IL MAESTRO DEL CALCIO EUROPEO MORTO AD AUSCHWITZ

Nel Giorno della Memoria ricordiamo Árpád Weisz, il tecnico più giovane della storia del calcio e l’allenatore che più a lungo ha guidato l’Inter dopo Herrera, Trapattoni e Mancini.

Weisz era ebreo e, a causa delle leggi razziali del 1938, perse lavoro e diritti. La sua ultima destinazione fu Auschwitz. 
Una targa lo ricorda allo stadio Meazza di Milano.

ARRIVO IN ITALIA E INGAGGIO ALL’INTER

Weisz nacque il 16 aprile 1896 a Solt, un paesino situato a circa settanta chilometri da Budapest, da famiglia ebrea. Dopo aver conseguito il diploma liceale si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza ma dovette interrompere gli studi per lo scoppio della prima guerra mondiale. 
Arrivò in Italia nella stagione calcistica 1924-25, ingaggiato dal Padova, che partecipava al campionato di Prima divisione, equivalente all’odierna serie A. Ala sinistra molto tecnica, a Padova disputò solo sei partite. L’anno successivo passò all’Inter. Qui, dopo undici partite e tre gol, segnati nel giro di una settimana, un brutto infortunio pose termine alla sua carriera di calciatore a neanche trent’anni. Prese avvio, invece, la carriera di uno dei più brillanti allenatori del calcio europeo. 

Nel 1926, anno in cui le cronache calcistiche cominciano a essere trasmesse per radio, Weisz iniziò il suo apprendistato nello staff tecnico dell’Alessandria, sotto la guida di Augusto Rangone, che aveva guidato la Nazionale dal 1922 al 1924 e che la guiderà ancora nel 1928. Alla fine dell’anno tornò all’Inter e la stagione successiva gli fu affidata la guida tecnica. Durante il processo di fascistizzazione dello sport, nel 1928 Weisz diventò Veisz, così come il Genoa divenne Genova, il Milan divenne Milano e l’Internazionale prese il nome di Ambrosiana. 

GRANDE INNOVATORE 

Nel 1929-30, dopo un quinto posto nel campionato di esordio 1926-27 e un settimo posto nel campionato 1927-28, l’Inter di Weisz vinse il primo campionato a girone unico, che da allora viene definito, per l’appunto, “girone all’italiana”. In quegli anni gli allenatori dirigevano gli allenamenti in giacca e cravatta al centro del campo. Weisz guidava personalmente i giocatori in pantaloncini e maglietta e provava in allenamento i movimenti della squadra, applicando quelli che molto tempo dopo verranno chiamati schemi. Fu il primo allenatore a introdurre carichi di lavoro appositamente elaborati e a studiare la composizione delle diete. Non trascurava alcun dettaglio, visionava personalmente gli allenamenti e le partite dei ragazzi del settore giovanile. Fu così che scoprì un ragazzino di sedici anni che fece debuttare in prima squadra l’anno successivo e che nella stagione dello scudetto vincerà, a neanche vent’anni, la classifica dei cannonieri: Giuseppe Meazza.

Weisz con l’Ambrosiana-Inter 1929-1930

IL GIUOCO DEL CALCIO

Ma Weisz fu soprattutto un innovatore sul piano tattico, introducendo nel campionato italiano il famoso sistema detto comunemente WM, dalla disposizione dei giocatori in campo. Con lui nasce il quadrilatero di centrocampo. Il peso del gioco viene redistribuito in modo equo tra tutti e dieci i giocatori che hanno compiti sia offensivi che difensivi e si vedono i primi terzini che attaccano. 
Nel 1930 pubblicò, presso l’editore milanese Alberto Corticelli, il manuale Il giuoco del calcio, scritto a quattro mani con Aldo Molinari, dirigente dell’Inter. Un testo epocale, scritto da un autentico stratega e fine ricercatore della tattica calcistica.  
Nel manuale, recentemente ripubblicato, Weisz espone i principi del gioco, le basi tecniche, i ruoli dei giocatori e i metodi di allenamento, mentre Molinari si occupa degli aspetti regolamentari. Un prezioso vademecum adottato, ai tempi, da tutti i tecnici in carriera e dagli aspiranti allenatori.

