La vittoria dell’Arechi non sposta il giudizio sul Napoli, ma rappresenta l’ennesimo segnale di crescita palesato dagli azzurri. Non dal punto di vista tecnico-tattico. Magari per quanto riguarda la tenuta mentale.

In effetti, quella con la Salernitana è stata una partita dal forte contenuto emotivo. Che ha dimostrato come i partenopei siano un gruppo maturo e consapevole. Capace di vincere un match così duro e tirato come il derby, anche quando non riescono a prendere e mantenere il dominio del gioco.

Cambi determinanti

Se prima della gara contro i granata, infatti, il Napoli era considerato discretamente competitivo, adesso pare sia diventato pure assai credibile in ottica scudetto. E il segnale più eloquente l’ha dato proprio la trasferta di Salerno, che certifica lo status di contender acquisito a pieno diritto dalla squadra.  

Del resto, l’assenza di Osimhen e Insigne è pesata meno del previsto. Nonostante rappresentino l’anima del calcio proposto da Spalletti. Pur privo del principale terminale offensivo, nonché del regista aggiunto, l’allenatore di Certaldo l’ha portata a casa con la profondità dell’organico ed i cambi in corso d’opera.

Riduttivo, ovviamente, derubricare i tre punti a mero coup de théâtre, in virtù del quale il tecnico degli azzurri, alla stregua del più classico dei prestigiatori che tira fuori il colombo dal cappello, fa uscire dalla panchina Elmas e Petagna, in luogo dei deludenti Lozano e Mertens.   

Ci sono motivazioni tattiche ben più profonde, per cui le scelte iniziali di formazione non hanno assolutamente prodotto i dividendi sperati.

Vediamoli assieme…

Gioco per occupare

Se idealmente riavvolgessimo il nastro di Salernitana-Napoli, la prima cosa che salterebbe all’occhio è il prevedibilissimo possesso della capolista. Un giropalla sterile e poco verticale. Quindi facilmente leggibile dai padroni di casa. Altro che il calcio ambizioso manifestato in altre occasioni.

Spalletti ha fornito una identità chiara alla sua squadra, che sviluppa e determina attraverso flussi di gioco efficaci e brillanti, oltre che esteticamente godibili

Tutto questo, ieri pomeriggio s’è visto davvero poco. Ma le incertezze con il pallone derivano paradossalmente dalla scarsezza dei movimenti senza palla.

Il motivo è presto detto: con Insigne, il Napoli gioca per occupare.

Il Capitano è uno degli esterni d’attacco più sofisticati del calcio contemporaneo. Perché associa le abilità tipiche di chi garantisce ampiezza alla manovra, con una raffinata regia.

Quando stringe, diventa un formidabile dispensatore di gioco, occupando i cd. half spaces, cioè una porzione di campo intermedia tra la fascia ed il centro. Contribuendo a consolidare il palleggio. Nonché ribaltare il fronte dell’azione.

Nessuno muove la palla, connettendo un lato all’altro del campo, meglio di Lorenzinho. Un potenziale incubo per chiunque, quando si accentra e genera superiorità numerica tra le linee, alle spalle della mediana avversaria.

Occupo per giocare

Al contrario, Lozano occupa per giocare. Specialmente schierato a piede invertito, lui che è un destro naturale. Ovvero, mette i piedi sulla linea, rimanendo molto aperto, per ricevere lo scarico e dopo puntare la linea difensiva. Creando quasi artificiosamente una situazione di uno contro uno.

Questo tipo di giocata è poco funzionale alla risalita di Mario Rui, che non accorciava velocemente in zona palla. Anzi, rimaneva basso.

Un atteggiamento passivo che dilatava oltremodo le distanze tra terzino ed esterno d’attacco, pregiudicando una delle armi principali della filosofia spallettiana: la superiorità numerica laterale.

In sostanza, è bastato un minimo di aggressività, per rendere timoroso il messicano sul primo possesso, lasciandolo in balia degli eventi e delle sue stesse manchevolezze nelle letture.

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