Napoli, è finito un grande amore: non resta che lasciarsi e rifondare

Se non fossero bastate le ultime prestazioni della squadra, davvero imbarazzanti, a certificare la sventurata stagione del Napoli ha provveduto la consueta conferenza stampa pre-gara di Calzona, che incornicia perfettamente una fotografia desolante del contributo apportato da questo gruppo nelle fortune degli azzurri. Ormai appare inevitabile dar luogo a un progetto teso ad un profondo rinnovamento. Presumibile, però, che non sarà immediato, ma ci vorranno almeno un paio di stagioni.

Assodato che la gestione virtuosa e finanziariamente sostenibile impedisce a De Laurentiis di spendere una montagna di quattrini per colmare il gap competitivo con le “strisciate”, trascurando per il momento la crescita esponenziale di una middle class in grado di inserirsi prepotentemente nella lotta Champions, risulta assai semplice fare due calcoli. Urge un ricambio generazionale, con la consapevolezza che è impossibile sul mercato rastrellare nel mucchio dei giocatori strapagati.

Bisogna quindi procedere in maniera graduale, avendo un’idea di gioco coerente con i profili su cui puntare. Clamorosamente fallita la strategia di affidarsi a giovani calciatori ritenuti promettenti; gli esempi di Natan e Cajuste, che avrebbero dovuto rinforzare i Campioni d’Italia, inserendosi in un organico vincente, hanno demolito la prospettiva di un futuro radioso disegnato attorno a semplici giocatorini.

Crisi irreversibile o rifondazione

Ecco che arriva la classica domanda: come dare forma a questa specie di rivoluzione, trasformando l’enorme casino tecnico-tattico palesato durante questa disgraziatissima annata in una vera squadra?

Innanzitutto, “scacciando i mercanti dal tempio”. Smetterla cioè di essere vittime (consapevoli) di taluni procuratori: i loro restano consigli interessati, funzionali a gratificare esclusivamente sé stessi e l’immenso ego dei loro assistiti. Giusto dunque presentargli il conto di rinnovi a cifre sostanzialmente improponibili per giocatori ultratrentenni. Il passo successivo, tuttavia, rimane quello di scegliere l’allenatore, cui dare carta bianca totale. Ma chissà se il presidente è intenzionato ad accontentare le (presunte…) richieste di Antonio Conte, ricoprendolo d’oro per quanto pesa. Per i tifosi, solo un “martello” come lui potrebbe mitigare la più grande paura che aleggia attualmente all’ombra del Vesuvio.

Il rischio che vedono i tifosi all’orizzonte, dopo la via crucis post titolo, è che il lento, nonché malinconicamente sofferente, trascinamento di questi mesi faccia soltanto da transizione, in vista di un rilancio delle ambizioni in ottica alta classifica. Piuttosto che l’anno zero di una società impantanata in una crisi irreversibile, poiché inadatta a strutturarsi alla stregua dei Top Club, mancandole fondamenta solide e stabili.

Ciao Napoli, senza alcun rancore

Una cosa è certa: con lo scudetto proprietà e squadra avevano guadagnato un immenso bonus. Ora quel credito sembra esaurito definitivamente. Se il Napoli, costruito attraverso scelte chiare e intelligenti, persino radicali in alcuni aspetti, tipo rinunciare a Insigne e Koulibaly, lo scorso anno aveva dominato chiunque s’era frapposto tra lui e la Storia, è legittimo riconoscere che quel tempo sia finito, qui e adesso. Bisogna arrendersi all’evidenza.

Ergo, in un “Sistema” sempre più orientato all’esasperazione dello show business, dove i calciatori sono aziende individuali, l’unica soluzione plausibile è separarsi. Accettare di essere giunti alla fine di un percorso professionale condiviso. Senza rancori, tantomeno rimpianti.

In definitiva, serve un allenatore capace di proporre qualcosa di diverso. Ma anche giocatori vogliosi di seguire il cambiamento.

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