Chiudete gli occhi e tornate indietro col tempo, diciamo a 4 anni fa, quando il VAR non aveva fatto ancora la sua comparsa. Si gioca Napoli-Sassuolo e gli azzurri perdono nettamente. Poi la sera davanti alla TV scoprono che hanno perso per aver subito 4 gol in fuorigioco. Una cosa allucinante. Giù polemiche senza fine, magari anche a ragione. Perché semmai quel Napoli-Sassuolo avrebbe potuto avere un peso per la classifica diverso da quello che ha oggi.

La Var è una cosa santa. Il Var a volte no. Esiste una differenza tra “la” Var, ed “il” Var. La Var è la strumentazione, diciamo così la “moviola in campo”, deturpando il termine e dandogli una definizione impropria, ma per spiegare meglio ai meno esperti. La Var è un freddo mezzo meccanico, che come tale non commette mai errori. Il Var è l’uomo che sta dietro quella macchina. L’arbitro che aiuta chi sta dirigendo la partita in quel momento.

Nei casi geometrici, fuorigioco, falli in area o fuori, pallone uscito dal campo, LA Var non ammette interpretazioni, fa tutto da sola, non sbaglia mai. Negli altri casi, quando c’è di mezzo “IL” Var il discorso cambia. Perché ci sono due uomini a decidere. Il primo, quello davanti al video, che valuta se chiamare o no il collega del campo. Il secondo a cui spetta la parola finale. Entrano in ballo i protocolli, la discrezionalità, e compagnia cantando.

Quando decide la macchina non ci sono errori né polemiche. Quando a decidere sono due uomini, può succedere di tutto. E non solo quando si tratta di valutare l’intenzionalità di una spinta, la congruità o meno di un movimento del braccio. A volte vedono cose che non ci sono, come nei due rigori dati al Parma.

Quando non c’è l’intervento umano è tutto perfetto. Quando c’è di mezzo un uomo, nel caso di un arbitro incapace ad arbitrare (e il mondo arbitrare pullula di questi soggetti, chiaramente non solo in Italia ed Europa), può succedere di tutto…