Neeskens, non chiamatelo “l’altro Johan”

Ci ha oggi lasciati all’età di 73 anni Johan Neeskens, uno degli interpreti principe della Grande Olanda. È quasi naturale, per chiunque incroci sul selciato del mondo, associare il calcio totale e l’epopea olandese a Johan Cruyff. Un uomo che, col solo muoversi sul campo, ha saputo piegare il gioco alle sue idee, conquistando trionfi collettivi e personali con una facilità che lascia interdetti. Non è solo stato un campione, Cruyff: è stato l’artista, il profeta, colui che ha cambiato per sempre il modo di intendere questo sport. La sua presenza era ovunque, i suoi movimenti un inno all’efficienza, e la sua visione ipnotizzava un mondo intero. Questo Messia del pallone non ha solo giocato: ha riscritto le regole, lasciando dietro di sé un solco che il tempo, si può star certi, non cancellerà.

Il Calcio Totale, come lo concepì Rinus Michels, non si riduceva a lampi di genialità o a raffinate finte. In esso, come nella natura stessa, risiedeva una dualità profonda. Se da un lato esaltava la creatività sconfinata con il pallone, dall’altro viveva di una furia quasi ossessiva senza palla: pressing spietato, controllo maniacale. Cruyff incarnava lo yin, la pura estasi tecnica; Neeskens, lo yang, la brutale efficacia in fase di recupero. Due facce indissolubili di una stessa, inarrestabile macchina calcistica.

Neeskens non nacque nelle fucine raffinate delle giovanili dell’Ajax, bensì era un diamante grezzo, scolpito nelle cave più umili del Racing Club Heemstede nel 1970. Un colpo di genio, quello di Michels, che trovò in lui il tassello mancante del mosaico perfetto, per portare il calcio totale alla gloria europea. Il Feyenoord di Ernst Happel, già laureatosi campione l’anno prima, aveva tolto all’Ajax l’onore di essere il primo club olandese a conquistare l’Europa, lasciando a Michels e ai suoi uomini una sete di rivalsa.

Neeskens, un motorino inesauribile, venne spostato più avanti da Rinus Michels, che ne intuì la capacità innata di disturbare gli avversari e sfruttarla come un detonatore per l’intera squadra. Con lui proiettato in avanti, il gruppo si compattava e avanzava come un blocco unico, riducendo lo spazio di manovra per gli avversari e soffocandone ogni iniziativa. In questo si rifletteva uno dei principi cardine del calcio olandese: il controllo dello spazio. Come disse Sjaak Swart, Neeskens era un uomo capace di “giocare per due” a centrocampo. Una macchina da guerra, fisica e tattica, che trasmutava l’azione difensiva in offensiva in un battito di ciglia.

Neeskens godeva di un’aura mitica, idolatrato dai tifosi ovunque mettesse piede. Era venerato in ogni squadra in cui militava, non solo per il suo talento calcistico, ma anche per quel fascino da rockstar: i lunghi capelli biondo scuro, ondulati, e gli occhi di un verde oliva magnetico. Le ragazze lo adoravano per l’aspetto, ma il suo richiamo andava oltre l’estetica: uomini e donne, di ogni estrazione e mestiere, erano rapiti dalla sua instancabile dedizione sul campo. Sembrava un guerriero fatto d’acciaio e passione, capace di incarnare lo spirito del gioco, di dare tanto quanto riceveva, un centrocampista che, da solo, pareva coprire il lavoro di due.

Yin e yang. Spesso li immaginiamo come forze opposte, in eterno conflitto, ma in realtà sono una danza, un dialogo. Lo yang di Cruyff, pura eleganza, creatività, la bellezza del calcio nella sua forma più sublime, aveva bisogno dello yin di Neeskens. Non solo tackle, ma una mente che capiva come costruire spazi, lavorare nell’ombra per permettere allo yang di brillare. E così, Neeskens era pienamente consapevole che ogni suo movimento senza palla, ogni duello vinto, non esisteva senza l’arte di Cruyff a capitalizzarlo. La dicotomia è un’illusione. Yin e yang sono ingranaggi perfetti di una macchina più grande, e insieme hanno dato vita a qualcosa di più del semplice gioco. Hanno incarnato l’essenza del Calcio Totale, dove ogni componente diventa indispensabile per il tutto, e il tutto va oltre la somma delle sue parti.