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L’attaccante del Milan, Olivier Giroud, ha rilasciato una lunga intervista a Le Journal de Dimanche. Dal Milan alla Nazionale francese, con la voglia di un futuro ancora nel calcio. Queste le sue parole.

Sulle sue condizioni fisiche.
“Non sono eterno. Finché il mio corpo me lo permetterà, cercherò di superare i limiti, anche se io non me ne pongo nessuno. Voglio divertirmi il più possibile. Sono davvero innamorato di questo sport e non sono ancora pronto a smettere. E poi ho ancora un po’ di benzina, no?”.

Su una permanenza in rossonero.
“Mi piacerebbe restare. Sono in scadenza di contratto il prossimo giugno, ma non ho ancora parlato con il club, a differenza di quanto dicono i media. Voglio continuare e credo di avere le carte in regola per farlo. Posso essere ancora utile a questa squadra. Ero già un tifoso del Grande Milan negli anni 2000. Per me è stata una benedizione entrare a far parte di questo club. Quello che ho ottenuto nella mia carriera va ben oltre i miei sogni da bambino. Non ho rimpianti. Rifarei esattamente le stesse cose”.

La grande popolarità ottenuta in Italia.
“Non ho mai visto nulla di simile. I tifosi italiani sono incredibili. C’è davvero una passione, un amore per il club, per i colori… Da parte mia, cerco di essere semplice e naturale. Nessuno è perfetto, tutt’altro. Tutti commettiamo errori lungo il percorso. Pure io che a Lecce ho preso un secondo cartellino giallo dopo aver reagito male. Anche se non ho insultato l’arbitro, ci sono sempre momenti in cui bisogna contenersi. Questo dimostra che sono umano. Ma naturalmente dobbiamo essere esemplari ed è un piacere essere riconosciuti anche da tanti francesi”.

Sul gol in Champions League contro il PSG.
“È stato un bel gol che ci rimette in carreggiata in questo girone. Era importante vincere quella partita per rimanere in corsa per gli ottavi. Ora dipende tutto da noi. Se vinciamo le ultime due partite, ci qualifichiamo. Vincere la Champions? Gli italiani, e il Milan in particolare, hanno una storia speciale con questa competizione, che hanno vinto sette volte. Nelle notti delle partite europee, a San Siro si sente che sta succedendo qualcosa. L’anno scorso abbiamo raggiunto le semifinali. Speriamo di andare il più lontano possibile, ma è molto dura, c’è molta concorrenza…”.

Sull’episodio di Genoa che l’ha visto andare tra i pali.
“Nonostante tutto quello che ho passato nella mia lunga carriera, è stato qualcosa di unico. Non mi ero mai trovato in una situazione simile. È stata una sensazione diversa da quella di segnare un gol. È stato altrettanto piacevole, ma con un’enorme quantità di orgoglio e adrenalina. Il mio cuore batteva a mille. La gioia di aver salvato un po’ la squadra, con quella parata kamikaze, non proprio accademica ma molto efficace. Ero felicissimo per la squadra. E poi, naturalmente, la gente ha iniziato a cantare ‘L’ha parata Giroud…’. Eravamo in due, io e Pulisic a poter andare. Ma lui è alto 1,75 metri… Christian diceva: ‘Lo voglio, lo voglio!’ Non dico che non avrebbe fatto bene in porta, ma io occupavo più spazio. È meglio usare un giocatore più alto. Così lo staff mi disse: ‘Oli, forza, mettiti i guanti’. Mi sono sentito molto piccolo in porta quando hanno battuto il calcio di punizione al limite dell’area. Ti senti vulnerabile. E i guanti erano troppo grandi. Le mani di Mike sono più grandi delle mie! Mi hanno fatto una cornice con la foto, la targa della partita e la data. È bella, rimarrà”.

Il record di reti in Nazionale.
“Non riesco ancora a capacitarmene! Ma so che Griezmann e Mbappè stanno spingendo molto dietro. Quindi dobbiamo continuare a spronarci a vicenda. Tirare i rigori? Penso che dalla finale della Coppa del Mondo sia stato complicato negoziare con Kylian (sorride, ndr). Ma mi piace. Credo che su circa trenta rigori dal 2012 ne abbia sbagliati due (27 su 29, ndr). È una percentuale di errore piuttosto bassa”.

Sul Pallone d’Oro.
“Per me è qualcosa di irraggiungibile, rispetto a tante cose, rispetto ai giocatori che ci sono, anche se i miei figli mi hanno già chiesto: ‘Perché ce l’hanno Messi e Ronaldo e non tu?'”.

I suoi idoli da bambino.
“Quando ho iniziato a tifare per la Nazionale francese nel 1998, Zidane ha fatto sognare tutti noi. Era il nostro eroe. Poi, man mano che crescevo, c’erano i ‘francesi’ dell’Arsenal. Ero davvero attratto dalla Premier League e da ciò che Arsene Wenger stava facendo. Ovviamente c’è Titi Henry come attaccante. Ma quello che mi ha ispirato di più è stato Andriy Shevchenko. Era un attaccante in grado di fare tutto e di concludere con il piede destro, il sinistro e la testa. Era molto completo. Anche Papin. Mi piacciono molto le rovesciate e le giocate acrobatiche… Era uno dei giocatori che padroneggiava meglio questa tecnica. Inoltre, era francese e aveva giocato nel Marsiglia e nel Milan”.

Le pù belle vittorie in carriera: dal Mondiale ai due scudetti con Montpellier e Milan.
“Il titolo di campione del mondo nel 2018. A livello di club è complicato, ma ci sono stati molti momenti salienti. Direi il titolo francese con il Montpellier e quello italiano con il Milan: su due scale diverse, sono state emozioni straordinarie. Ho vinto l’Europa League, la Champions League, quattro Coppe d’Inghilterra, la Community Shield… ma il mio obiettivo principale era il campionato. La cosa straordinaria del Montpellier è che non era previsto nulla. Non eravamo tra i favoriti per il titolo. Questo ha reso tutto più piacevole alla fine. E la cosa straordinaria del Milan è che per undici anni un’intera generazione non ha conosciuto una squadra vincente. Quindi il fervore è stato all’altezza delle loro aspettative”.

Sul prossimo Europeo in Germania e gli obiettivi della stagione.
“Non guardo troppo avanti. Il mio obiettivo è fare una grande stagione con il Milan e vincere la seconda stella, che sarebbe sinonimo del 20° scudetto. Non sarà facile, ma ci crediamo. Fare bene in Champions League, vincere l’Europeo con la Francia e poi faremo un bilancio”.

Un futuro sempre nel mondo del calcio.
“La domanda mi è già stata posta, ovviamente. Il calcio è la mia passione, quindi penso che resterò nel calcio. Allenatore? Non credo, almeno per il momento: non ne ho il desiderio e non so se ne avrò mai l’energia o la volontà, perché è un lavoro molto impegnativo. Mi piacerebbe fare il direttore sportivo, perché in un club si è coinvolti in una serie di cose: la politica degli ingaggi, la prima squadra, l’accademia… Ma lo dico oggi, poi le cose potrebbero cambiare”.