L’attaccante dell’Olympiacos Maik Galakos aveva appena segnato il sesto gol della sua squadra nel derby contro l’AEK Atene al vecchio stadio Karaiskakis. Era l’84° minuto di una partita tra le due principali contendenti per il titolo del campionato greco. L’Olympiacos era in testa alla classifica con soli due punti di vantaggio e una vittoria avrebbe avvicinato la squadra del Pireo al secondo titolo consecutivo.

Era una giornata di sole al Pireo, il famoso porto di Atene e sede della squadra che indossa le strisce bianche e rosse. La partita ebbe luogo di domenica, la “domenica del calcio”, come la chiamano in Grecia, e i biglietti erano già esauriti. Infatti, ben 35.450 tifosi avrebbero assistito alla partita, considerata il più grande match del calcio greco dell’epoca.

Nonostante entrambe le squadre vantassero calciatori di tutto rispetto, l’Olympiacos controllò il match e lo dominò per tutti i 90 minuti. Galakos aveva segnato una tripletta. I tifosi erano in estasi, i festeggiamenti erano già iniziati e tutti volevano salutare i loro eroi. Il coro sillabato “O-ly-mpia-cos, O-ly-mpia-cos” riecheggiava sugli spalti, mentre centinaia di tifosi si precipitavano dal gate 7 per prendere un posto davanti al gate 1, da dove i giocatori sarebbero usciti dopo la partita.

All’epoca, la maggior parte dei tifosi optava per un biglietto sugli spalti dove confluiva il gate 7, in quanto era l’opzione più economica. Il gate 7 attirava persone di ogni estrazione, dai lavoratori e pensionati, agli anziani o agli studenti. La sera prima della partita, un tifoso diciottenne dell’Olympiacos, Spiros, disse al suo amico Manolis che voleva incontrare il suo idolo, Galakos: “Voglio baciarlo, toccarlo e non mi laverò fino a domenica prossima“, confidò.

Galakos sarebbe uscito dal gate 1, ma Spiros non c’era. Andando verso l’uscita, una ripida scalinata conduceva ai tornelli e poi all’esterno del vecchio stadio. Tantissimi tifosi erano scivolati e caduti sulle scale mentre uscivano dal gate 7. L’euforia si era trasformata in tragedia nel giro di pochi secondi.

La porta d’uscita era semichiusa: i tifosi non riuscivano a trovare una via d’uscita e 19 persone persero la vita all’interno dello stadio Kairaskakis, mentre decine di altri le calpestavano. Tra le scale e i tornelli si vedevano mucchi di corpi esanimi riversi a terra. Altri due tifosi morirono in ospedale. In tutto, persero la vita 20 tifosi dell’Olympiacos e un sostenitore dell’AEK Atene.

La polizia fu costretta a sradicare un tornello. I corpi delle persone esanimi furono trascinati fuori e lasciati a terra. Le ambulanze arrivarono in poco tempo, ma era già troppo tardi.

La più grande tragedia nella storia del calcio greco ebbe luogo l’8 febbraio 1981, alle 16:58. “Ho trascinato Spiros come un sacco fuori dal gate e l’ho preso in braccio“, ricorda Manolis. “Non sentiva nulla. Appoggiai la sua testa al muro. Piansi. Lo presi tra le braccia; la sua testa penzolava giù. Lo portai verso alla prima ambulanza che vidi davanti a me, ma dentro c’erano già due bambini. Gridai: “Prendetelo, prendetelo, per favore. Non parla, non si muove, prendetelo!“.

Spiros fu condotto in ospedale da un’altra ambulanza, ma morì due ore dopo a causa delle ferite.

Il monumento commemorativo ai 21 tifosi deceduti

Centinaia di persone si radunarono in ospedale, in fila fuori dalle stanze dove furono collocati i corpi dei morti. Alcune piangevano, altre erano sedute in silenzio, con lo sguardo perso, incapaci di credere a ciò che era successo. “Mentre si precipitavano a festeggiare il trionfo, i tifosi furono coinvolti nella calca del gate 7, cadendo uno sopra l’altro“, recitava il titolo del giornale sportivo greco Fos il giorno successivo. “Orrore, orrore, orrore”, si leggeva invece su Avriani.

