Nell’immaginario collettivo del calcio italiano, Sandro Mazzola è il contraltare a Gianni Rivera. Ai Mondiali del 1970, fu famosa la tanto criticata staffetta con Sandro Mazzola. Una buona fetta della stampa italiana asseriva che il centrocampista dell’Inter svolgeva un lavoro di cucitura che quello del Milan non era in grado di portare avanti. I suoi difensori criticarono invece la scelta del CT Valcareggi di non convocare il suo “luogotenente” Lodetti, privandolo pertanto di un punto di riferimento.
Sandro Mazzola ricorda la storia con un simpatico aneddoto: “Ci ricordano solo per la staffetta. Eppure abbiamo giocato insieme 50 partite, e si ricordano solo di quelle tre in cui ci siamo dati il cambio: il solito vizio italiano. Fra l’altro, quella staffetta è nata da un mal di pancia: alla vigilia della partita con il Messico, passai la notte in bagno. Il giorno dopo, Valcareggi capì che potevo giocare solo un tempo e programmò la staffetta. Curioso: si è parlato tanto di una cosa nata per una questione di stomaco…”.
Le qualità di Sandro Mazzola
Rapidissimo, furbo, atletico, agile, scattante e intelligente tatticamente: queste erano le qualità di Sandro Mazzola oltre alle abilità tecniche. Riusciva a creare superiorità, saltando gli avversari come se nulla fosse, riuscendo ad arrivare davanti al portiere o a servire assist ai compagni. Visto il fisico non esattamente granitico, non era un grande colpitore di testa, ma con il pallone tra i piedi sprigionava magia. Era impressionante nelle percussioni, dato lo scatto bruciante, così come negli inserimenti a fari spenti. Quando era in condizione, il “Baffo” era praticamente infermabile.
Il Sandro Mazzola dei tempi d’oro dell’Inter e della nazionale era tra i migliori calciatori al mondo. Il punto è che, al suo apogeo, c’erano calciatori come Pelé, Garrincha, Johan Cruyff (che lo precedette in un’edizione del Pallone d’oro), George Best, ma anche lo stesso Rivera. E si incrociò con Ferenc Puskas. L’asso del Real Madrid, a seguito della finale di Coppa Campioni del 1964 gli disse: “Questa è la mia maglia; tienila, perché sei degno di tuo padre”.

La sua essenza era data da tecnica, velocità, genialità, dribbling ma anche furbizia. Sandro Mazzola sapeva allo stesso tempo divertire, con giocate di grande classe e per il pubblico, ed essere maledettamente concreto. Riusciva a verticalizzare in maniera fulminea senza fronzoli, dribblava in un fazzoletto, così come a campo aperto, lanciava le punte, così come si inseriva, grazie a qualità tattiche fuori dall’ordinario.
Uno come lui poteva essere indistintamente mezzala, trequartista o attaccante. Dal 1964 al 1967, quando giocava in posizione più avanzata, riuscì a superare i 20 gol in stagione. Ed era un calcio con meno partite, decisamente meno offensivo e, soprattutto, con i 2 punti a vittoria in casa.
Proprio la sua grande poliedricità ne racchiudeva lo spessore. Sandro Mazzola veniva definito un calciatore atipico, ovvero “quasi” trequartista o “quasi punta”. A inizio carriera, fu il Mago che lo convinse a cambiare ruolo: Mazzola passò quindi al ruolo di punta interna da quello di regista.
Tra pregiudizi e affermazione
E pensare che all’inizio, visto il cognome pesantissimo che portava, sugli spalti di San Siro venivano proferiti commenti denigratori nei suoi confronti. “Quel magrettino lì se si chiamasse Brambilla sarebbe ancora all’oratorio”, oppure “Quello lì ha solo il nome, di suo padre, il resto è fuffa”. “Quel fil di ferro non è da Inter” erano solo alcune di queste frasi. Tra l’altro, al Baffo nazionale, i tifosi preferivano la leggenda Giacinto Facchetti.
La grandezza di Helenio Herrera risiedeva però nel riuscire a compattare il gruppo, allontanando qualsiasi scintilla o rivalità interna. Sin da quando era giovanissimo, Sandro Mazzola fu uno degli elementi cardine dello scacchiere tattico del Mago. Il tecnico sudamericano proponeva un tipo di gioco basato su contropiede e verticalizzazioni. Questo tipo di gioco non poteva prescindere da calciatori dotati di qualità tecniche fuori dall’ordinario, come lui e Suarez, pronti a creare superiorità e a ribaltare immediatamente l’azione.

Dulcis in fundo, Sandro Mazzola era devastante nell’uno contro uno, era dotato di un ottimo tiro, giocava a pochi tocchi quando richiesto e sapeva servire i compagni con i tempi giusti.
Gianni Brera, con il quale comunque, a differenza di Rivera, non ebbe un rapporto conflittuale, lo definì Abatino (stesso soprannome del calciatore del Milan). Appellativo ingeneroso (per Brera, Abatino era un calciatore bellissimo da vedere, ma non un cuor di leone), visto che Mazzola era un calciatore che dava tutto in campo.
“A quei tempi c’era un gran rispetto dei ruoli: non mi sarei mai permesso di andare a chiedere spiegazioni a Brera, col quale parlavo spesso e volentieri anche a riguardo di mio padre. Secondo lui, era il miglior centrocampista che avesse mai visto in azione. E ci credo: mio padre era uno che sapeva difendere, ma capace di vincere la classifica cannonieri. In quel senso era molto più completo di me. Anche se poi me la sono cavata, penso”.
Mazzola vanta un palmares invidiabile. Con la maglia dell’Inter ha conquistato 4 Scudetti (1962-1963; 1964-1965; 1965-1966; 1970-1971); 2 Coppe dei Campioni (1963-1964; 1964-1965) e 2 Coppe Intercontinentali (1964, 1965). Inoltre, fu protagonista con la nazionale agli Europei del 1968, vinti dalla squadra di Zio Uccio, così come ai famosi Mondiali del 1970, quelli della Partita del secolo. Non male per un calciatore che, a inizio carriera, veniva definito un raccomandato e sul quale ben pochi avrebbero puntato. Tra questi scettici, non c’era invece Helenio Herrera, il celebre Accaccone.
Vincenzo Di Maso

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione