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-di Gennaro Saviano

Il 12 agosto dell’anno scorso, una giornata calda come quella che stiamo vivendo oggi, mentre tutti si preparavano a trascorrere le vacanze ferragostane, moriva Claudio Garella all’età di 67 anni. La morte è stata causata da delle complicazioni cardiocircolatorie successive a un intervento al cuore. Garella è deceduto nella città che un giorno di metà maggio del 1955 gli diede i natali. 

E proprio nella città della Einaudi Garella, sponda granata, mosse i primi calci al pallone. Nella stagione 1972-73, a cavallo tra i diciassette e i diciotto anni, quando molti coetanei erano in giro per il mondo o a protestare in strada, il debutto in Serie A. Ovviamente col Torino

Seguono diverse esperienze, prima nelle serie cadette. Addirittura, in Serie C, col Casale Garella riuscì nella non usuale impresa, per un portiere, di segnare un gol. Su calcio di rigore. C’è chi i rigori li para per professione, chi i rigori li segna: Garella ha fatto entrambe le cose. Dopo diverse esperienze in giro per lo stivale, a Roma sponda biancoceleste, a Genova a difendere la porta della Doria, Garella arriva a Verona, agli ordini di Osvaldo Bagnoli. Ma ci arriveremo, prima una piccola parentesi. Non tanto piccola, quanto in realtà necessaria. 

È riferirsi ai calciatori con soprannomi che sono unici ed esclusivi, così chiunque sa di chi si sta parlando: “El Pibe de Oro“, “Er Pupone“, “Pinturicchio“, “il Divin Codino“. Anche Garella ha avuto questo trattamento: alla Lazio gli ultras gli affibbiarono il ben poco onorevole nickname Paperella, in ragione di alcune prestazioni deludenti contro il Lens e il Vicenza. Beppe Viola invece definiva “garellate” i suoi errori. 

Ecco, arrivato a Verona, sotto la guida di Osvaldo Bagnoli, Garella divenne Garellik, il nome di un supereroe. Perché come un supereroe chiuse la porta e fece vincere a una provinciale lo scudetto. Le sue parate sgraziate, non estetiche, ma efficaci, fatte con ogni parte del corpo, perfino le meno nobili sono entrate nella storia del calcio italiano. L’Avvocato ebbe a dire: «Garella è il portiere più forte del mondo. Senza mani, però.» 

Eppure queste parate brutte come una sequenza cinematografica girata da un regista ubriaco ma efficaci come soltanto quelle di un portiere di scuola italiana potevano essere, regalarono all’Hellas lo scudetto. Nel 1985, fresco vincitore della Serie A, passò al Napoli, vincendo da protagonista il primo storico scudetto. In fondo, per un portiere, non conta essere spettacolare ma conta essere capace a non farsi segnare contro. 

Nella stagione successiva allo storico trionfo, Garellik offrì un buon rendimento, nonostante l’eliminazione dall’allora Coppa dei Campioni al primo turno e il sorpasso del Diavolo nelle ultime giornate che decretò il primo scudetto dell’era Berlusconi. 

Dopo la rivolta contro la società partenopea, fu venduto e passò il resto della carriera sui campi di Serie B. Ha avuto anche alcune esperienze da allenatore e dirigente in piccoli club. A Napoli e a Verona ha lasciato dei ricordi indelebili. Che è quello che fanno i bravi calciatori.