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Il Napoli mette a referto l’undicesima vittoria consecutiva tra campionato e Champions, battendo di misura la Roma all’Olimpico. La squadra di Spalletti si staglia, da sola, in testa alla classifica con tre punti di vantaggio sul Milan grazie a Osimhen che, con una prodezza, decide una gara ruvida, spigolosa e povera di reali occasioni da gol.

Spalletti e Mourinho, rivali agguerriti al netto delle frasi di circostanza in conferenza stampa, ingaggiano un duello tattico senza quartiere. Le filosofie dei due tecnici, agli antipodi, partoriscono un paradossale annullamento delle forze in campo e delle fonti di gioco di ambedue le squadre. Se Spalletti infatti individua in Pellegrini il fulcro del gioco giallorosso, Mourinho riesce nell’intento di “spegnere” Kvaratskhelia.

Lo spartito di gioco è ben visibile sin dalle prime battute con il Napoli proiettato in pressione altissima e la Roma attenta a non concedere il minimo spiraglio all’attacco atomico dei partenopei, capace di realizzare 42 gol in questo inizio di stagione, tre di media a partita. Il piano di Mourinho è comprimere le due linee di centrocampo e difesa per non consentire al Napoli di mettere in pratica quel palleggio lucido e frenetico che sta facendo le sue fortune in Italia e in Europa.

Tatticismo ai massimi livelli e partita bloccata

La gara, pur non regalando particolari emozioni, è un inno al tatticismo: un concentrato di duelli individuali e di mosse e contromosse atte a fare “scacco matto” da parte dei due tecnici. Il blocco bassissimo della Roma costringe il Napoli a sterilizzare il palleggio senza trovare spazi con Kvaratskhelia che viene guardato a vista da Karsdorp e raddoppiato immediatamente da Mancini. Smalling e Osimhen se le danno di santa ragione mentre Ibanez gioca continuamente d’anticipo su Lozano, limitando le pericolose folate del messicano.

Sul fronte opposto il centrocampo giallorosso, soffocato dalla pressione dei partenopei in fase di primo possesso, viene completamente bypassato dalla Roma un po’ per incapacità di trovare un uscita pulita di fronte al pressing del Napoli, un po’ perché il chiaro intento dei padroni di casa è ripartire cercando direttamente la testa di Abraham, costretto ad un compito alla… Dzeko che non gli si addice.

Zaniolo, decentrato sulla destra per sfruttare il mismatch tecnico e fisico con Oliveira e Juan Jesus sembra essere il più in palla dei giallorossi ma va a corrente alternata e riceve pochi palloni. Ci sarebbe anche Pellegrini ma il capitano giallorosso, preso in consegna a turno da Zielinski e Ndombele, viene ben presto disinnescato e si smarrisce, attento a spendersi in fase difensiva nello schermare Lobotka più che a illuminare la manovra.

I piani partita sono studiati in maniera così meticolosa dai due allenatori che, pur con qualche sussulto, scaturisce una partita a suo modo… perfetta, cioè priva di errori tattici e rare sbavature individuali. La Roma nel primo tempo non tira mai in porta, il Napoli si vede togliere un rigore dal VAR per un uscita bassa di Rui Patricio su Ndombele e partorisce un solo tiro di Zielinski, bloccato in presa bassa dall’estremo difensore portoghese.

Roma-Napoli “sembra” una brutta partita e forse per gli spettatori disinteressati lo è, ma in realtà è una partita a scacchi dove due maestri, finti amici e molto rivali, esaltano al massimo le loro filosofie, che piacciano o meno. La Roma paga il rovescio della medaglia di tanta attenzione difensiva non impensierendo mai Meret mentre il Napoli cerca di sfondare senza successo quello che sembra essere un muro di gomma.

La variabile Osimhen, gol da campione che fa saltare il banco

In questo tipo di gare può non succedere niente fino al novantesimo o può improvvisamente entrare in gioco un fattore che spariglia le carte, cioè il lampo del campione che sblocca la contesa con una prodezza. Succede così che Victor Osimhen a dieci minuti dal termine, dopo aver vanificato una conclusione più semplice pochi minuti prima, approfitti dell’unica indecisione stagionale di uno Smalling fino a quel momento sontuoso e, da posizione defilata, fulmini Rui Patricio portando in vantaggio il Napoli.

Saltato il banco, Mourinho butta dentro chiunque possa segnare mentre Spalletti si rivela chirurgico, più maturo rispetto al passato (anche in giallorosso). L’allenatore del Napoli non snatura la squadra e non inserisce giocatori difensivi: decide di difendere attaccando, approfittando anche di un avversario stremato e delle praterie che, giocoforza, vengono concesse dai giallorossi.

La Roma non riesce a produrre più nulla, in evidente debito d’ossigeno e in una confusione tattica dovuta ai soliti cambi da “attacco all’arma bianca” di Mourinho che, involontariamente, favoriscono i partenopei, abituati a far malissimo tra le linee e a loro agio come mai erano stati fino al gol di Osimhen.

Il nuovo scenario riaccende anche Kvaratskhelia, che in un paio di circostanze fa capire il perché di tanta attenzione dedicatagli, mentre la Roma si affievolisce continuando a cercare lanci lunghi continuamente rispediti al mittente dalla contraerea ospite, guidata da un Kim Min-Jae capace di annullare prima Abraham e poi respingere ogni palla alta che graviti dalle sue parti. Senza troppi patemi, senza un forcing finale da parte della Roma, il Napoli porta così a casa una vittoria di fondamentale importanza.

La squadra di Spalletti si è dimostrata più matura dei giallorossi, con una precisa identità tattica, fortissima nei singoli e sinceramente superiore alla Roma di Mou che è stata sì gagliarda e fisica, “testaccina” e ruvida, ma anche monodimensionale, concentrata soltanto sul non prenderle per poi tentare la via dell’improvvisazione in fase offensiva. Il risultato? Neanche un tiro nello specchio della porta (non accadeva dal 2015) e una squadra ben lontana dall’avere un bilanciamento tra le due fasi di gioco.

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