Sembrano arrivare da un passato remotissimo le immagini di Aurelio De Laurentiis che il giorno della premiazione scudetto al Maradona accoglie tutto sorridente a metà campo protagonisti e comprimari della cavalcata azzurra, mentre qualche lacchè di Lega e Figc mette loro la tanto agognata medaglia al collo, simbolo del dominio incontrastato del Napoli in campionato. Quei flashback, in un certo senso, rappresentano il culmine dell’età del presidente: un successo non improvviso, bensì costruito nel tempo, attraverso una inseparabile filosofia gestionale. Che adesso fa acqua da ogni parte.
E siccome la coerenza non è una virtù assai diffusa all’ombra del Vesuvio, sarebbe opportuno accantonare l’enorme livore nei confronti del cineproduttore. Un sentimento che sottrae lucidità e genera pregiudizi. Accantonarli equivale a tentare di capire i motivi del fallimento.
ADL rimane oggettivamente il principale responsabile della disastrosa amministrazione del post scudetto. Diciamoci la verità: la squadra dello scorso anno non c’è più. Morta e sepolta, vittima sacrificale di scelte suicide operate dalla proprietà. Che avrebbe potuto pensare di aprire un mini-ciclo, rinforzando un gruppo vicino a rasentare la perfezione calcistica. Pur con le incognite legate alla partenza di Spalletti e Giuntoli. Nonché, del leader difensivo per antonomasia. Invece, nulla è stato fatto per scongiurare il vuoto cosmico attuale. Probabilmente, ci si aspettava una piccola regressione tecnica ed emotiva. Ma comunque non con queste proporzioni da disfatta.
Programmare per ricostruire
Giusto, dunque, esporsi in prima persona. “Colpa mia, mi assumo tutte le responsabilità. Chiedo scusa ai tifosi…”, ha testimoniato mettendoci la faccia, Don Aurelio ieri sera, al termine dell’ennesima prestazione mediocre del suo Napoli, contro il Monza. Qualcosa a metà tra l’assunzione di colpa e l’esame di coscienza. Magari tardiva, in ogni caso apprezzabile. Che però non ha fatto luce sugli scenari futuri. Ricco di problemi complessi da affrontare e provare a risolvere.
Urge prendere consapevolezza che se non accantona una impostazione mentale orientata ad accentrare ruoli e competenze, senza delegare alcunché, continuerà a sbagliare l’impossibile, attorniato da giullari di corte, stornellatori di regime e familiari assortiti.
Basta quindi egocentrici monologhi (“Risolverò la situazione…”), e attacchi gratuiti alle Istituzioni pedatorie (“Vi dirò tutta la verità dopo la Supercoppa…”), foriere soltanto di danni diffusi e antipatie trasversali.
La ricostruzione, perché di questo stiamo parlando, inutile girare attorno all’argomento, passa in primis per uno stratega di mercato che non sia il classico yes man: non ce ne voglia Mauro Meluso. Messo là in fretta e furia solamente perché le norme relative all’iscrizione imponevano di avere in organico un diesse.
Il primo passo della rinascita rimane la programmazione. De Laurentiis dovrà necessariamente affrontare numerosi casi scottanti, strettamente connessi a rinnovi contrattuali e richieste di adeguamento, finora volutamente trascurati. A gennaio, piuttosto che fantasticare su improponibili miracoli o prospetti da svezzare, servirà competenza e investimenti. Tanti soldi adesso per tornare quanto prima nel gotha dei Top Club (o presunti tali…) della Serie A. Un circolo ristretto dal quale momentaneamente il Napoli s’è estromesso con le sue mani.
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