Esattamente 29 anni fa, il 18 maggio 1994, il Milan di Capello strapazzò il Barcellona per 4-0, vincendo la Champions League. Erano gli anni d’oro del calcio italiano, quando il Belpaese era l’ombelico del mondo. Basti pensare che esattamente quattro anni prima, guarda caso il 18 maggio 1990, l’Italia aveva fatto l’en plein nelle tre coppe. In quegli anni il Napoli vinceva la Coppa UEFA, il Parma la Coppa delle Coppe, mentre Torino e Atalanta raggiungevano le semifinali di Coppa UEFA.

Il Milan aveva vinto la Coppa Campioni quattro anni prima ed era rimasto sempre tra le più forti d’Europa. Il ciclo Sacchi era terminato, ma con Capello la forza rossonera non accennava a placarsi. Eppure, non sappiamo in base a quale critero, il Barcellona arrivava ad Atene con i favoriti del pronostico. I tifosi blaugrana che stendevano striscioni in onore di “Koeman el canonero“, “Romario el Pichichi“, e “Stoichkov la Garra”.

Analizziamo innanzitutto le squadre scese in campo nella finale di Atene.

Milan: Rossi; Tassotti, Galli, Maldini (Nava – 84′), Panucci; Albertini, Desailly, Donadoni, Boban; Savicevic, Massaro.

Barcellona: Zubizarreta, Ferrer, Nadal, Koeman, Sergi (Estebaranz – 73′); Guardiola, Bakero, Amor; Romario, Stoichkov, Begiristain (Eusebio – 51′).

Innanzitutto potevano scendere in campo solo tre stranieri. Cruyff fu costretto a rinunciare a Michael Laudrup. L’attacco dei Blaugrana era spumeggiante, Ronald Koeman era devastante a livello offensivo (in quella stagione segnò 19 gol), mentre in difesa era decisamente in fase calante.

Il problema della squadra Blaugrana era dato proprio dagli spagnoli. Erano quasi tutti nazionali, alcuni dei quali titolari, ma non stiamo certo parlando del blocco della nazionale spagnola del 2010. Guardiola, per quanto un eccellente centrocampista, non era Xavi. Bakero e Amor non erano Busquets e Iniesta. Begiristain non era Eto’o o Villa. E Zubizarreta era un anello debole, come visto in quella finale.

Dal canto suo il Milan, era orfano di Baresi e Costacurta, ma la squadra era spaventosamente forte in altri ruoli. Tassotti era un calciatore dotato di grandissime esperienza e qualità difensiva, in quella partita fu impeccabile. Filippo Galli aveva appreso tanto da un maestro come Franco Baresi e non era titolare solo perché quel Milan poteva vantare una delle coppie più forti e affiatate di tutti i tempi. E Galli in marcatura aveva poco da invidiare a chiunque. Al centro Maldini era un leader e fuoriclasse comunque. E poi a sinistra giocava un calciatore in rampa di lancio come Christian Panucci.

Tassotti, incubo degli spagnoli

Il centrocampo poteva beneficiare delle geometrie di Albertini, della forza e della progressione di Desailly, Donadoni era definito da Platini “il miglior calciatore italiano degli anni ’90”, mentre Boban era uno dei tanti esponenti della florida scuola dell’ex Jugoslavia, composta da elementi con classe da vendere. Savicevic aveva vinto la Coppa Campioni da protagonista con la Stella Rossa e aveva poco da invidiare a un asso come Stoichkov, mentre Massaro era un bomber affidabile.

Perché allora la critica assegnava i favori del pronostico al Barcellona? In primis, Cruyff era reputato troppo più esperto e navigato rispetto a Capello per farsi incartare dal tecnico friulano. L’assenza di Baresi e Costacurta era reputata troppo grave e la stampa non dava credito alla coppia formata da Maldini e Galli, praticamente inedita. Proprio per questo motivo, il mismatch veniva reputato troppo evidente. Chi scrive seguì quella partita e, alla vigilia, era invece convinto della performance difensiva dei rossoneri.

C’è da rimarcare il solito discorso. Non si parla solo di difensori, ma di “fase difensiva”. Il Milan dominò la partita, non facendo respirare il centrocampo rossonero. Stoichkov e Romario crearono pericoli, ma in numero decisamente inferiore a quanto pronosticabile. Eppure non mancarono gli interventi di Maldini, Tassotti e Galli da ultimi baluardi, a dimostrazione del fatto che si trattava di calciatori di tutto rispetto e abituati a certi palcoscenici.

Fabio Capello rimarca che la vittoria fu ottenuta a centrocampo. Il Barcellona fu vittima dell’arroganza di Cruyff, che in quella partita non ci capì davvero nulla.

«Capisco le preoccupazioni dei rossoneri – dichiarò alla vigilia – però bisogna ammettere che il nostro attacco è devastante. Noi abbiamo preso una stella come Romario, il Milan un operaio del pallone senza tecnica calcistica come Desailly».

