Giuseppe Bruscolotti, semplicemente “Palo ‘e fierro”

Giuseppe Bruscolotti soprannominato “Palo ‘e Fierro”, oggi compie oggi 70 anni.

Arrivò dalla costiera sorrentina. Nel Sorrento giocò per due anni (1970-72, 60 presenze 1 goal)  e diede prova di coraggio e vigoria fisica. Fu soprannominato dai tifosi sorrentini “la mascella di Sassano”, luogo del salernitano dove Giuseppe Bruscolotti nacque nel 1951 L’esperienza sorrentina fu contraddistinta da una promozione in serie B. L’unica della storia del Sorrento.

Il Sorrento che aveva come padre-padrone il comandante Lauro e come presidente il dott. Torino (fondatore di Canale 21). Quel Sorrento sconfisse al San Paolo il Napoli in una partita di Coppa Italia.

Passò al Napoli nell’estate del ’72 e, da allora, la sua seconda pelle fu quella azzurra. La sua è stata una lunga avventura durata 16 anni (387 presenze e 9 goal) in cui si è tolto parecchie soddisfazioni e ha visto di tutto. Ha visto, in primis, il gioco totale di Vinicio in Italia nel ’73/74 e ’74/75.

Un giovanissimo Giuseppe Bruscolotti

Al primo allenamento, Bruscolotti si trovava a compiere giri di campo per la corsa del gruppo che seguiva il capitano Juliano e gli altri senatori. Il giovane “Palo e’ Fierro” riuscì a raggiungere il gruppo dei senatori e chiese sfrontatamente a Juliano se poteva correre nel gruppo di testa. Le motivazioni furono convincenti: «Non me la voglio tirare, ma sono sempre abituato a tirare l’allenamento, voglio impostare il ritmo, perché non voglio risparmiarmi e dare il massimo». Juliano annuì.

Bruscolotti divenne immediatamente titolare al centro della difesa assieme a Vavassori, affrontando calciatori del calibro di Boninsegna, Altafini, Rivera, Pulici, Savoldi, Chinaglia, etc, senza mostrare alcun timore reverenziale. Giuseppe Bruscolotti è stato un difensore aggressivo, indomito e senza paura di intervenire sul pallone o sulla gamba, ma mai con cattiveria. Il calciatore nativo di Sassano considerava il confronto con l’attaccante avversario come un duello ruvido, ma leale. Il male non ha fatto mai parte del gioco a cui Bruscolotti ha voluto giocare.

In quella stagione, quella valorosa banda di giocatori e di veri uomini sfiorò lo scudetto, perdendo a Torino contro la Juve, dove Zoff con le sue parate e Altafini negarono il sogno scudetto. Poi arrivò la Coppa Italia nel ’76-77, ma per il titolo nazionale ci sarebbe voluto tanto tempo.

L’incontro importante fu con la moglie, la signora Mary, che fece da amica e consigliera allo stesso tempo. Beppe Bruscolotti era un 20enne che amava godersi la vita e, tavolta, eccedere, senza chiaramente fare del male a nessuno. L’incontro con Mary fu fondamentale per la sua carriera e vita, dandogli una scossa decisiva.

«Deciditi: o vieni a vivere a casa mia, o continui la tua vita da solo».

Come in una partita di calcio, in cui era chiamato a valutare in pochi istanti un’azione, Beppe prese la decisione giusta. Mary gli portò la stabilità di cui aveva bisogno e trovò un fondamentale punto di riferimento.

Bruscolotti, Maradona e consorti

A far conoscere i due era stato Franco, il fratello di Mary. “Vieni a casa a vedere la partita in tv”, gli disse. Quella partita fu galeotta e i due avevano 22 anni. Si sposarono nella chiesa di Sant’Antonio a Posillipo nel 1981 dopo molti anni di convivenza.

Ancora giovanissimo, in Coppa delle Coppe Bruscolotti segnò il goal della speranza nella partita d’andata contro l’Anderlecht. Quella finale di Coppa delle Coppe che fu negata a causa di un arbitraggio ritenuto scandaloso. Successivamente si scoprì che il direttore di gara era un dipendente della birreria del presidente belga.

Nella stagione ’80-81 la sventura volle che il Napoli perdesse un altro scudetto con Marchesi in panchina. Quella squadra cercò di far gioire un popolo che era stato colpito dalla tragedia del terremoto.

Il capitano in pectore Bruscolotti (quello che portava al fascia era Vinazzani), insieme con Rudy Krol, il fuoriclasse olandese portato da Totonno Iuliano, e altri giovani di belle speranze sfiorarono un’altra volta lo scudetto. Sfortuna volle che Ferrario facesse un autogol contro il Perugia (da qui la frase del compianto Pacileo “Ferrario fa l’autogoal e Ferlaino se n’adda j”) e che il portiere, tal Martina, parasse l’impossibile. Due episodi che tagliarono le gambe agli azzurri e al popolo napoletano.

