E dire che Juric ce l’ha messa tutta per dare un’identità al Torino, per lunghi tratti c’è anche riuscito nonostante qualche passaggio a vuoto. Eppure neanche lui è riuscito nell’impresa di ingolosire Cairo, di fargli venire voglia di andare a vedere dove si poteva arrivare con qualche sforzo economico in più per evitare di smantellare quella che era la spina dorsale di questo nuovo progetto. ERA MA NON E’, perché se Bremer è maturo per piazze più ambiziose, non riscattare Brekalo, lasciare andare via Belotti e perdere altre pedine del livello di Ansaldi, Mandragora, Pobega e Pjaca senza battere ciglio è un’opera di masochismo che raramente si è vista in maniera così massiccia.

Attenzione però, non è questa di certo il lato più grave della vicenda, ma la totale assenza di una reazione da parte dei tifosi presenti allo stadio. Dov’è il tremendismo granata? Dov’è quella curva che affonda le sue radici in una storia gloriosa e, soprattutto, orgogliosa? Perché questa accettazione passiva dell’ineluttabilità del destino, senza opporre alcun tipo di resistenza a chi fa e disfa senza una logica? L’ennesima porta scorrevole della storia del Torino che rischia di essere presa nella direzione opposta.

L’effetto è un ovvio domino: cade Bremer, Brekalo non crede nel progetto perché la squadra si indebolisce e Belotti, che del Toro incarna l’essenza, che si arrende all’evidenza dei fatti. Uno tira l’altro e il Toro passa dal concetto di “progetto su fondamenta solide” a “rifondazione totale”, come fosse una squadra retrocessa. Attenzione a pensare però che il domino sia finito, perché gli scenari potrebbero portare a far vacillare anche l’ultima garanzia, l’ultimo asso in mano ai chi tifa Toro: Ivan Juric, il garante del gioco ma anche colui che sta vedendo giocatori su cui a puntato scivolargli tra le dita come la sabbia. Difficile che un allenatore con la sua tempra possa accettarlo.