La società greca era sotto shock, mentre il calcio ellenico era sull’orlo del collasso. Il segretario generale dello sport dell’epoca, Kimon Koulouris, convocò un incontro con le famiglie delle vittime. Parteciparono anche i membri del Comitato Olimpico greco, che era proprietario dello stadio Karaiskakis, i dirigenti dell’Olympiacos e altre autorità competenti.

Fu concordato un risarcimento, ma la causa fu portata davanti a un tribunale civile solo 20 mesi dopo la tragedia, nell’ottobre 1982, quando il pubblico ministero ne chiese la riapertura.

Tra gli accusati figuravano il Comitato Olimpico, la Segreteria Generale dello Sport e diversi agenti di polizia. Ci si scambiava accuse a vicenda. Alcuni attribuirono la responsabilità alla polizia che non riuscì a gestire l’ondata di tifosi all’uscita dal Karaiskakis. Altri puntarono il dito contro coloro che avevano costruito lo stadio, mentre c’erano voci che davano la colpa alle cinque guardie che sorvegliavano la sicurezza al gate 7.

La sentenza fu emanata mesi dopo: tutti gli implicati furono prosciolti dalle accuse.

Il vecchio stadio Karaiskakis fu demolito diversi anni dopo per la costruzione del nuovo impianto dell’Olympiacos. I tifosi si precipitarono al Pireo per raccogliere un pezzo di cemento prima che tutto fosse ridotto in polvere. Tutto tranne il tornello del gate 7, che attualmente si trova all’esterno del nuovo stadio Karaiskakis, accompagnato da decine di sciarpe e bandiere in memoria delle 21 vittime.

Tifosi, familiari delle vittime, giocatori e allenatori delle squadre di calcio e di basket dell’Olympiacos si riuniscono qui ogni anno, l’8 febbraio, per rendere omaggio a coloro che hanno perso la vita per celebrare la vittoria della loro squadra. Otto anni prima del disastro di Hillsborough, il calcio greco ha vissuto una tragedia tutta sua.

Nel 2005, prima della partita di Champions League tra il Liverpool e l’Olympiacos, la Kop ha esposto una coreografia che comprendeva il messaggio “96+21 YNWA” per rendere omaggio alle vittime di entrambe le tragedie. Due anni dopo, i tifosi del Liverpool si sono recati in Grecia per assistere alla finale contro il Milan. Decine di loro sono andati fino al Pireo per collocare fiori e sciarpe presso il monumento commemorativo fuori dallo stadio Karaiskakis.

In risposta, i tifosi dell’Olympiacos hanno posizionato due striscioni in lingua inglese con la scritte “Justice for the 69” e “Brothers, you show us the way – 21+96 – You’ll Never Walk Alone”. Entrambi gli striscioni sono stati esposti nella sezione dello stadio occupata dagli ultras, che è coperta da centinaia di sedili rossi, 21 dei quali sono dipinti di nero e formano un numero sette in memoria delle vittime.

Dopo il disastro del 1981, il gruppo principale degli ultras dell’Olympiacos ha preso il nome di Gate 7 e si è impegnato a non dimenticare mai coloro che hanno esalato l’ultimo respiro su quelle scale del Karaiskakis. Sono passati 39 anni, ma i tifosi passano ancora alcuni minuti durante le partite a dedicare cori alle 21 vittime. Uno di questi cori recita: “Dio, fammi un favore e realizza il mio folle sogno: voglio vedere, insieme alle nostre vittime, l’Olympiacos giocare la finale [in Europa]”.

L’Olympiacos non ha mai raggiunto una finale europea. Il miglior risultato è stato ottenuto nel 1999, quando la squadra del Pireo si è fermata ai quarti di Champions contro la Juve.

Partita dopo partita, i tifosi dell’Olympiacos cantano quei cori. Sono convinti che le 21 vittime riescano ascoltarli. Sanno che stanno seguendo le partite dell’Olympiacos da lassù. Sono certi che i loro fratelli deceduti nel 1981 hanno prenotato un posto in Paradiso. Da lì possono guardare la squadra, il cui nome potrebbe essere una delle ultime parole che hanno proferito.

 

Vincenzo Di Maso