Dopo il pareggio 1-1 di due giorni prima allo Stadio Olimpico, Italia e Jugoslavia si affrontarono nel “replay match” per decidere chi sarebbe stato incoronato come vincitore del terzo Campionato Europeo, quello del ’68.

L’edizione prevedeva una formula particolare. Innanzitutto, a partire da Euro ’68 furono introdotti i gironi eliminatori. Le vincitrici dei gironi si sarebbero scontrate nei play-off, nei quarti di finale. Le squadre che avrebbero avuto la meglio avrebbero poi giocato le semifinali e la finale in Italia.

Ai quarti agli Azzurri toccò la Bulgaria, che vinse a Sofia per 3-2 sfruttando l’infortunio del leader difensivo Armando Picchi (il gol di Prati al minuto 83 salvò gli azzurri) per poi perdere al San Paolo per 2-0, per effetto delle reti dello stesso Prati e di Domenghini. In semifinale affrontammo l’URSS. Il match del San Paolo finì 0-0 e gli azzurri passarono in finale grazie al sorteggio.

La finale del giorno 8 giugno finì 1-1, con la Jugoslavia che aveva molto da recriminare. A distanza di due giorni, la squadra balcanica fu chiamata a riprendersi dalla delusione di essersi lasciata sfuggire il trofeo, a causa di un gol di Domenghini a 10 minuti dal termine. A livello psicologico era sicuramente durissima. A margine della prima finale, il CT jugoslavo Mitic non nascose l’ottimismo.

«Sconfitti i migliori, mi sembra ovvio che adesso possia­mo tranquillamente ripeterci contro gli azzurri». 

Gli jugoslavi furono soddisfatti della scelta di designare lo spagnolo José Maria Otiz de Mendibil come arbitro della gara. Senza dubbio, sentivano che la decisione dell’arbitro Gottfried Dienst di assegnare all’Italia un calcio di punizione aveva privato loro della possibilità di vincere la finale giocata due giorni prima.

Italia-URSS al San Paolo

 

Dopo i tempi supplementari del sabato, la stanchezza fu probabilmente un fattore decisivo. L’allenatore jugoslavo Rajko Mitic commise l’errore di confermare gli stessi 11, mentre gli Azzurri utilizzarono tantissime risorse.

I media italiani criticarono il CT Ferruccio Valcareggi per la scelta dei titolari della prima partita. Il tecnico rimedio, apportando ben cinque modifiche per il replay match, la più significativa delle quali fu il ritorno in formazione di Sandro Mazzola, e, per il sollievo di un’intera nazione, la scelta di Gigi Riva al centro dell’attacco.

I tifosi avevano acquistato il biglietto per il primo match e tornarono a casa. In un Paese dove la recessione economica stava prendendo il sopravvento dopo il boom, per molti tifosi era troppo gravoso a livello economico spendere altri soldi per alloggio e biglietto. Basti pensare che per il replay match c’erano ben 36.000 spettatori in meno!

E l’Italia non tradì. Le cose iniziarono nel peggiore dei modi per la Jugoslavia, perché nel riscaldamento pre-partita il centrocampista Ilija Petković ebbe un problema fisico e fu sostituito da Idriz Hošić. Fin dal calcio d’inizio, sembrò evidente che l’Italia stesse meglio fisicamente, grazie soprattutto ai cambi saggiamente apportati dal CT. La Plavi sembrava invece decisamente svuotata e a corto di energie.

Alla mezzora l’Italia era già sul 2-0, grazie alle reti di Riva e Anastasi. In difesa, gli azzurri sembravano inespugnabili. Dragan Džajić, che aveva tormentato Tarcisio Burgnich nella prima finale, si è trovato incapace di scrollarsi di dosso il suo marcatore. E l’Italia riuscì a concretizzare questa superiorità atletica senza troppe difficoltà.

La rete iniziale di Gigi Riva

 

Dopo 12 minuti, Angelo Domenghini, che il sabato era stato l’eroe dell’Italia, tirò dal limite dell’area. La palla fu deviata e arrivò tra i piedi di Gigi Riva, che segnò indisturbato da dentro l’area con un tiro fulmineo che si depositò alle spalle di Ilija Pantelić. Alla sua prima occasione, il bomber del Cagliari aveva fatto centro.

L’Italia continuò con l’arrembaggio per raddoppiare, con Pantelić costretto ad effettuare diverse parate per tenere la Plavi in partita. Al 31′ Anastasi ricevette un passaggio di Giancarlo Di Sisti al limite dell’area di rigore. Pietruzzo fece rimbalzare la palla e, con una splendida coordinazione, la depositò in rete con un destro precisissimo. «Non ricordo come stoppai la palla», confessò anni dopo Anastasi, «ricordo solo il passaggio di De Sisti e il tiro al volo che s’insacca, feci tutto d’istinto, con l’incoscienza di un ragazzo di vent’anni».

Anastasi che poi dichiarò:  «Il ‘68? Ne parlavamo, però ci rimbalzava addosso, si pensava solo a giocare. La cultura dei giocatori di adesso è superiore a quella dei miei tempi. S’immagini, io ventenne, figlio di operai, che provenivo dal profondo Sud…».

In una nazione dove il catenaccio la faceva da padrone, era impensabile che l’Italia potesse gettare alle ortiche il trionfo. Nell’intervallo, la Jugoslavia sembrava disorientata e sopraffatta all’uscita dal campo.

Con il trofeo distante solo 45 minuti, gli Azzurri decisero di arretrare il baricentro per difendere il risultato. Dino Zoff fu chiamato a qualche parate di routine, ma con Džajić sempre più isolato, la scintilla e la creatività che aveva caratterizzato l’attacco della Plavi nella prima partita erano sparite.

L’Italia controllò in scioltezza. Era una battaglia troppo lunga per gli uomini di Tito. Gli Azzurri avevano mostrato di che pasta erano fatti nel momento decisivo. Il ritorno di Mazzola, unito alla costante pericolosità di Riva, si rivelò fondamentale.

Anastasi e Riva

 

Al fischio finale, i tifosi dello stadio festeggiarono in maniera scatenata. Il suono dell’esultante coro dei tifosi “Italia, Italia” riverberava intorno all’anfiteatro cavernoso. Circondato da una legione di tifosi in estasi, il capitano Giacinto Facchetti sollevò la coppa di una nazionale che aveva già trionfato nelle altre competizioni.

Appena due anni prima, Facchetti, Burgnich, Mazzola, Rosato e Salvadore erano tornati tra i fischi e l’iconoclastia dopo la sconfitta contro la Corea del Nord. All’arrivo all’aeroporto, erano stati accolti da una folla inferocita che aveva lanciato loro dei pomodori. Lo spettro di quella sconfitta era rimasto troppo a lungo. Il fantasma della Corea del Nord fu finalmente scacciato in quella serata romana..

Per la seconda volta in tre tornei, la Jugoslavia aveva perso in una finale europea ma, dopo aver battuto i campioni del mondo dell’Inghilterra in semifinale, non poteva non essere orgogliosa.

Per l’Italia, la vittoria rappresentò un ottimo viatico per la Coppa del Mondo di Messico ’70, dove regalò emozioni memorabili, pur perdendo la finale sotto i colpi di un certo Pelé…

 

Vincenzo Di Maso