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Il 23 marzo del 1980 l’Italia fu sconvolta da uno scandalo, noto come Totonero, che si abbatté sul mondo del calcio. Dodici calciatori vennero arrestati. Tra loro figurarono i laziali Bruno Giordano, Lionello Manfredonia e Giuseppe Wilson e i milanisti Enrico Albertosi e Giorgio Morini, insieme al loro presidente, Felice Colombo.

Il 18 maggio 1980 le condanne definitive. Il Milan fu retrocesso in Serie B. Furono radiati gli estremi difensori Cacciatori e Albertosi. Paolo Rossi fu squalificato per tre anni, Giordano e Manfredonia per 21 mesi.

A inizio marzo Repubblica uscì con un articolo che tirava in ballo il calciatore della Lazio Maurizio Montesi. Quest’ultimo era ricoverato in ospedale per la frattura di una gamba. Montesi dichiarò di aver finto un infortunio per non disputare Milan-Lazio del 6 gennaio. Questo perché un compagno di squadra, definito “influente”, gli aveva offerto 6 milioni del vecchio conio per non giocarla. Quel calciatore era Pino Wilson.

Quando fu uno dei nomi inseriti nell’inchiesta del Totonero, Paolo Rossi ebbe le stesse sensazioni di Gregor Samsa nella Metamorfosi di Kafka. I tifosi, giustizialisti per natura, lo avevano visto come un “traditore della patria”. Nella primavera 1980, il fruttivendolo Massimo Cruciani, noto scommettitore all’epoca, fece un’esposto alla magistratura e furono chiamati in causa 27 calciatori, accusati di aver truccato partite.

Essendo il calciatore più famoso, l’immagine di Paolo Rossi fu lanciata in copertina a seguito dello scoppio dello scandalo. Nel luglio del 1980, Rossi fu condannato a due anni di squalifica. La partita incriminata era Avellino-Perugia, finita 2-2, tra l’altro con una sua doppietta. I commenti della gente non si fecero attendere: “Chi se lo aspettava da Paolo Rossi, un così bravo ragazzo. E poi che gli fregava di due milioni e due gol in più?”.

Nelle idee di molti Paolo Rossi è assolutamente innocente. Il calciatore ha ricordato gli episodi, confermando di ritrovarsi in una situazione kafkiana. “Sto giocando coi compagni quando arriva Della Martira e mi dice: “Paolo, vieni un attimo che ti presento qualcuno”. Mi alzo e penso ai soliti tifosi, con Della Martira ci sono Crociani, Cruciani, come si chiamava? e un altro tipo (Bartolucci, amico di Cruciani, ndr.). Il mio compagno mi dice: “Sai, L’Avellino sarebbe d’accordo per pareggiare”. Io gli rispondo: “Cosa vuoi che ti dica, poi ne parliamo con la squadra”.

Paolo Rossi in occasione dei processi nell’indagine sul calcioscommesse

Al processo, Cruciani dichiarò che Rossi aveva accettato, a condizione che segnasse due reti. E che poi divise con altri calciatori l’assegno da otto milioni. Bartolucci confermò il colloquio, prima di ritrattare. In un incontro faccia a faccia con il fruttivendolo Cruciani, Rossi parlò di “incontro durato pochi secondi”, giusto il tempo di infastidirsi e andarsene seccato, non prima di aver rimproverato Della Martira di avergli “presentato dei balordi”.

Il processo penale si concluse con un nulla di fatto, mentre quello sportivo fu un bagno di sangue. Vennero squalificati ben 18 calciatori. Tra essi figurarono Enrico Albertosi (4 anni), Giuseppe Wilson, Bruno Giordano e Lionello Manfredonia (3 anni il primo, 3 anni e 6 mesi gli altri due), Paolo Rossi (2 anni), Giuseppe Savoldi (3 anni e 6 mesi) e Franco Colomba (3 mesi). Il Milan fu, appunto, mandato in Serie B.

La squalifica non rappresentò una pietra tombale per la carriera di Paolo Rossi, ma il meglio doveva ancora venire. Nel 1981, a un anno dalla fine della squalifica (nel frattempo ridotta da 3 a 2 anni), Rossi fu riacquistato dalla Juve, la squadra che lo aveva lanciato nel grande calcio. «Boniperti mi chiamò: “Verrai con noi in ritiro, ti allenerai con gli altri, anzi più degli altri”. Mi sono sentito di nuovo calciatore. La lettera di convocazione adesso farebbe ridere. Diceva di presentarsi con i capelli corti, indicava cosa mangiare e cosa bere. Boniperti era un mago in queste cose. Quando arrivai mi disse: “Paolo, se ti sposi è meglio, così sei più tranquillo». E, di fatto, Rossi si sposò.

Nel maggio 1982, a due anni dalla squalifica, Trapattoni mise in campo Paolo Rossi nel match contro l’Udinese. L’allenatore lombardo affermò soddisfatto: “È quello di un tempo”. E Bearzot non esitò a convocarlo. Quattro anni prima, la sua ascesa mondiale si era fermata alla soglia del jackpot. Il contesto, come noto, era surreale visti gli scabrosi scandali poi emersi circa la dittatura argentina. In terra iberica, l’ambiente trovato fu diverso. Quell’Italia riuscì incredibilmente a trasformare i fischi in applausi.

Pablito era stato la punta di diamante della Nazionale di Bearzot sul Rio de la Plata. Calcisticamente e fuori dai campi di gioco era passato un oceano in quel quadriennio, eppure ai Mondiali nulla sembrava essere cambiato. Per la serie “Il meglio deve ancora venire”. Quella scelta di Bearzot di convocare Paolo Rossi fu oggetto di iconoclastia e invettiva. Le critiche si esacerbarono a seguito del pessimo girone disputato dagli azzurri, che superarono il turno non senza una forte dose di fortuna. Il resto è storia… Una storia straordinaria per Rossi e la nostra nazionale, una storia piena di macchie e vergogna per il calcio italiano quella del Totonero.