Conflittualità e Balcani, un binomio che ha segnato indelebilmente il corso del ‘900 nel vecchio continente ridisegnandone la conformazione sociale, economica e politica; lì, come in poche altre porzioni del mondo, l’equilibrio latita, ed il compromesso è rarità.

Molteplici etnie, quattro lingue, le tre grandi religioni monoteiste, e due alfabeti tentano di coesistere, con alterne fortune, in quel lembo di terra increspato, posto fra il Mediterraneo e il Mar Nero da secoli; è fisiologico quindi che da un contesto così dinamico vengano alla luce uomini in cui alberghino anime differenti, senza mezze misure in continuo conflitto con sé stessi tanto quanto con gli altri, difficili da comprendere e spiegare, indipendentemente dall’ambito in cui agiscono, che sia esso un teatro, un auditorium, un parquet o un rettangolo di gioco in erba lungo un centinaio di metri.

Se poi il tuo nome è Amer (origine araba), il tuo cognome Gojak (origine serbo/croata), sei nato nella Sarajevo post-bellica in una fredda giornata del febbraio ‘97 e cresciuto inseguendo un pallone, anzi facendolo inseguire agli altri perché eri il più dotato, è molto probabile che in te siano racchiuse più essenze, ma una sola indole, quella balcanica, il cui unico precetto è quello di seguire il talento ovunque esso ti porti.

Talento che, nel caso del ventunenne bosniaco cresciuto fra le giovanili dell’FK Novi Grad e quelle del più titolato Zeljezničar, risulta essere piuttosto lampante e dirompente permettendogli di esordire in massima serie nel ‘13/‘14 fra le fila dell’Olimpik Sarajevo, con cui milita però per meno di un biennio riuscendo comunque a collezionare quattro reti in ventidue presenze.

Nel gennaio 2015 arriva per il centrocampista l’irrinunciabile chiamata dalla Dinamo Zagabria, da sempre fucina di talenti nonché uno dei palcoscenici più nobili del calcio balcanico, ed è proprio al Maksimir che Gojak (pagato 440ml €) rivela al grande pubblico le sue doti, nonché l’atipicità che lo contraddistingue e lo rende uno dei rebus più intriganti del panorama calcistico ex-jugoslavo.

Amer Gojak infatti è un tuttocampista difficile da inquadrare tatticamente, in carriera ha già ricoperto la totalità dei ruoli dalla mediana in su (inserisci immagine) il fisico possente ma asciutto (184 cm per 74 kg) gli permette di avere una buona protezione del pallone, negli ultimi tre anni, cioè da quando è diventato uno dei principali interpreti nella Dinamo Zagabria, con cui ha già vinto tre 1.HNL e tre Coppe di Croazia, la sua posizione in campo è diventata più convenzionale, oscilla infatti dal giocare mezzala destra in un 4-3-3 al ruolo di “trequartista” nel 4-1-4-1 creando con Olmo/Moro e Ademi (vertice basso) un trio potenzialmente devastante, come già in parte dimostrato in EL dove la Dinamo ha conquistato quattro vittorie e un pareggio in un girone per nulla scontato (2 reti di Gojak).

L’ eccezionalità del bosniaco sta nel non essere innamorato del pallone, né un accentratore di gioco, o un giocoliere. Sembra infatti a più suo agio senza la sfera fra i piedi, malgrado le doti tecniche eccellenti, preferisce un calcio verticale, sempre e comunque, la ricerca anche indisciplinata degli spazi dietro le linee di pressione avversaria è quasi ossessiva e non sempre remunerativa.

Ha inoltre ottimi tempi di inserimento in area avversaria (22 gol in carriera) e un ottimo destro, ma una mancanza di equilibrio sia mentale che tattico che spesso lo porta a diventare marginale per la costruzione del gioco, equilibrio che però è in grado di rompere con movimenti geniali senza palla o con strappi di 20/30 metri.
Sembra quindi difficile imbrigliare e catechizzare un giocatore simile, in grado di seguire solo il suo istinto senza cercare razionalità, e dopotutto a noi può anche andare bene così, perché i Balcani in fin dei conti sono uno stato d’animo.

Nicoló Palmiotta