva chiesto di muoversi molto, per non dare riferimenti fissi. Rispetto al derby di Europa League con il Milan, invece, De Rossi ha accantonato il 4-4-2, una eccellente intuizione tattica scelta sostanzialmente per limitare la catena mancina dei rossoneri. Schierando El Shaarawy sulla fascia destra, fuori dalla sua zona di comfort. Sistemandosi con un netto 4-3-3, in cui il “Faraone” rimaneva aperto a destra, mentre Dybala aveva libertà totale di abbassarsi al centro.

Osimhen indiavolato

Un altro pattern esplorato con frequenza dal Napoli è il movimento in verticale con cui un ispiratissimo Osimhen, si smarcava dietro la mediana degli ospiti. Parte tutto da una giocata “a parete”, con il nigeriano che riceve spalle alla porta direttamente da Meret oppure dai difensori, totalmente liberi di alzare la testa, in situazione di palla scoperta. E poi appoggia ai compagni che giungono a rimorchio.

Nel frattempo, il centravanti si sfila in diagonale, portandosi via l’uomo, pronto a ricevere la verticalizzazione lungo linea e dopo resistere alla pressione, tenendo il pallone e facendo progredire la manovra. A quel punto, ai centrocampisti di Calzona bastava imbucare, per fare danni: Victor aggrediva la profondità, aprendo una traccia pulita, così da offrire un canale tutt’altro che casuale dove stimolare la linea di passaggio. Effettivamente l’allenatore ha adottato scelte offensive radicali per sfruttare la proverbiale abilità dei suoi uomini nel manipolare la disposizione sottopalla della Roma, esplorando zone di campo alternative alla classica verticalizzazione centrale. Creando situazioni di parità numerica tra il suo centravanti e N’Dicka.  

Il dato preoccupante è che mentre sul piano offensivo certe giocate vengono eseguite di default, quando tocca difendersi si spalancano voragini davanti agli avversari. Che ricavano occasioni nitidissime per battere a rete. In questo scenario da tragedia calcistica, quindi, il Napoli ha confermato come peggio non avrebbe potuto una disarmante fragilità difensiva. Un’indole quasi masochistica, che ha finito per affossare pure l’ultimo barlume di speranza. Ovvero la prospettiva di rimanere agganciato almeno al treno della Conference League. E pensare che i tre punti contro la Roma potevano improvvisamente far prendere una piega positiva a una stagione finora assai meschina, quasi ai limiti dell’autodistruzione.

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