Vedere Iván de la Peña passare un pallone era come vedere un artista che guardava la proprio tela bianca. Lo spagnolo disponeva di un intero piano di creazione davanti ai suoi occhi. De la Peña aveva il potenziale per diventare un vero artista di questo sport.

Se consideriamo i centrocampisti più forti nell’arte del passaggio, potremmo pensare a Paul Scholes, Xabi Alonso, Ronald Koeman o forse al dinamico duo composto da Xavi a Andres Iniesta. Considerando gli sviluppi della sua carriera e una bacheca avara di trofei, non si è portati ad annoverare de la Peña tra gli artisti del passaggio. La sua storia non è una storia complessa, bensì un racconto semplice e, per questo motivo, la sua incapacità di sbocciare pienamente è stata ancora più sconcertante.

Friedrich Nietzsche, nella sua concezione dell’Übermensch (il Superuomo), immaginava una persona capace e disposta a spingersi al di là di ogni possibile sforzo umano. Affermava: “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”. In questo eloquente giro di parole, mette in moto l’idea che è dal nulla (caos) che siamo in grado di produrre un qualcosa di veramente grande (una stella danzante). Per essere grandi, bisogna osare.

Più che al caos e alle stelle, il pensiero potrebbe essere applicato anche a de la Peña, che riceveva il pallone in una zona “trafficata” del campo. Eppure, in qualche modo,era in grado di scegliere un pertugio per il passaggio con una precisione simile a quella del laser. Sul campo, quando era in giornata, era una forza onnipotente con una sfera di cristallo, sempre consapevole di tutto ciò che poteva accadere.

Al di là della sua preveggenza e della sua visione, la sua vera ricerca dell’eccellenza era data dalla sua esecuzione. Ai tempi del Barcellona, la sua destrezza nel tocco era inquietante. Non sono molti i giocatori che possono vantare una varietà nei passaggio come la sua.

Gli anni con Cruyff

Tuttavia, de la Peña non è mai stato un calciatore costante e, leggendo tra le righe del suo soprannome, il Piccolo Buddha, era spesso pigro e svogliato. Amava inventare per mettere i compagni davanti alla porta, ma non è mai stato avvezzo al sacrificio. Nei suoi primi giorni a Barcellona, al suo debutto a solo 17 anni, era diventato l’idolo dei tifosi grazie al suo calcio spettacolare, ma non riusciva ad andare d’accordo con il tecnico Johan Cruyff.

Iván de la Peña riceve indicazioni dal tecnico Johan Cruyff

Si diceva che Cruyff fosse preoccupato che de la Peña potesse detronizzare suo figlio Jordi, ma questa affermazione non trova grossi riscontri della realtà. Cruyff esigeva ancora un approccio molto ravvicinato al Totaalvoetball (il “Calcio totale”), che insegnava in campo e fuori dal campo. Chi non era disposto a correre e a sacrificarsi non sarebbe mai entrato nelle grazie del tecnico. Il Piccolo Buddha era come un pesce fuor d’acqua in questo sistema.  Cruyff aveva bisogno di giocatori vogliosi di riconquistare il possesso e aperti a recepire le sue istruzioni per adattarsi al suo Barcellona rivoluzionato. De la Peña era troppo indolente e compiacente. La visione calcistica ostinata del tecnico olandese non prevedeva la presenza spagnolo. La sua riluttanza a lavorare sul piede sinistro e a sviluppare il necessario spirito di squadra ha creato divergenze irriconciliabili tra i due.

Sotto un aspetto, il Barcellona ha aiutato molto de la Peña. In quegli anni la squadra blaugrana puntava su un tipo di gioco che esaltasse le qualità tecniche. L’avversione per la corsa e il sacrificio portò lo spagnolo ad affinare i propri passaggi. Pensateci. Non ti piace correre, non hai la fortuna di avere qualità atletiche per superare gli avversari e rincorrerli, e ti rendi conto che la palla si muove più velocemente di quanto potresti mai fare. Che cosa fai? Impari a farla correre.

Gli inizi

Iván de la Peña è nato a Santander, in Cantabria, nel nord della Spagna, la città costiera che gode di acque turchesi che riflettono il sole come diamanti e con strade ricoperte di freschi mattoni e marciapiedi ai livelli dei migliori centri metropolitani d’Europa. Sorvolando la città, si nota una giustapposizione di aree verdi lussureggianti e di tetti di terracotta ardente. È qui che il giovane Iván ha dato i primi calci a un pallone con i suoi amici. Era chiaramente era di un altro livello rispetto a loro.

All’età di 15 anni, il prodigio lasciò queste strade inondate di sole e i sentieri tortuosi per dirigersi verso la capitale catalana, Barcellona. Era un prodigio. Debuttò nel Barcellona B a 16 anni e, due anni dopo, nel 1995, fece il suo ingresso nel palcoscenico del Camp Nou.

