Valutare una scoppola casalinga come quella subita dal Napoli contro l’Inter è sempre complicato. Una sconfitta che probabilmente compromette l’idea degli azzurri di poter rientrare nella lotta scudetto. Ma che restituisce all’ambiente partenopea la sgradevole sensazione che i Campioni d’Italia in carica non siano affatto competitivi per difendere il loro titolo.
E poco importa che gli uomini di Mazzarri hanno avuto tre occasioni nitidissime per passare in vantaggio. I nerazzurri sono una squadra costruita per massimizzare piccole e grandi disattenzioni dell’avversario, ingigantendole oltremodo. Tant’è vero che hanno approfittato di ogni errore dei padroni di casa per punirli severamente, una volta alzato il pressing.
Per esempio, nell’azione del primo gol. A darle origine, un evidente fallo di Lautaro su Lobotka, che ha permesso una devastante ripartenza e successivo cambio di campo, per trovare poi Çalhanoğlu libero di battere a rete indisturbato. Oppure la palla persa centralmente in malo modo sulla pressione interista, convertita magistralmente da Barella nel gol del raddoppio.
Eppure anche i sassi sanno bene che il piano gara di Simone Inzaghi mira a creare grande densità centrale, funzionale a disinnescare il possesso altrui. Piuttosto che sfruttare il lavoro dei “quinti”, vero marchio di fabbrica di un attacco portato sistematicamente a connettere il cross di un esterno per l’inserimento sul lato opposto dell’altro laterale.
Kvara senza nessun aiuto
Al netto dei soliti errori – individuali o collettivi -, almeno nella prima frazione di gioco, tuttavia, il Napoli ha lasciato intravedere spunti interessanti su cui Mazzarri dovrà continuare a insistere, per tentare di rimettere in sesto la stagione. Mostrando di poter ancora giocarsela alla pari contro chi ambisce ad un posto nelle Fab Four.
Ovviamente, bisogna assolutamente aggiungere pericolosità alla fase offensiva della squadra. In primis, evitando che Kvaratskhelia venga raddoppiato, se non addirittura triplicato costantemente. Uno scenario che prevede il terzino sinistro si assuma un ruolo da coprotagonista, collaborando fattivamente col georgiano.
Senza voler necessariamente scomodare il gioco in catena, tipico della filosofia spallettiana, è innegabile come l’infortunio contestuale di Olivera e Mario Rui abbia privato gli azzurri di quel meccanismo che favoriva, a seconda dell’atteggiamento tenuto dagli avversari, il movimento a stringere di Kvara, teso ad occupare i mezzi spazi o la sovrapposizione del fluidificante.
Invero, adattando un difensore centrale, Juan Jesus o Natan poco cambia, l’ingranaggio si blocca, non avendo entrambi la gamba, tantomeno il timing, per spingere efficacemente in maniera propositiva. Quando questo non avviene, e il brasiliano (non importa chi dei due…) preferisce un approccio timido, limitandosi a coprire la zona di competenza invece di accorciare, accompagnando l’azione, allora sono dolori.
Recuperare appieno Osimhen
La seconda opzione, com’è giusto che sia quando hai in rosa un attaccante del calibro di Osimhen, rimane quella di esplorare un calcio diretto e verticale. Recuperato sul piano fisico ed emotivo, il nigeriano è pienamente in grado di fare reparto da solo, amministrando quei lunghi palloni che Meret lancia dalle retrovie, mettendoli giù e ripulendoli. Permettendo sostanzialmente ai compagni di alzare decisamente il baricentro.
Logicamente, per andare a buon fine, questa giocata presuppone di conquistare le “seconde palle”, pressando in avanti. Ergo, recuperare perlomeno parzialmente, la propria identità. Del resto, a questo punto della stagione, sembra che Mazzarri non abbia altra scelta.
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