Aurelio De Laurentiis continua a tenere in mano il futuro della Nazionale, dopo le clamorose dimissioni di Roberto Mancini a Ferragosto. Perché il passaggio di consegne con Luciano Spalletti sulla panchina dell’Italia dipende dal famigerato patto di non concorrenza. In soldoni, una penale tra il tecnico toscano e la società partenopea per tornare ad allenare.
Il presidente del Napoli ha detto che non rinuncerà alla clausola. Dal canto suo, la FIGC, arrogante come sempre, ha messo le mani avanti: non intende assolutamente pagare. Probabilmente, all’orizzonte si profila una feroce battaglia in tribunale. Toccherà agli avvocati risolvere la questione.
Ma Gravina da quest’orecchio pare ci senta davvero poco. Anzi, come il più classico dei “furbetti del quartierino”, cavalca la sua strategia, convinto che non sussista alcun tipo di concorrenza tra la Nazionale e una squadra di club.
Così va avanti sulla strada tracciata dai consulenti legali, fortemente intenzionato a conferire l’incarico a Spalletti nonostante all’appello manchino quasi 3 milioni di euro.
Super partes un corno
Soltanto ADL potrebbe spezzare lo stallo. Perché difficilmente la Federazione legittimerà una “buona entrata”, senza correre il rischio di creare un pericolosissimo precedente.
Non va dimenticato, infatti, che (almeno sulla carta…) in via Allegri hanno uno status super partes. Sono i garanti di un interesse a carattere pubblicistico, svolgono quindi un ruolo funzionale alla tutela dei diritti erga omnes, cioè nei confronti della totalità dei club consociati. Che già hanno fatto sentire chiaramente il loro dissenso.
Non s’è capito, dunque, a che titolo Gravina potrebbe sostenere il pagamento a un soggetto privato, o peggio ancora, negoziare con DeLa. Ovvero, chiedergli la cortesia di liberare Spalletti, senza mettere in discussione la stessa natura di organo istituzionale ricoperta della FIGC.
La guerra che l’italico pallone ha dichiarato a De Laurentiis, sostenuta da una certa stampa schierata avverso le posizioni assunte dal presidente del Napoli, non solo in tema Commissario Tecnico, mai coesa come in questa circostanza, fa comprendere l’ipocrisia che circonda la maglia Azzurra.
Accuse e provocazioni
Chiunque, in questi giorni, s’è riempito la bocca con parole al miele circa la sacralità di rappresentare l’Italia: un sentimento di appartenenza che affratella tutti. Accusando ADL di non avere l’orgoglio per condividere il progetto di rilancio di una Nazionale esclusa due volte consecutive dai Mondiali.
Peccato che negli ultimi anni poi proprietari vari e diesse assortiti abbiano fatto carte false per scongiurare la convocazione dei loro giocatori, alla vigilia di qualche gara importante di campionato o Champions League.
Insomma, la misura di quanto il calcio italiano sia depotenziato a livello ideologico e istituzionale – oltre che indebitato in maniera irreversibile – è testimoniata dall’etichetta attribuita da uno dei principali quotidiani sportivi a De Laurentiis, bollato come: “ambizioso, furbo mercante…”.
Una dichiarazione che racconta un lato oscuro della vicenda, orientato a mettere in cattiva luce il presidente partenopeo. Di ben altro spessore la geniale provocazione di Maradona ai mondiali del ’90.
Con poche incisive frasi, prima della semifinale di Napoli tra la sua Argentina e l’Italia, il capitano dell’Albiceleste toccò un argomento scottante, vero tasto dolente di chi vive all’ombra del Vesuvio. “Si ricordano di Napoli solo quando c’è la Nazionale…”.
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