Antonio Conte non è affatto un integralista. Tant’è vero che ha iniziato da poco un nuovo ciclo tattico all’ombra del Vesuvio. Effettivamente, in Coppa Italia, derogando dal 4-3-3 con cui aveva affrontato la trasferta di Torino, contro il Palermo ha scelto di stravolgere un po’ le gerarchie. Confermando al contempo che la sua idea di calcio è assai fluida. Non a caso, ha optato per il 4-2-3-1.
L’Uomo del Salento, dunque, ha insistito su qualcosa di nuovo. Del resto, proprio così aveva già mandato in confusione Thiago Motta, incartando la Juventus a domicilio. Ma se il match dell’Allianz Stadium aveva raccontato bene i pregi difensivi del Napoli attuale, nonché qualche limite in attacco, ieri sera i padroni di casa hanno prodotto un numero maggiore di situazioni potenzialmente pericolose.
Insomma, non poteva esserci nulla di meglio per aumentare il livello di credibilità degli azzurri in ottica alta classifica che far fruttare il ritrovato entusiasmo al cospetto dei rosanero, scavallando il Secondo Turno senza farsi troppo male.
Ngonge e Neres imprendibili
Al fischio d’inizio evidente la volontà dell’allenatore salentino di concedere minutaggio a chi finora s’è dovuto accontentare delle briciole, coinvolgendo tutti gli uomini della rosa. Anche se una proposta di gioco così ambiziosa richiede un livello di sintonia e conoscenza tale che per continuare a evolversi non ammette distrazioni o cali di tensione. Ovviamente, quando in campo ci vanno alcune alternative, le cose cambiano. In fondo è fisiologico, per chi viene utilizzato meno, tentare di mettersi in mostra, esaltandosi dentro un contesto profondamente rinnovato.
Nondimeno, pur considerando la differenza di categoria, oltre al fatto che la gara sia finita subito in discesa grazie all’uno-due mortifero con cui Ngonge l’ha praticamente messa in ghiaccio, bisogna però tener conto di una cosa: la gran parte di ciò che il Napoli ha svolto egregiamente è una diretta conseguenza delle scelte strategiche fatte da Conte. In primis, consolidando il possesso in virtù di un tasso tecnico decisamente superiore. Cercando quindi di sfruttare gli spazi che si venivano a creare occupando stabilmente la trequarti avversaria.
Il piano-gara di Dionisi non ha funzionato granché. Il Palermo era strutturato per rimanere compatto al centro. Evidente che volesse mantenere le linee strette e corte, per togliere spazio in mezzo, scalando poi in zona palla coi “quinti”. Ma Mazzocchi e Spinazzola ricercavo l’ampiezza, mentre Neres e Ngonge erano bravi a buttarsi dentro, aggredendo la profondità. Questo è stato il principale tema dei partenopei nel primo tempo, alimentato dalla qualità di Lobotka e Gilmour nell’esplorare gli “half spaces” con traiettorie di passaggio precise. Il doppio metodista ha permesso di aumentare la pulizia del giropalla, e la lettura delle situazioni favorevoli nella costruzione bassa.
Esaltante in ampiezza e profondità
In questo scenario, nonostante i palermitani volessero giocare una partita molto orientata sull’uomo e incline al pressing, erano comunque incapaci di chiudere la porzione di campo compresa tra Lund e Saric, sul loro lato mancino. E da Buttaro e Vasic sul versante opposto. Proprio in quella zona si inserivano gli offensive player di Conte, accelerando il ritmo in conduzione: le incessanti rotazioni tra terzini ed esterni de facto hanno contribuito a soffocare le velleità difensive degli ospiti.
Certo che se Dionisi pensava di ottenere la superiorità numerica sottopalla, facendo grande densità con una linea arretrata da tre e un centrocampo a cinque, abbinando dosi massicce di raddoppi, dopo ha concesso davvero il dominio nei duelli individuali a Neres e Ngonge. Senza trascurare il ruolo di catalizzatore assunto da Raspadori. Abile come al solito nel venire incontro al possessore, attirando fuori i difensori. D’altronde, i primi due gol nascono entrambi da ricezioni tra le linee: movimento chiave per innescare la traccia profonda, dopo avere mosso la difesa, premiando l’inserimento di Ngonge.
In definitiva, sembra che ormai il passaggio al 4-3-3 (o sue interpretazioni) sia un fatto compiuto. Forse è controintuitivo immaginare che il lavoro di Conte possa promettere ulteriori miglioramenti. A maggior ragione con due pedine del calibro di Gilmour e di McTominay, in grado di garantire una certa solidità al centrocampo. In quest’ottica, tuttavia, non va dimenticato il livello del Palermo, che resta una squadra di Serie B, seppur di alta classifica.
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