L’anno dopo ci fu un terzo posto con qualificazione in coppa Uefa. Nelle stagioni ’82/83 e ’83/84 Bruscolotti visse sicuramente gli anni più brutti e difficile da giocatore del Napoli. Nel primo anno, oltre a rischiare la retrocessione in seri B, Bruscolotti fu colpito da epatite virale di tipo A. Solo grazie alla presenza della moglie e del grande e sempre compianto “Petisso” riuscì a superare il momento più difficile della sua vita.

Il Napoli si salvò all’ultimo respiro con un goal di Dal Fiume su tacco di Diaz nella partita con il Cesena. Quel Diaz che avrebbe dovuto portare lo scudetto a Napoli invece si rivelò un fantasma. Bruscolotti e Vinazzani, i veri capitani di quel Napoli, dovettero ricorrere a modi bruschi per spronarlo.

Quella partita fu ricordata anche come il canto del cigno di Krol. L’olandese s’infortunò gravemente ai legamenti del menisco dopo un intervento di Buriani (quest’ultimo subirà poi lo stesso infortunio con la maglia del Napoli a seguito di un fallo di Mandorlini). L’anno dopo con Santin, il Napoli stava nuovamente rischiando la retrocessione e fu il ritorno di “Totonno” Juliano e Marchesi a riportare la barca verso lidi più sereni.

Bruscolotti e Krol contro Rossi

L’anno di svolta fu il 1984/85. Nell’estate del ’84 Juliano e Ferlaino centrarono il grande colpo. Presero infatti colui che avrebbe portato parecchi trofei a quel Napoli: Diego Armando Maradona. Bruscolotti gli fece da padre adottivo  e da fratello maggiore. Tuttavia, i primi 6 mesi non furono felici per quel Napoli, ma Ferlaino e Juliano a fine dicembre decisero di portare la squadra in ritiro a Vietri sul mare. Là, di fronte al mare del salernitano, fu sancita la pace tra Maradona e Bagni, che davanti al capitano Bruscolotti (il quale aveva assunto i gradi dopo la cessione di Vinazzani) decisero di mettere da parte le loro smanie di primedonne e promisero fedeltà alla maglia azzurra.

Da quel momento gli azzurri si ricongiunsero e arrivarono a sfiorare la qualificazione in coppa Uefa. Il Napoli arrivò ottavo, ma si era cementato un gruppo. A sancire l’unione della squadra ci pensò anche la moglie del capitano, che organizzava cene e feste in modo da unire il gruppo. Nacque il cosiddetto “Mary club”.

L’anno successivo a Napoli arrivò il più grande dirigente sportivo italiano dell’epoca, Italo Allodi, che allestì una signora squadra allenata da un “martello” di allenatore, che conosceva già gli umori della piazza napoletana e del presidente Ferlaino. Il suo nome era Ottavio Bianchi. Fu terzo posto ma si gettarono le basi per la vittoria del primo scudetto.

La rosa del primo scudetto del Napoli

Nel ritiro estivo dell’85 ci fu anche il passaggio della fascia di capitano da Bruscolotti a Maradona. Diego promise al “vero capitano” (come lo definì nello spogliatoio dopo quella magica domenica del 10 maggio ’87) che prima che si fosse ritirato gli avrebbe fatto vincere lo scudetto. «Tu sei il più bravo del mondo, ma io sono il capitano del Napoli. Io sarò sempre un amico per te. Posso aiutarti in tanti modi, ma non farò mai parte del tuo clan, non sarò mai tra quelli che ti stanno sempre attorno. Mi troverai al campo oppure a casa e non mi farò mai negare». Maradona gli rispose: «Ti ringrazio e ti prometto che ti farò vincere lo scudetto prima che tu smetta di giocare».

L’anno 1986/87 resterà nella storia di Napoli e dei tifosi napoletani come l’anno del primo scudetto. Il Napoli riuscì a vincere e Bruscolotti coronò quel sogno oramai a fine carriera. Inoltre, quell’anno il Napoli conquistò anche la Coppa Italia.

Nell’88 a Bruscolotti fu data la gioia di giocare anche in Coppa Campioni affrontando il Real Madrid, al suo ultimo anno in azzurro. La società (Moggi per primo) si rese protagonista di un atto di ingratitudine nei suoi confronti. Ancora oggi non gli è stata concessa la possibilità di diventare dirigente o collante tra squadra e società.