Tiqui-taca vs gegenpressing

C’era una volta il tiqui-taca. Un termine coniato dalla stampa spagnola, entrato prepotentemente nel lessico calcistico quotidiano, utilizzato per descrivere il possesso palla sincopato e ritmato. Associato, nell’immaginario collettivo, al Barcellona di Pep Guardiola.

Un modo di approcciarsi alla partita codificato attraverso passaggi brevi, continui, ripetuti. Anche orizzontali, se necessario, dal sapore marcatamente proattivo.

Oggi pare che la rivoluzione apportata dal Guardiolismo sia passata di moda, surrogata da una nuova declinazione tecnico-tattica: il cd. gegenpressing.

Effettivamente, il trionfo del Bayern Monaco in Champions League è frutto di una diversa tendenza, capace di proiettare nel futuro il calcio del terzo millennio. Prendendo, però, spunto da antichi princìpi, riveduti e corretti.

Prima Klopp, adesso Flick

Il modello vincente dei bavaresi, infatti, nasce da lontano. Sulla scorta del lavoro messo a punto negli anni precedenti da Jürgen Klopp.

Il Liverpool, ma prim’ancora il Borussia Dortmund, hanno interpretato alla perfezione le idee visionarie di “Kloppo”, come lo chiamano in patria, da sempre fautore di un gioco fortemente aggressivo nella fase di non possesso, fondato essenzialmente sull’aumento della densità in zona palla, associato alla esasperazione del pressing ultraoffensivo.

Il gegenpressing, marchio di fabbrica indelebile del modo di interpretare il calcio di Klopp ha fatto proseliti, alimentando le ambizioni di Hans Flick.

Uno sconosciuto, almeno fino a qualche mese fa. Già collaboratore del C.T. della Germania, Joachim Lõw, l’ex vice di Kovac, dopo essere subentrato al collega, esonerato, inizialmente come mero traghettatore e soltanto dopo confermato come guida a lungo termine, ha mutuato i concetti chiave di uno dei tecnici simbolo del calcio contemporaneo.

Quel Normal One, come Klopp ama definirsi, che ha incendiato il cuore di due tifoserie: il “Muro Giallo”, al Signal Iduna Park, e la Kop, ad Anfield Road.

Flick ed il suo Bayern si difendono con l’idea di voler recuperare immediatamente il pallone. Interrompendo, all’origine, l’impostazione dell’altrui manovra offensiva.

Così, nell’istante successivo alla perdita della palla, puntualmente, il Bayern “riaggredisce” l’avversario, in maniera asfissiante. Sostanzialmente, non scivola all’indietro per riorganizzarsi. Bensì, si alza sul portatore, con l’uomo più vicino, mentre i compagni accorciano in zona, sugli eventuali appoggi, provando a intercettare le linee di passaggio.

Accorciare in avanti, per difendersi

Il gegenpressing é una filosofia rischiosa, in cui si pressa in avanti, attaccando per difendersi. In generale, si gioca in maniera più intensa rispetto alla controparte, affinché la riconquista del pallone avvenga rapidamente, nonché quanto più vicino possibile alla porta avversaria.

Una strategia, dunque, che trasferisce gran parte del lavoro difensivo quaranta metri più avanti, sulle spalle di attaccanti e centrocampisti.

In tale contesto, gli avversari raramente sono in grado di gestire il pallone con sufficiente tempo e spazio per ragionare liberamente.

Tutti sono bravi, potendo controllare con calma l’attrezzo. E solo dopo aver pensato a cosa fare, scegliere la giocata opportuna. Ma se gli sei addosso non appena ricevono la palla, anche i migliori vanno in difficoltà.

Ovviamente, dal punto di vista tattico, questo comportamento obbliga l’avversario ad azzardare una gran quantità di lanci profondi, talvolta lunghi e imprecisi, per sottrarsi al pressing.

Passaggi del genere, un pò disperati, frettolosi e irraggiungibili, fatti unicamente per scavalcare l’aggressione “alta”, diventano facilmente amministrabili da chi si sta difendendo.

Abiurare il fallo tattico

Appare evidente, quindi, come attraverso il gegenpressing si cerchi di dominare il gioco, specialmente in fase di non possesso, con un comportamento funzionale a spingere l’avversario a scaricare il pallone in zone predeterminare. Attirandolo sostanzialmente in trappola, nel momento in cui è maggiormente vulnerabile.

L’impostazione metodologica voluta da Klopp e Flick prescrive espressamente di evitare il ricorso al cd. “fallo tattico”, che vanificherebbe il tentativo di recuperare immediatamente il possesso con l’azione di pressing. L’idea di fondo è quella di non spezzare la costruzione della manovra con ogni mezzo possibile, affondando i contrasti senza riserve. Privilegiando, al contrario, la ricerca ossessiva della caccia al pallone.

Un calcio faticosissimo dal punto di vista fisico e mentale, che non tollera dissidenti, in quanto necessità di un impegno assoluto e collettivo. Oltre a specifiche modalità per attuarlo.

Tuttavia, senza fiducia, convinzione e lavoro duro, difficilmente scaturirebbero prestazioni esaltanti.

Impegno, sacrificio e patto collettivo

In definitiva, la sfida di Klopp prima, e Flick dopo, è stata quella di accettare che la crescita esponenziale di Liverpool e Bayern Monaco fosse legata all’impegno del gruppo, prim’ancora che alle abilità tecnico-tattiche dei singoli Top Player (o presunti tali…).

I membri della squadra sanciscono tra loro una patto collettivo. La sottoscrizione di una sorta di contratto morale che li vincola allo stesso obiettivo. Obbligando tutti a sacrificarsi, rinunciando ad una piccola porzione del proprio ego calcistico, in funzione del bene collettivo. Ergo, appena si perde palla, la squadra accorcia in avanti, per provare a recuperarla subito!

Sostanzialmente, un impegno canalizzato verso pressione e contropressing.

Sia ben inteso, non quello dalla connotazione marcatamente difensiva, che mira ad impedire lo sviluppo del gioco.

Bensì, quello offensivo, teso a recuperare il pallone quanto più vicino possibile alla porta avversaria, adeguato ad alimentare numerose occasioni da gol.