Al netto del rigore calciato alle stelle con il Sassuolo, è innegabile che le prime due giornate di campionato abbiano restituito al Napoli un altro Giacomo Raspadori. Attaccante dal profilo più unico che raro, perché in grado di occupare tutti gli slot dell’attacco, muovendosi da sottopunta, oppure saturando il cono di luce davanti alla porta, da centravanti vero. Con quel baricentro basso che fa tanto Kun Agüero, e gli consente anche di occupare la posizione di esterno, cui da una interpretazione personalissima. Specialmente quando si accentra, e usa il corpo per tagliare fuori il marcatore diretto.
Contro la sua ex squadra, Jack è sembrato nuovamente se stesso. Nient’affatto impantanato in un ruolo che, teoricamente, non gli dovrebbe appartenere.
Invece, la capacità di sapersi adattare ne testimoniano la sua doppia dimensione, nelle due fasi in cui si articola il gioco. Vale a dire, saper trasformare piccole cose in azioni fondamentali. Tipo proteggere il pallone, nelle sgroppate in fascia, dribblando, per creare superiorità numerica; piuttosto che ristabilire l’equilibrio difensivo, sotto la linea della palla, rincorrendo l’avversario fino al limite della propria area di rigore.
Un compito apparentemente ingrato, giocare così lontano dal portiere, che però Raspadori sta assimilando senza grandi storture. Consapevole che la distanza da colmare per diventare pericoloso non è un atto di penitenza. Bensì, la risposta tattica alle esigenze del suo allenatore, alla costante ricerca di un offensive player funzionale allo sviluppo della manovra.
Estro e indole associativa
Lo scorso anno, Spalletti lo ha utilizzato da centravanti di manovra durante il periodo in cui Osimhen era fermo ai box per infortunio. Quel suo modo magari poco appariscente di spostarsi negli ultimi sedici metri era servito al Napoli per rompere la monotonia del possesso compulsivo privo di sbocchi finali, perdurando l’assenza di VO9.

In quella fase della stagione, Raspadori ha dimostrato un luccicante repertorio. Poi è calato gradualmente alla distanza, pagando dazio al rientro del nigeriano. Da lì in avanti, solamente dei lampi accecanti. Come in occasione del gol rifilato alla Juventus, all’Allianz Stadium.
Del resto, possiede una discreta indole associativa, che lo rende prezioso nel connettersi con i compagni. Pur palesando, in certi momenti, sane punte di egoismo, tipiche di ogni attaccante che si rispetti. Anche ieri sera talvolta è stato davvero condizionante quando ha cambiato passo, strappando in transizione.
E’ indubbio, tuttavia, che il suo calcio possa fluire quando viene incontro. La pulizia tecnica ne facilita i movimenti sull’intero fronte offensivo. Non a caso, Garcia lo schiera solo nominalmente sull’esterno. Nondimeno, lui stringe o lavora in ampiezza a seconda del contesto. Stimolato dall’idea di toccare un mucchio di palloni e generare diverse opzioni di passaggio.
Meno dominio, più verticalità
L’impressione suscitata dalle prime partite con il francese in panca è che la carriera di Raspadori possa fare uno step successivo verso la definitiva esplosione ad alti livelli. Un importante banco di prova per esaltarne le caratteristiche, in uno scenario presumibilmente meno elaborato sul tema del giropalla.

Ovviamente dovrà riuscire ad inserirsi con naturalezza in questo flusso di gioco, basato meno sul dominio del possesso. Scevro da eccessive rigidità dogmatiche, in cui le iniziative di ciascun attaccante siano propedeutiche a palleggiare con le mezzali, cambiare campo innescando l’esterno opposto sul lato debole o chiudere l’uno-due col terzino.
In un sistema verticale, dove Garcia deciderà di volta in volta come e con chi ridisegnare il tridente, la sensibilità con cui Giacomo sa mettere giù il pallone e andare in progressione, o chiudere i triangoli potrebbe fare da benzina sul fuoco alle ambizioni partenopee.
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