PASSAGGIO AL NOVARA E AL BOLOGNA

Dopo un quinto posto nella stagione 1930-31, nel campionato successivo l’Inter non rinnovò il contratto di Weisz. Weisz accettò l’offerta del Novara, che militava in serie B. A Novara restò circa sei mesi, poco più di metà stagione, costruendo la squadra che conquistò il secondo posto del girone A. Nel gennaio del 1935 Weisz fu chiamato a sostituire Lajos Kovács – un altro ungherese – alla guida del Bologna. Da questo momento entrerà definitivamente nella storia del calcio italiano ed europeo.
A Bologna trovò una squadra in crisi. Weisz riuscì a rimettere in carreggiata una stagione iniziata con quattro sconfitte consecutive e a chiudere al sesto posto. L’anno successivo il Bologna interruppe il dominio juventino vincendo lo scudetto. L’anno dopo il Bologna vinse non solo il campionato ma a Parigi conquistò il Trofeo dell’Esposizione. Weisz, in scadenza di contratto, ricevette un’offerta economica estremamente allettante dalla Lazio, ma il Bologna rilanciò e riuscì a trattenere il suo allenatore.

UN EBREO STRANIERO 

Sposato con Ilona Rechnitzer, che in Italia si faceva chiamare Elena, ebbero due figli, Roberto e Clara, che decisero di fare battezzare. 
Weisz è all’apice della fama, anche internazionale. Ma nell’Italia del 1938 Weisz diventa improvvisamente solo un ebreo di nazionalità straniera. Nessuno prese posizione a suo favore, neanche il presidente del Bologna, Renato Dall’Ara. All’industriale reggiano ben introdotto nel regime è ancora oggi dedicato lo stadio di Bologna, dove, dal 2009, è stata posta una targa che ricorda Weisz e la sua famiglia. Il 22 agosto 1938 Árpád ed Elena, insieme ad altri ottocentomila cittadini stranieri, vennero registrati nell’elenco degli ebrei stranieri residenti nel Regno. Il 16 ottobre 1938 Weisz prese parte all’ultima partita ufficiale nel campionato italiano e il 22 ottobre si dimise. Alla fine della stagione il Bologna vincerà il suo quinto scudetto. Ma Weisz è già dimenticato, anche dai giornalisti che tanto lo avevano osannato e i giornali con cui lui stesso aveva collaborato.

TRASFERIMENTO IN OLANDA

Weisz e la sua famiglia lasciarono l’Italia il 10 gennaio del 1939 per sistemarsi a Parigi. Ad aprile riuscirono a recarsi in Olanda, a Dordrecht, grazie a Karel Lotsy, dirigente del Dordrecht football club. Il calcio olandese era totalmente dilettantistico ma per Weisz l’offerta rappresentava l’unica possibilità di dare una sistemazione alla sua famiglia. Weisz arrivò a stagione in corso e riuscì a salvare la squadra dalla retrocessione, vincendo lo spareggio contro l’Uvv Utrecht. Nelle stagioni successive ottenne risultati clamorosi che rappresentano il miglior risultato nella storia del club, ottenuto con una squadra di ragazzini, studenti e lavoratori.
Anche l’Europa divenne un luogo inospitale per gli ebrei. Il campionato 1940-41 fu scandito da vessazioni sempre più umilianti. Nel maggio del 1942 ci fu l’obbligo di portare la stella gialla sulla giacca ed era consentito uscire di casa soltanto tra le due e le cinque del pomeriggio.

ULTIMO VIAGGIO

La famiglia Weisz fu arrestata la mattina del 2 agosto 1942 dalla Gestapo. Qualche giorno dopo vennero trasferiti nel campo di Westerbork, nel nord dell’Olanda, lo stesso da cui passò Anna Frank. Il treno con i Weisz partì venerdì 2 ottobre. Elena, Roberto e Clara vennero avviati alla camera a gas il 5 ottobre, appena scesi dal treno, come risulta dal Kalendarium di Auschwitz. Clara aveva otto anni, Roberto dodici, Elena ne avrebbe compiuto 34 due giorni dopo. Di Árpád si perse traccia.
La sua morte è datata 31 gennaio 1944. L’ipotesi più probabile è che abbia fatto parte dei trecento uomini fatti scendere a Cosel per essere avviati nei campi di lavoro in Alta Slesia dove, prima di essere ucciso, servì allo sforzo bellico del Reich. La sua fine, come quella di tutte le vittime della Shoah, ha segnato per sempre la nostra storia e rappresenta il fallimento più grande e doloroso dell’umanità.

MATTEO MARANI E IL RICORDO DI MEAZZA

Grazie alla passione di Matteo Marani, autore del libro: Dallo scudetto ad Auschwitz: vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo (2007) è stata riportata alla luce la straordinaria figura del tecnico ungherese vittima della Shoah. Il suo pupillo Peppino Meazza non lo dimenticherà mai: «Gli volevo davvero bene e il giorno che mi comunicarono la sua morte provai lo stesso dolore di chi perde un padre».