Il Napoli va fuori dall’Europa League e parte il processo.

Napoli ha voglia di trovare “il colpevole” ha voglia di processare tutto e tutti. Venghino signori Venghino, al banco degli imputati c’è posto, il reato contestato è “Il fallimento”. Già, perché a Napoli, in molti, si sono fatti persuasi che arrivare secondi rappresenti un enorme fallimento.

Ma partiamo dal principio, dal motivo scatenante del processo, la mancata vittoria dell’Europa League.

Il Napoli che tanto bene aveva figurato in Champions, secondo il pensiero di molti, aveva l’obbligo di vincere l’Europa League. Il Napoli aveva l’obbligo, di per se già questo dovrebbe lasciar intendere che realtà e pensiero di qualcuno viaggino su mondi paralleli ed in realtà diverse. L’opinione pubblica ha sentenziato: “Ancelotti ha fallito”. All’uscita dallo stadio la delusione sui volti e nei discorsi dei tifosi si poteva toccare con mano, ma tutti erano concordi: “Abbiamo sbagliato l’approccio alla gara”.

Le opinioni sono tutte assai rispettabili, ma in quanto opinioni sono opinabili. C’è un dato di fatto che è assolutamente indiscutibile, il Napoli, prima del fatale minuto 36′ (punizione vincente di Lacazette) aveva per ben tre volte, messo l’uomo in condizioni di calciare a pochi passi dal portiere.

Prima Callejon, poi la rete annullata a Milik per un fuorigioco di pochi centimetri (bravissimo il guardalinee) e poi ancora Milik di testa. Tre palle goal nitide, nette, solari, incontestabili. Questo, badate bene, non vuol dire che il Napoli abbia giocato bene, ma parlare di approccio sbagliato quando si creano tre nitide palle goal nella prima mezz’ora contro l’Arsenal, non esattamente il Casalpusterlengo, vuol dire farsi trasportare dal risultato finale e giudicare senza lucidità.

Il fallimento di Ancelotti

Il primo colpevole della gogna mediatica è ovviamente l’allenatore. Carlo Ancelotti, l’uomo dei tanti trofei, l’uomo dai sei milioni di euro l’anno, colpevole di aver distrutto l’eredità lasciatagli da Sarri. Il Napoli di Ancelotti ha dei difetti, sono evidenti, non li si può nascondere, ma il Napoli di Ancelotti resta comunque una squadra che con ogni probabilità, al netto di catastrofi nucleari, si piazzerà nelle prime tre della classifica, presumibilmente alla seconda piazza. La società partenopea, nella sua storia, solo sette volte si è piazzata sul secondo gradino del campionato, il che rende l’idea di come la parola fallimento strida con i numeri che non sono opinabili. Oggi, chi critica aspramente Ancelotti è lo stesso che criticava il bel Napoli di Sarri, colpevole di integralismo, chi criticava il Napoli di Benitez ed il suo centrocampo a due, ed anche chi criticava la difesa a tre di Mazzarri. Insomma, pare che non vada mai bene nulla e si pretenda la perfezione. Oggi, si parla di fallimento, di anno di transizione, quando poi il Napoli può arrivare secondo. La transizione del Napoli equivale ad un secondo posto, sono lontani i tempi delle feste per le qualificazioni in Champions, qualcuno forse, ha scambiato il Napoli per il Real Madrid o il Barcellona.

Si vince tutti e si perde tutti.

Dicevamo di Ancelotti unico colpevole. La logia, nei giochi di squadra, impone che le responsabilità, ove mai ci siano e gli allori vanno suddivisi in parti uguali. Si vince tutti insieme (Tecnico, società, squadra ed ambiente) così come quando si perde le responsabilità sono da dividere in parti uguali.

Da “Al di là del risultato” a “Pretendiamo la Coppa” il passo è breve.

Coerenza e mentalità, lo slogan più in voga nella pancia del tifo partenopeo. C’era una volta un San Paolo che era il dodicesimo uomo in campo, un San Paolo che incitava la propria squadra a prescindere da chi indossasse la camiseta azzurra, a prescindere dal risultato. C’era un pubblico che esponeva stendardi con scritte “Al di là del risultato”. Poi improvvisamente, questo pubblico si è imborghesito, ha iniziato a disertare lo stadio, ha iniziato ad avere un atteggiamento quasi juventino, a pretendere trofei, si è passati da “Al di là del risultato” “Vincere è l’unica cosa che conta”. Coerenza… Appunto.

Facciamo lavorare Ancelotti

Il tecnico di Reggiolo ha avuto una sola colpa, quella di accettare Napoli dopo l’era Sarri. Era chiaro a tutti, o per lo meno si pensava così, che il triennio di Sarri con l’apice dell’ultima stagione, sarebbe stato qualcosa di irripetibile. Ciò che l’ex tecnico del Napoli ha costruito e fatto con un manipolo di bravi ragazzi, resterà per sempre negli occhi, nelle teste e nei ricordi di tutti i napoletani, ma comunque si tratta del passato. Bisogna ripartire dal Napoli odierno, magari meno emozionante, ma comunque un Napoli che nel momento di maggiore forma ha saputo tenere testa al Liverpool, semifinalista in Champions ed al Psg, non le ultime squadre di questo pianete.

E’ evidente a tutti che negli ultimi due mesi la squadra ha subito una involuzione sia fisica che di gioco, ma di certo Ancelotti non si è rincoglionito tutto d’un tratto. Il tecnico emiliano si è cimentato, si sta cimentando, in quella che forse lui stesso reputa la più grande sfida della sua carriera, un pò come Capello fece accentando Roma.

Anche in quel caso, il primo anno fu assai criticato dall’ambiente, salvo poi vincere lo scudetto l’anno dopo ed entrare per sempre nell’Olimpo dei tifosi.

Tutti hanno bisogno di tempo, lo stesso Ferguson prima di creare l’epopea del Manchester dai 30 titoli e più, ha vissuto cinque anni di nulla. Cinque anni di amare delusioni con piazzamenti in alcuni casi oltre il decimo posto. Il tempo, solo il tempo ci dirà se il binomio Ancelotti-Napoli sarà vincente, ma è bene che la piazza si affidi alle mani del tecnico che non è l’ultimo arrivato ma che ha solo bisogno di tempo.

Per vincere il primo scudetto, Napoli ha impiegato sessant’anni di storia, concedere un paio di stagioni ad Ancelotti si può, anzi, si deve

 

Walter Vital