Napoli, la grande lezione del 10 maggio

“La storia ha voluto una data: 10 maggio 1987”: era lo striscione che giganteggiava in curva B al San Paolo il “giorno”. Oggi tutti i napoletani sparsi per il mondo almeno per un momento ripenseranno a quella data. Sono passati 34 anni. Molti non c’erano ancora, tanti, diciamo tutti quelli che hanno meno di 40 anni, non hanno ricordi precisi. Ma il 10 maggio è per tutti una data impressa nella memoria. Un po’ come il 5 maggio, per merito (magari colpa) di Manzoni, più che di Napoleone. O come il 24 maggio, per la storia del Piave, anche se il 24 maggio sul Piave non successe nulla, semmai accadde qualcosa di fondamentale 3 anni dopo, a fine ottobre.

La voce di Enrico Ameri. Le immagini di Paolo Valenti. Il racconto di Gianni Minà. L’ironia di Massimo Troisi. La città innamorata del tricolore. Napoli era in estasi. Il 10 maggio 1987, una TV napoletana fece una diretta televisiva che durò 24 ore fino al fischio di inizio di Napoli-Fiorentina, che con un pareggio avrebbe sancito il primo scudetto azzurro e la salvezza per i viola. Chiunque avesse voglia di dire qualcosa, fosse un addetto ai lavori, un artista o un passante qualsiasi, non necessariamente tifoso, si recava presso gli studi televisivi, gli davano un microfono e lo facevano parlare.

Il 10 maggio è sinonimo di festa, di vittoria, per Napoli. Dovrebbe essere però una grande lezione. Quello era il Napoli di re Diego ma anche di Bagni, De Napoli, Giordano e Renica. Era il Napoli che aveva in Bruscolotti “pale e fiero” ed in Ferrario i vecchi gregari che avevano solo sfiorato e pianto tante volte per uno scudetto perduto. Soprattutto Ferrario, che nel 1980 aveva reso vani i sogni azzurri con quell’autogol contro il Perugia.

Quello scudetto a Napoli non arrivò per caso. Di scudetti vinti per caso ce ne sono (pochi) nella storia del calcio italiano. Fu per caso vinto lo scudetto del Cagliari, nel 1970. C’era Riva, c’erano tanti buonissimi calciatori, ma non era quella una squadra costruita per vincere. Vinse perché era fortissima, ma era fortissima quasi per caso. Ancora più casuale furono gli scudetti di Fiorentina e Verona. La stessa Sampdoria di Vialli e Mancini vinse un po’ a sorpresa nel 1991. Lo scudetto del Napoli fu vinto grazie ad una programmazione precisa.

Il Napoli non vinse lo scudetto solo perché aveva comprato Maradona. Diego fu decisivo, ma per assurdo lo fu più fuori dal campo che in campo. Dopo il primo anno all’ombra del Vesuvio il Pibe andò da Ferlaino e disse: “O fai la squadra per vincere lo scudetto, o me ne vado”. Ferlaino sino a quel momento non aveva mai davvero pensato allo scudetto. Aveva spesso preso grandi giocatori, fatto grandi acquisti, Savoldi su tutti. Ma non aveva mai fatto una programmazione seria per arrivare allo scudetto. Diego l’obbligò a farla. Arrivò Allodi, fu programmata la squadra vincente. Nei successivi 5 anni il Napoli vinse due scudetti, ma arrivò due volte secondo, ed una volta terzo in campionato. E vinse anche la Coppa Uefa. Che non è la stessa cosa dell’Europa League, ma all’epoca, per quanto meno prestigiosa, era più complicata della Coppa dei Campioni.

“Bisteccone” Giampiero Galeazzi era il giornalista che seguiva il Napoli: “Il racconto dello scudetto del Napoli negli spogliatoi è stato forse il momento più alto della mia carriera da giornalista”, dice Galeazzi, che ricorda: “Lasciai il microfono in mano a Maradona che raccontò tutto il campionato con i suoi compagni. Fu veramente una grande emozione”. “Io sono tifoso della Lazio ma il Sud dovrebbe essere più unito e compatto, ma non lo abbiamo ancora capito”.

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Il 10 maggio del 1987 il Napoli non vinse solo lo scudetto, portò a termine un programma preciso. Era una squadra costruita per vincere. Il Napoli di De Laurentiis ha sfiorato lo scudetto del 2018. Squadra straordinaria, in cui per incanto tutto andò alla perfezione. Una squadra che valeva individualmente 80, ma messa insieme valeva 120. Un allenatore bravo, bravissimo, ma che solo con quel gruppo è riuscito a rendere concreta la sua idea meravigliosa di calcio.

Ma non era una squadra programmata per vincere, fermo restando gli sforzi effettuati sul mercato e per trattenere tutti i migliori, o quasi. Si ritrovò quasi per caso, ed alcune scelte, decisive, furono assolutamente fortuite. Una squadra costruita per vincere non vende il suo miglior calciatore. E senza l’infortunio di Milik ed il fallimento caratteriale di Gabbiadini, mai Mertens avrebbe giocato da prima punta.

La lezione da cogliere per le squadre (in generale) del 10 maggio è questa. Per vincere bisogna programmare. Nel calcio, e non solo.