Da settimane il mondo dell’informazione ironizza sull’immobilismo del Napoli in tema di acquisti. Inevitabile, viste le enormi difficoltà incontrate finora nella fantomatica campagna di rafforzamento. Al netto della firma di Davide Neres, dunque, prosegue il lavoro di Manna, impegnato a Londra nella estenuante trattativa col Chelsea, tutt’ora restio ad accettare la proposta paventata dal diesse per chiudere il “caso” Lukaku. Urge sciogliere il nodo legato alla formula: il club partenopeo spinge per il prestito oneroso con obbligo di riscatto. I Blues invece pretendono un trasferimento a titolo definitivo. Magari concedendo uno sconticino sulla clausola rescissoria, pari a 43 milioni. ballano ancora 10 milioni tra i 40 milioni richiesti ed i 30 offerti. Eppure Big Rom è dichiaratamente fuori dai programmi tecnici del manager Enzo Maresca.
Chissà che non sia proprio questo stallo a deformare la valutazione sull’operato della società. Insomma, siamo molto lontani dai fuochi di artificio. Davvero in alto mare, distanti anni luce dal mercato pirotecnico che si aspettavano i napoletani. A questo punto, facile pensare che sia stato commesso qualche errore di valutazione. Perché siamo al 23 agosto, con la Serie A già iniziata.
La ricostruzione più aderente alla realtà è quella che prevede un progetto a medio-lungo termine. Giustificabili, in tal senso, le titubanze sul mercato, con De Laurentiis che in qualche modo mette in preventivo un anno di transizione. Senza però fare i conti con un problema piuttosto complesso: il gruppo affidato attuale è troppo simile a quello dell’anno scorso. Ergo, sembra poco competitivo in ottica alta classifica.
D’altronde, è forte il pregiudizio nei confronti di DeLa, considerato da una fetta consistente di tifosi null’altro che un businessman, piuttosto del munifico mecenate, innamorato follemente dei colori azzurri. E perciò disposto a spendere come se non ci fosse un domani. Innegabile che all’ombra del Vesuvio il presidente non sia particolarmente popolare, almeno tra chi considera la sua gestione lo stereotipo del calcio moderno. Quello in cui è necessario associare ai risultati sportivi le esigenze di bilancio. Con gli aspetti economico-finanziari che però troppo spesso prevalgono sugli obiettivi strettamente connessi al gioco. Nondimeno, negli anni Don Aurelio è riuscito, con intuizioni talvolta geniali, a costruire un modello assai funzionale. Peccato che poi il Covid abbia azzerato il gigantesco meccanismo che aveva alimentato – sarebbe meglio dire, drogato -, il mercato: le famigerate, nonché lucrosissime, trading player.
Oggi il riscontro del campo passa necessariamente attraverso una società forte. Quindi essere ambiziosi diventa più complicato. Bisogna adattarsi al mutare del tempo e dotarsi di una macchina strutturata a livello organizzativo. In questo scenario si inserisce l’arrivo di Antonio Conte. E pure di Lele Oriali. Entrambi corrispondono in pieno all’identikit dei personaggi che servono al Napoli per risollevarsi dalla peggior crisi di sempre dell’era ADL.
L’Uomo del Salento non è un allenatore qualsiasi, ma un vincente per antonomasia: solo un profilo del genere avrebbe avuto gli attributi abbastanza grossi per accettare di rilanciare il Napoli, dopo la fallimentare stagione post scudetto. Il suo arrivo aveva contribuito a riportare tranquillità in un ambiente completamente sfiduciato dalla scellerata gestione di una vittoria storica da parte della proprietà. Nonché suscitare un mucchio di aspettative in tifosi e addetti ai lavori, nonostante dovesse convivere con l’eco di risultati deludentissimi inanellati da questo gruppo, seppur allenato da tre “fenomeni della panchina” (teoricamente…) inferiori al nuovo arrivato per curriculum ed esperienze professionali.
Conte mai avrebbe immaginato di trovare acque così tumultuose navigando all’ombra del Golfo di Partenope. Forse per questo le sue parole, nella consueta conferenza stampa della vigilia, sono orientate più a commentare un mercato che resta decisamente interlocutorio. Piuttosto che approfondire i temi del match contro il Bologna. Su questa decisione avrà pesato una certa dinamica, poiché la pressione di dimostrare subito che la musica fosse cambiata rispetto al recente passato ha prodotto il cortocircuito emotivo, causa principale della inopinata sconfitta di Verona. Purtroppo, una triste consuetudine. Non è mica la prima volta che succede, nell’ultimo biennio, per questa squadra, di approcciarsi alle partite in maniera timida e remissiva.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SEGUI I SOCIAL E RESTA AGGIORNATO SULLE NEWS: