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Sarri deve averla preparata proprio bene la partita contro il Napoli, studiandone pregi e difetti, arrivando a conoscere alla perfezione i movimenti degli azzurri nelle due fasi, così da poterli poi tentare di disinnescare nel corso dei novanta minuti. Dal canto suo, Garcia ha provato a porre rimedio alle letture tattiche della Lazio, dando l’impressione di poter passare tra le maglie della pressione biancoceleste come una lama nel burro solo coinvolgendo tanto gli esterni, piuttosto che sviluppando gioco per vie centrali.

Pur non aggredendo in avanti con feroce determinazione, gli ospiti hanno scelto di attestare il baricentro all’altezza della metà campo, rinunciando al pressing esasperato a favore di una maggiore solidità sottopalla. Difendendo con il classico riferimento sul pallone, costantemente orientati a coprire le tracce di passaggio, specialmente le imbucate centrali. Un atteggiamento che poi ha dato i suoi frutti, funzionale a produrre un gioco bello da vedersi, nonché tremendamente efficace.    

Ancora una volta, però, a destare qualche preoccupazione di troppo nel calcio espresso dai Campioni d’Italia, una situazione endemica. Sono emersi, infatti, i limiti di una squadra incapace di risolvere il problema di creare i soliti spazi che alimentano il possesso, specialmente quando l’avversario intasa la zona tra le linee, come ha fatto la Lazio stasera. A quel punto, il mantra è costruire qualcosa di diverso. Impossibile, tuttavia, se la palla si sposta con poca velocità.

A caccia dei margini di miglioramento

Insomma, il Napoli ha perso perché non è riuscito a portato tanti uomini intorno alla palla, facendo languire la manovra. Sono mancati tremendamente i movimenti continui di alcuni calciatori a svuotare la zona dove gli ospiti facevano grande densità, e le rotazioni complementari da parte di altri, per riempirla nuovamente. Un contesto che gli avrebbe consentito di moltiplicare le linee di passaggio durante il possesso. Oltre a distruggere la forma degli avversari, aumentando in maniera esponenziale le opportunità di interromperne il palleggio assai qualitativo.

In definitiva, gli azzurri hanno veicolato nel pubblico di Fuorigrotta la sgradevole sensazione di essere a tratti in balia della partita. Poiché attaccano benino, ma difendeno maluccio. E in un sistema che vuole investire su concetti come ampiezza e verticalità, piuttosto che dominio dell’attrezzo, costituisce un elemento di palese vulnerabilità: non bisogna ovviamente buttare la croce addosso alla retroguardia. L’intera fase di non possesso resta una incognita da decifrare.

L’idea di Garcia – difendersi in modo posizionale -, al momento non desta presagi di eccellenza. Al cospetto di una Lazio messa benissimo in campo, i partenopei hanno subito a lungo l’iniziativa altrui. Dunque, le sofferenze patite finora, esacerbate dalla sconfitta casalinga, devono essere necessariamente interpretate come sintomo di fragilità intrinseca sottopalla.

Urge lavorare tantissimo durante la sosta per le Nazionali, alla spasmodica ricerca di sincronia e compattezza. Ormai si capisce che bisogna insistere sui margini di miglioramento di questa squadra. 

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