Ascoltiamo fin troppo spesso l’odioso detto intriso di retorica, del “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile”. Un detto che non si applica all’Inter del triplete, che la squadra di José Mourinho ha conquistato esattamente 10 anni fa, il 22 maggio 2010. Era una squadra già dotata di una base molto competitiva, ma fu il calciomercato dell’estate 2009 a regalare a Mourinho una compagine in grado di vincere la Champions.
Rispetto a Mancini, che aveva vinto in Italia anche al cospetto di avversari non irresistibili, Mourinho beneficiò di calciatori con maggiore esperienza internazionale, fermo restando l’innegabile tocco magico del portoghese. Era un’Inter che annoverava tra le proprie fila punti fermi come Julio Cesar, Samuel, Zanetti, Maicon e Cambiasso, oltre ad alternative valide, come Chivu, Materazzi o Stankovic.
Marco Branca è stato tanto criticato per molti errori di valutazione nel calciomercato, eppure quell’anno riuscì a consegnare a Mourinho elementi con grandissima esperienza nelle competizioni europee. Milito è stato il finalizzatore e il calciatore decisivo in ogni singolo trofeo del triplete, eppure ad essere determinanti sono stati tutti gli attori principali. Analizziamo ad uno ad uno i contributi di questi calciatori.
Julio Cesar si è reso protagonista di parate importantissime o decisive praticamente in tutte le partite. Al Camp Nou è stato grandioso, in primis sul tiro angolatissimo di Lionel Messi.
Maicon è stato dominante a livello fisico sulla fascia, aiutando in fase difensiva con i suoi colpi di testa, mentre contro il Barcellona ha segnato il gol del sorpasso. Con ogni probabilità è stato il terzino più forte nella storia dell’Inter.
Lucio ha dato personalità e atletismo alla difesa. La sua giocata più decisiva è stata il salvataggio sulla linea contro il Barcellona su tiro ravvicinato di Piqué.
Samuel è stato un muro, in particolare contro Chelsea e Barcellona, formando con Lucio una coppia difficilmente penetrabile. Al Camp Nou è stato un vero e proprio eroe.
Zanetti, nonostante avesse all’epoca 37 anni, era inarrestabile a livello di corsa. L’argentino ha dato il suo classico enorme contributo negli strappi e in fase difensiva. Come ricordare la perfetta marcatura su un Robben che fino a quel momento aveva messo in crisi Chivu.
Cambiasso era il frangiflutti di quella squadra. Vero leader a centrocampo, fondamentale per arginare gli attacchi avversari, raddoppiare, ma anche fare ripartire l’azione e inserirsi. Il gol a San Siro contro il Chelsea fu di vitale importanza.
Il tanto bistrattato Thiago Motta, piaccia o meno, è stato fondamentale (finché ha giocato) proprio per il fisico, il senso della posizione, la fase difensiva e le transizioni. Il gol di Maicon contro il Barcellona nasce da un suo recupero su Messi.
Sneijder è stato più che fondamentale. L’olandese ha salvato i nerazzurri nel girone, ha servito l’assist al bacio per Eto’o a Londra, è stato eccezionale (segnando anche un gol) contro il Barcellona, mentre in finale è stato lui a servire Milito.
Pandev non ha avuto una carriera all’altezza della stragrande maggioranza dei compagni, né è considerabile un campione. Eppure il macedone ha fatto la differenza nel match di andata contro il Barcellona. Quello strappo che ha portato al gol di Maicon è di struggente bellezza.
Eto’o aveva già vinto due Champions. La differenza nei confronti di Ibrahimovic si è vista nell’atteggiamento in campo. Lo svedese era un accentratore, ma era piuttosto scomodo per i compagni. Il fatto che un calciatore di questo livello chiuda la carriera senza aver vinto una Champions, nonostante le opportunità avute non è ascrivibile alla sfortuna. In quella doppia sfida di semifinale, Eto’o fece la differenza, mentre Ibrahimovic si rivelò una palla al piede per il gioco di Guardiola. Non è un caso che il Barcellona creò i maggiori pericoli quando Ibra uscì. Eto’o fu fondamentale nella maggior parte delle gare, segnando un gol d’oro contro il Chelsea. Contro il Barcellona si rese protagonista di una gara di enorme sacrificio, fungendo praticamente da terzino e contribuendo a limitare gli attacchi Blaugrana.
Milito è stato l’eroe di quella Champions. L’anno precedente l’attacco era affidato a Ibra, il quale fu facilmente controllato dallo United. Il Milito del Triplete era Re Mida e, in quella Champions, segnò tutti gol pesantissimi, a cominciare da quello del momentaneo pareggio a Kiev, per finire con la doppietta in finale. Più di chiunque altro, Diego Milito si è trovato al posto giusto nel momento giusto.
Mourinho è stato lo stratega di quell’Inter, ma anche il grande motivatore. Celebri i suoi discorsi nell’intervallo a Kiev e a Barcellona. Dal punto di vista emotivo e psicologico, il lavoro del tecnico portoghese è stato leggendario. Tatticamente, da rimarcare lo schieramento al Camp Nou, con il lavoro difensivo di Eto’o, ma anche l’inserimento coraggioso di Pandev, assieme alle due punte, nei momenti decisivi.
Per concludere, tante squadre hanno vinto una competizione grazie ai campioni e ai gregari, con questi ultimi che avrebbero potuto essere sostituiti da calciatori altrettanto disciplinati. Per un allineamento d’astri, quell’Inter del triplete fu costruita in maniera perfetta, con ogni calciatore al posto giusto e nel momento giusto. Di “gregari” ce ne erano ben pochi, o forse neanche ce ne erano. Come si può considerare gregario un Cambiasso che gestisce il centrocampo, tampona, si inserisce, insegue e segna anche? Come si può considerare gregario un fuoriclasse come Eto’o solo perché ha fatto tanto lavoro sporco in quell’edizione della Champions?
Fatto sta che quell’Inter del triplete, seppure abbia avuto un picco di un solo anno, è stata una squadra formidabile e che non ha vinto certo per puro caso. A Barcellona “lasciò il sangue in campo”, come ha affermato Mourinho, nonostante fosse stata ridotta in 10 per una simulazione di Busquets.
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione