Alzi la mano chi, soltanto due anni scarsi fa, pensava che la Roma potesse raggiungere due finali europee in due anni e alzarne, per ora e facendo più gesti scaramantici di Stramaccioni, almeno una. Forse nessuno.
Eppure chi ha vissuto Tirana in prima persona può affermare con certezza che Mourinho ci stava educando a vivere quel momento senza pensare al futuro, né sopratutto passato: c’erano fantasmi che partivano da Turone per arrivare a Pazzini, c’erano le finali europee perse in casa, c’era il classico e maledetto (perché alla fine te la tiri anche un po’) “mainagioismo” che ha accompagnato un popolo che in fatto a pessimismo se la gioca tranquillamente con Giacomino Leopardi.
Tutto il “mondo Roma” spingeva però verso un unica direzione, soffiava verso una vittoria che mancava da troppo tempo ed era attraversato da una fame di esserci, forse ancora più di arrivare a vincere che era quasi implacabile. Il Feyenoord, a Tirana, era ridotto a comprimario di un entusiasmo giallorosso che gli olandesi, con modi decisamente diversi, tentavano di arginare.
La finale di Conference League, quel clima di totale amore entusiasta e presente, è stata frutto di un interscambio di energie fortissime tra la squadra, Mourinho e l’entusiasmo della piazza. Chi crede anche un minimo che gli esseri umani non siano isole ma che trasmettano e ricevano energia positiva o negativa da chi gli orbita intorno, sa che quella coppa è stata alzata grazie a un intero movimento che remava compatto e convinto verso un unico obiettivo: tornare a vincere, volerlo violentemente.
Che diavolo sta succedendo prima di Budapest?
Sono passati esattamente 12 mesi da quella meravigliosa notte dove non c’era passato né futuro, ma solo una gran voglia di riversarsi nelle strade a festeggiare. Potrebbe essere il solito anniversario da celebrare, come tante cose nella storia della Roma più o meno importanti, perché in fondo i tifosi della Roma celebrano anche un gol di Manolas e sono belli anche per questo.
Invece no. È un giorno di attesa perché c’è un altra finale da giocare, contro una bestiaccia come il Siviglia tra sei giorni a Budapest. Una finale così grande, che raccoglie in sé così tante possibilità future oltre ad alzare il secondo trofeo in due anni, che forse va oltre il limite di sopportazione per un tifoso medio. In fondo l’anno scorso si giocava per la gloria, con in tasca un bel posto in Europa League e con il vento in poppa: quest’anno si gioca non solo per alzare la coppa, ma anche per un posto in Champions League per l’anno prossimo (da testa di serie), una finale di Supercoppa Europea e, dato il nuovo format, anche nel Mondiale per Club.
Lo sanno i tifosi che hanno risposto compatti all’appello, lo sa la società e lo sa anche Mourinho che, non a caso, in conferenza stampa post Salernitana ha minimizzato con “è solo una finale, e il significato deve essere quello di una finale” salvo poi uscire dalla sala con un “addio per due giorni, ho bisogno d’aria”.
Media tossici e futuro incerto, perché Budapest non è Tirana
Quelli che sembrano non saperlo sono alcuni media che invece di spingere “come un sol uomo” un evento mai successo e forse irripetibile nella storia della Roma, si perdono in una narrativa laterale del tutto superflua, insensata e tossica: il futuro di Mourinho, la gestione di Tiago Pinto, gli incontri tra dirigenza e tecnico, le critiche ai giocatori per i quali ci sarà un estate di chiacchiere e ancora una partita per passare anche alla storia, perché no.
Tutto come se la stagione fosse finita, come se non ci fosse la quarta finale della storia della Roma in quasi cent’anni di storia da giocare tra sei giorni. Difficile capire, prima di una partita che forse come non mai sposta il senso della stagione dalle possibili stelle alle possibili stalle, come si possano tracciare bilanci invece di spingere in maniera mediaticamente monolitica la Roma verso un’impresa.
A queste persone, che di romanista forse hanno poco, sarebbe da chiedere se vale la pena destabilizzare l’ambiente per due spicci di likes e qualche visualizzazione in più. Se, per due copie vendute in più o in meno, valga la pena trincerarsi dietro la farsa del “faccio il giornalista e sono tenuto a dare la notizia”, frase usata quando fa comodo e messa nel cassetto quando è il caso, quando c’è da tapparsi il naso di fronte a qualche amicizia importante.
Di quel clima visto a Tirana un anno fa, avvicinandosi alla bellissima Budapest insomma rimane poco. Chissà se basterà la solita “bolla” in cui Mourinho rinchiude la squadra a doppia mandata per tenere alta e soprattutto sana la tensione come sempre. Al portoghese l’incantesimo è riuscito magistralmente nel corso di questi due anni in cui la Roma, in Europa, non si è fermata davanti a niente e nessuno, battendo non solo avversari sul campo ma anche avversari “ambientali”, per i quali evidentemente una finale europea da giocare non conta più, ammesso e non concesso che questo appuntamento con la Storia, in fondo, gli interessi realmente.

Il calcio è la mia passione in ogni sua sfaccettatura: ho giocato tanto, ho allenato altrettanto e adesso mi piace raccontarlo.