Romario irretito e asfissiato dai rossoneri

E fu proprio Desailly una delle chiavi del dominio rossonero. Tra i due reparti nevralgici c’era un abisso a favore dei rossoneri, già a livello qualitativo e quantitativo, come spiegato sopra. Capello era anni avanti e quella vittoria fu un connubio di tecnica, tattica e fisicità. Il franco-ghanese funse da frangiflutti, svolgendo un lavoro encomiabile davanti alla difesa, dominando fisicamente gli avversari. In più, Desailly trovò la gloria personale segnando il 4-0. Capello sfruttò i punti deboli della squadra di Cruyff, infoltendo il centrocampo e dominando dal punto di vista atletico. Gli spauracchi Romario e Stoichkov furono annullati grazie a una fase difensiva attenta, con il contributo anche di un Maldini sempre attento alle diagonali.

Capello rimarcò l’errore di Cruyff, il quale decise di puntare su Koeman come terzo straniero, invece di scegliere Laudrup. Secondo l’allora tecnico del Milan, il danese avrebbe creato decisamente maggiori grattacapi, formando un tridente devastante con Romario e Stoichkov. Capello ha poi affermato che quando vide in campo Koeman si sentì tranquillo. L’olandese non era un asso come difensore e in quella partita vennero fuori tutte le sue pecche.

Il Milan, forte del predominio a centrocampo, fu premiato al minuto 22 e nel primo tempo attaccò senza soluzioni di continuità. Massaro era un finalizzatore, i cui movimenti furono premiati dal lavoro dei compagni. E da quella partita uscì fuori il “genio” di Dejan Savicevic.

«Alla vigilia della partita Cruyff ci ha caricato perché ha parlato sempre male della filosofia e del gioco del Milan. I suoi paragoni suoi giornali e nei servizi ci hanno dato tanta carica prima della partita. Penso ci abbia sottovalutato».

Il Cruyff di quegli anni dimostrò di non essere al passo con i tempi, era monotematico e poco attento ai dettagli. Il centrocampo era sfilacciato e non riuscì a capire le mosse tattiche di Capello. Il gap nel reparto nevralgico era evidente a favore dei rossoneri, ma quel Barcellona servì al Milan la vittoria su un piatto d’argento.

Savicevic era l’unico calciatore non incastonato nella rigidità tattica di Capello e fu proprio la sua libertà a mettere a fuoco e fiamme la modesta difesa Blaugrana. Il montenegrino, l’unico avulso dallo schema tattico, si mosse su tutto il fronte offensivo, facendo il bello e il cattivo tempo.

Non era certo un catenaccio all’italiana quello impostato da Capello. Quella sera, il tecnico del Milan proiettò il calcio in un’altra dimensione a livello tecnico-tattico. Il Milan asfissiò il Barcellona grazie a un pressing alto, efficace e coeso. La squadra era corta, raccolta e in perfetta armonia. Gli avanti Blaugrana rimasero prigionieri del loro ego e, nelle rare offensive, furono ben controllati dalla coppia di centrali.

Al capolavoro di Capello fece da contraltare il disastro tattico di Cruyff. Stoichkov e Romario non rientravano, Guardiola non fu aiutato e fu asfissiato da Desailly. I terzini si trovavano sempre in inferiorità numerica, così come i centrali. Amor e Bakero, di certo non calciatori di altissimo livello, furono irretiti e assisttono impotenti alle avanzate della linea nevralgica compatta dei rossoneri.

Se il primo tempo fu contraddistinto dalla solidità, dalla velocità e dalla compattezza di quel Milan, nella ripresa assistemmo a quel lampo di Genio di Savicevic, che salì in cattedra mettendosi in proprio. Qual è la parte più bella di quel gol? Probabilmente la precisione con cui quel pallonetto telecomandato si depositò nell’unico angolo possibile alle spalle di Zubizarreta. Eppure sono notevoli anche il tempismo con cui riuscì a rubare palla e l’esatto momento in cui decise di tirare. Come nel gol di Zidane in finale contro il Bayer Leverkusen, la fenomenologia capolavoro del Genio di Titograd parte dalla coordinazione e finisce con l’impatto con la parte del piede (nel suo caso il piatto sinistro) perfetta per poter disegnare una traiettoria così poetica.

A completare il quadro, ci penso quell’«operaio del pallone senza tecnica calcistica» che rispondeva al nome di Marcel Desailly. Uno che qualche anno dopo sarebbe diventato campione del mondo con la Francia e, arretrando la sua posizione, sarebbe stato considerato anche uno dei migliori difensori al mondo. Il gol del 4-0 fu apoteosì rossonera e fece calare il sipario sul calcio di Cruyff, che era rimasto oramai indietro.

La gioia di Desailly dopo il gol del 4-0

A fine partita Bruno Pizzul sentenziò: «Un’ulteriore testimonianza che il calcio è uno sport molto rigoroso, difficile, fatto non di chiacchiere ma di concentrazione, di umiltà. Quella che è sicuramente mancata al Barcellona». E, considerato che quel Barcellona era anni luce da quello devastante di Guardiola, Cruyff non poteva certo permettersi di mancare di umiltà…