Valutazione del campionato di Sarri

Maurizio Sarri ha vinto lo scudetto numero 36 della Juventus, il primo della sua vita e il nono consecutivo dei bianconeri. Il tecnico-tosco napoletano è l’allenatore più anziano nel calcio italiano ad aver vinto uno scudetto: con 61 anni supera Nils Liedholm, campione con la Roma nel lontano 1982/1983.

Come con il Chelsea, Sarri è stato sulla graticola, nell’occhio del ciclone e oggetto di iconoclastia da parte della critica e degli stessi tifosi della Juventus. L’isteria è arrivata al punto tale che, avendo visto il tecnico bianconero andare a salutare i calciatori della Sampdoria, in tanti già parlavano di “Sarri isolato dai festeggiamenti, esonerato e che non gestisce nulla”.

Pochi minuti dopo, sono arrivate queste immagini negli spogliatoi.

Le fake news imperano in un mondo come quello del giornalismo attuale. Avevamo letto anche superscoop da fonti di prima mano che parlavano di esonero certo da parte di Andrea Agnelli, cosa chiaramente non avvenuta.

La Juve ha vinto lo scudetto a mani basse, come ampiamente prevedibile. In molti parlano di mancanze di avversarie ed è anche vero. L’Inter di Conte non ha mostrato un gioco convincente e ha qualche calciatore non all’altezza, l’Atalanta è una squadra discontinua e non abituata al vertice, il Napoli ha fatto harakiri, la Lazio è mancata quando si è trattato di giocare ogni tre giorni.

Alcuni detrattori lo attaccano per aver scelto la strada più facile, accordandosi con i rivali che aveva attaccato anni prima. Sarebbe potuto diventare un idolo a Napoli, ma con un fatturato inferiore è ben difficile vincere scudetti. Da parte nostra gli davamo ragione sul discorso del fatturato, che lo ha aiutato in questa vittoria. Quando si parla del valore di un allenatore non regge nemmeno il discorso (giusto se si parla di club) del fatturato che non nasce dal nulla. In questa sede non sindachiamo comunque le scelte.

Vincere uno scudetto in bianconero sembra scontato visto il divario rispetto alle altre e vista la presenza di Cristiano Ronaldo. Eppure in questa stagione sono successe alcune peripezie. Il COVID-19 ha influito su tutte le squadre. Una Juve così in crisi fisica si spiega con l’impossibilità di poter svolgere una vera preparazione. Sarri aveva messo in guardia a tal riguardo. Un tecnico metodico, abituato agli allenamenti settimanali, deve quindi confrontarsi con una realtà diversa.

Nonostante una stagione irta di tribolazioni, sia dal punto di vista della pandemia che dei problemi della rosa, Sarri è riuscito a portare a casa il titolo. Sin dall’inizio ha asserito che si sarebbe adattato alla tipologia di calciatori in rosa, non potendo provare a riproporre lo stesso tipo di gioco del Napoli. «Per 70 metri di campo pretendo di vedere la mia impostazione, ma negli ultimi 30 metri voglio vedere l’interpretazione dei giocatori».

La sua Juve non è riuscita sempre in questo intento. Troppi calciatori a fine ciclo, troppi inadatti. Lo stesso Allegri avrebbe trovato difficoltà. Difficoltà acuite nel post-lockdown, visti gli infortuni e considerata l’impossibilità di preparare le partite al meglio. L’adattamento ai principi difensivi di Sarri è stato facile per alcuni giocatori (De Ligt imperioso), più difficile per altri. Alex Sandro, ad esempio, ha fatto bene solo nei duelli mentre è andato in difficoltà quando bisogna accorciare e rientrare. In questa skill ha trovato problemi anche il suo dioscuro Danilo.

Miralem Pjanic avrebbe dovuto fungere da Jorginho, ma i due hanno caratteristiche diverse. Più difensivo e più bravo ad accorciare l’italo-brasiliano, più creativo il bosniaco. Il gioco di Sarri si basa su raddoppi, squadra corta e lavoro di tutti gli effettivi in fase di non possesso. Douglas Costa non ha la forza per interdire, CR7 non gradisce rientrare, Higuain non ha più la condizione atletica, tantomeno Ramsey, quest’ultimo relegato in panchina.

A supporto di Sarri è arrivato Rodrigo Bentancur, mezzala che incarna bene questi principi. Adrien Rabiot, all’inizio in difficoltà, soprattutto per il periodo di inattività della scorsa stagione, è venuto fuori nel post-lockdown, dando una grandissima mano alla squadra, grazie alla sua forza e alla sua capacità difensiva.

Pertanto, vista la tipologia dei calciatori e l’incapacità e/o la scarsa propensione di qualcuno ad adattarsi, Sarri si è ritrovato ad essere trasformista, modificando l’assetto più volte. Una volta appurato che il rombo non dava più quelle garanzie necessarie, è passato a un 4-3-3 con Bernardeschi fisso a destra e CR7 e Dybala tendenti al centro. Il portoghese parte più da sinistra, l’argentino da posizione più arretrata, senza un centravanti puro.

Sarri si è dovuto adattare, ha rimodellato la squadra, ha fatto e disfatto come Penelope. Questo era obbligatorio, considerato che i calciatori in rosa adatti al suo gioco non sono tantissimi. In più, in tanti sono in fase calante e a fine ciclo. Nelle ultime partite ha avuto a disposizione cinque centrocampisti e questo è stato determinante. In attacco la Juve non ha un esterno destro adatto a certi livelli, mentre i terzini, tolto Cuadrado, non hanno mostrato l’applicazione richiesta da Sarri.

Il tecnico ha così dovuto fare di necessità virtù, ricorrendo alla classe dei suoi campioni principali. Oltre ai due devastanti attaccanti, la Juve è stata tenuta da un imperioso De Ligt, mentre nel finale di stagione è stato decisivo un Rabiot che sta via via tornando quello dei tempi d’oro. La Juve ha preso pugni, ha incassato, ha mostrato crepe, ma non è mai capitolata. A tal riguardo, tra i meriti di Sarri va ascritto quello di aver recuperato due giocatori oramai ai margini come il francese e Bernardeschi, nonché di aver rimesso in carreggiata Paulo Dybala.

Non male per un tecnico che per tanti anni è stato tra i dilettanti. 20 anni fa, il tecnico tosco-napoletano allenava in Eccellenza. Nel 2020 è diventato l’allenatore più anziano a vincere uno scudetto. Proprio perché queste storie sono come mosche bianche in un mondo pieno di scorciatoie e facilitazioni, vale la pena raccontarle con orgoglio, a prescindere da simpatie o antipatie per la persona.