Quando Lionel Messi fece il suo debutto per i Blaugrana quasi un decennio dopo, l’ex tecnico del Tottenham Mauricio Pochettino allenava l’Espanyol (l’ultima squadra in cui ha militato de la Peña). Eppure le parole di Pochettino sull’esordio di Messi non sono quelle che ci si potrebbe aspettare. “Non ricordo la prestazione di Messi al suo esordio. Io ero al centro della difesa e lui giocava sulla fascia. Non ci siamo affrontati. Quando Messi ha fatto il suo debutto, era come se avesse debuttato nel Barcellona un qualsiasi giovane della cantera – come se fosse Xavi o Iniesta o Iván de la Peña. Beh, in realtà, no. Quando de la Peña iniziò a giocare per il Barcellona, ci fu un’esplosione di entusiasmo. Ricordo che Ronaldo il Fenomeno lo definiva il miglior calciatore che avesse mai visto giocare“.

de la Peña e Ronaldo

Il centrocampista spagnolo e il fuoriclasse brasiliano hanno giocato insieme con la maglia Blaugrana nel 1996-1997, senza dubbio la miglior stagione della carriera di un 19enne de la Peña. Quest’uomo, che non arrivava al metro e settanta di altezza, era capace di prestazioni mirabolanti agli inizi al Barcellona. Dopo l’addio di Cruyff al club, de la Peña ha raggiunto il suo crescendo con la squadra catalana sotto la guida di Bobby Robson, dopo che le esibizioni nell’Under 21 spagnola durante la finale del Campionato Europeo del 1996 lo hanno aiutato a riconquistare l’attenzione del club. È qui, a Barcellona, che si è sviluppata la sua partnership con Ronaldo ed è qui che Ronaldo è stato testimone della qualità del suo compagno di squadra.

Membro importante della squadra 1996/97, de la Peña ha aiutato il Barça a conquistare la Coppa del Re, la Coppa delle Coppe e la Supercoppa UEFA, oltre che a raggiungere il secondo posto a in Liga, a soli due punti dal Real Madrid. Sia nel 1996 che nel 1997, de la Peña è stato eletto Miglior Giovane Giocatore dal quotidiano spagnolo El País. Era un calciatore sicuro di sé e che, aiutato dai movimenti del Fenomeno, dipingeva calcio con le sue geniali imbeccate.

Dopo un successo inimmaginabile ma di breve durata, Robson lasciò i Blaugrana per prendersi un anno sabbatico e Ronaldo si trasferì inaspettatamente all’Inter. Il sostituto di Robson, Louis van Gaal, aveva le stesse idee di Cruyff su de la Peña.

L’avventura alla Lazio

La Lazio lo chiamò e lo spagnolo accettò di buon grado, viste le ambizioni dei biancocelesti. Al presidente Sergio Cragnotti fu assicurato che i 30 miliardi sborsati per prelevare l’allora ventiduenne “Maradona spagnolo” e i 6 miliarid di ingaggio al calciatore sarebbero stati soldi ben spesi. Non fu così. Sven-Göran Eriksson dava libero sfogo alla sua inventiva, ma le sue esibizioni furono maldestre, quasi comiche. Tutta la scintilla che aveva prodotto in Spagna sembrava spenta.

Al suo arrivo a Roma, fu travolto da un bagno di folla, che lo portò ad esclamare “Muy impresionante”. Dal balcone dove fu presentato alla folla biancoceleste, de la Peña affermò “Ronaldo mi voleva all’Inter, ma io ho scelto la Lazio perché mi ha fatto sentire importante”. E dire che gli inizi erano stati positivi, grazie ai due assist nella Supercoppa vinta contro la Juventus. Il Piccolo Buddha aveva superato il rituale iniziatico in biancoceleste. Eppure, come Cruyff e Van Gaal, anche Eriksson non gradiva la scarsa propensione di de la Peña al sacrificio e dichiarò perentoriamente al presidente Cragnotti che il trequartista spagnola non gli serviva. Fu messo rapidamente nel dimenticatoio e ad inventare ci pensava Roberto Mancini.

Il prosieguo

Anche il prestito al Marsiglia e il ritorno al Barcellona furono un flop. All’Espanyol non ha rinverdito i fasti del passato, ma è tornato ad essere un calciatore rispettabile. Nella seconda squadra di Barcellona, de la Peña ha avuto quello che gli serviva: il rispetto che si sentiva di meritare, l’abbraccio affettuoso di un club e dei tifosi e, soprattutto, la costanza la stabilità per costruire una solida base di crescita. Arrivato nel 2002, è rimasto 11 anni all’Espanyol, dove ha totalizzato 156 presenze e 8 gol, diventando il fulcro del gioco e vincendo nel 2006 la Coppa del Re. La sua carriera è andata avanti con discrete soddisfazioni. Avrebbe potuto fare ancora meglio dopo il flop alla Lazio, ma de la Peña è stato in grado di capire i propri limiti.

Il calcio, come tutti sappiamo in tali occasioni, è infinitamente capace di evocare un turbamento, anche se raramente di queste portata. Per parafrasare uno dei principi dello stoicismo: “Siamo molto più feriti da cose che non ci aspettiamo ci accadano”. Lo stesso vale per la sorpresa; siamo profondamente più sorpresi quando si verifica il vero imprevisto. Sembra ovvio, ma solo perché è visto con il senno del poi.

Iván de la Peña è stato un personaggio discusso. Era lunatico, spesso credeva che per essere apprezzato gli bastasse inventare calcio e non voleva saperne di tornare a difendere o effettuare tackle. Nonostante questi freni che gli hanno impedito di realizzare una grande carriera, non era una figura complessa, ma un uomo semplice e sobrio, con un piede destro straordinario.

Iván de la Peña offriva a tifosi, giocatori e allenatori emozioni fuggenti. Non era definito il Piccolo Buddha per il suo aspetto, ma perché deteneva un potere così grande, incontaminato, ma raramente evocato. Il suo piede destro celestiale apparteneva a un semidio che non è mai sbocciato veramente. Se ne stava lì, da solo in una squadra di giocatori, sicuro nella consapevolezza di essere capace di cose al di là dei sogni più sfrenati. Iván de la Peña è stato limitato solo da sé stesso.