La Roma esce da Milano con tanta convinzione per il punto ottenuto al fotofinish ma anche con i soliti, vecchi, atavici, difetti. Se da una parte il 2-2 raggiunto con carattere nel finale fa sorridere tifosi, a mente fredda la prestazione dei giallorossi lascia più di un interrogativo. Pellegrini e compagni sono apparsi passivi e incapaci di imbastire una trama di livello per ottanta minuti, con le linee di difesa e centrocampo completamente schiacciate e i tre tenori in balia della marcatura a uomo di Tonali in prima battuta, e poi di Kalulu e Tomori. I centrali difensivi del Milan hanno avuto vita facile nel neutralizzare sia Abraham che Dybala mentre Zaniolo si è disinnescato da solo, perso in se stesso e avulso dal gioco, sempre alla ricerca di una giocata spesso fine a se stessa.

La situazione è cambiata, per onestà bisogna dirlo, in primis perché dopo il gol di Pobega e il totale controllo del match, il Milan ha staccato la spina e poi quando l’ingresso di Tahirovic, El Shaarawy e Matic ha consentito alla squadra di Mourinho di alzare il baricentro, andando ad aggredire l’avversario sulla propria trequarti. Spostata l’inerzia della gara, sono arrivate le occasioni e i gol che hanno consentito di arrivare ad un pari incredibile ed insperato.

L’obiezione potrebbe essere che in un San Siro stracolmo e di fronte ai campioni d’Italia in carica, l’atteggiamento di attesa adottato dalla Roma fosse anche indotto dall’organizzazione dei rossoneri ed è vero. Il Milan ha trame importanti, soprattutto sulle fasce. Tenere a bada i vari Leao, Theo Hernandez, Calabria oltre al continuo galleggiare tra linee di Brahim Diaz non era affatto facile. Il problema è che quest’atteggiamento che, pur discutibile, può premiare contro una “big” fuori casa, è il vero e proprio stile di gioco della Roma, a prescindere dall’avversario.

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Foto profilo ufficiale Twitter AS Roma

La Roma è l’ultima squadra del campionato, statistiche alla mano, per palloni recuperati nella trequarti avversaria, terz’ultima per realizzazioni su azione e ha realizzato quasi il 50% dei gol su palle inattive o calci piazzati. A prescindere dall’avversario la Roma gioca aspettando e ripartendo anche con squadre inferiori tecnicamente senza mai alzare il baricentro, affidandosi al genio di Dybala o alla giocata individuale una volta recuperata palla.

I giallorossi hanno sofferto con tutte le squadre a prescindere dal blasone, o al giocare in casa o trasferta perché l’atteggiamento attendista, contro squadre già chiuse e pronte a difendersi, produceva un gioco a “specchio” che in certi casi ha avuto l’effetto opposto, cioè dare coraggio ad avversari che spesso si sono presentati all’Olimpico senza particolari velleità.

A prescindere dal modulo, dalla difesa a tre o a quattro, a fare la differenza è l’atteggiamento, la voglia di andare a “prendere l’avversario” trenta metri più avanti, alzare il baricentro per soffocare le fonti di gioco avversarie senza farle pascolare comodamente in attesa dello spiraglio giusto.

Oggi sarebbe facile elogiare il carattere, dire che la Roma ha avuto “garra” e che il vento è cambiato, sarebbe facile dire che è risorto Abraham o esaltare la rivincita di Ibanez. Ci sono molti spunti giornalistici per fomentare la piazza ma, se si vuole guardare al futuro con ottimismo, bisogna capire che al netto del punto strappato a San Siro questa partita deve essere far capire che si può essere più propositivi, che si può andare ad aggredire l’avversario, che si può portare la difesa sulla linea del centrocampo e che si deve cambiare atteggiamento in campo ora che la classifica è buona e ancora apre a prospettive dalle “grandi orecchie”.