Lazio-Milan sarà il secondo match importante di questa giornata di Serie A. La squadra allenata da Maurizio Sarri avrà il compito di restare in zona Europa per provare ad avere un posto di rilievo per la prossima stagione, mentre il club di Pioli ha l’obiettivo di vincere dello scudetto. Sarà una partita dai diversi fattori, molti anche simili, con schemi e tattiche vicine ma allo stesso tempo diverse (soprattutto in difesa). Marco Parolo, ex centrocampista della Lazio e attuale commentatore di Dazn, ai microfoni di Lazio Style ha analizzato la partita di domenica sera: “la Lazio contro il Milan deve giocare una gara d’orgoglio per affrontare al meglio una delle migliori formazioni della Serie A ed ottenere il risultato. Il Milan ha bisogno di vincere per mettere pressione all’Inter che mercoledì recupererà il match con il Bologna, i biancocelesti devono provare a conquistare il bottino pieno per testimoniare di essere in crescita, alimentando anche la lotta per la zona europea. Immobile più che la ciliegina è la torta della Lazio, arricchita anche da ingredienti come Milinkovic, Luis Alberto e Zaccagni. I biancocelesti forse avrebbero bisogno di una ciliegina come avvenuto con Pedro, un calciatore che può offrirti esperienza in determinate partite. Avere giocatori del genere alzano il livello della squadra dando anche nuovi stimoli al resto del gruppo. La Lazio è una squadra che sta facendo bene, ma che non ha ancora trovato la continuità”.
Marco Parolo ha poi ricordato la sua doppietta realizzata nel 2015 quando la Lazio ha vinto 3-1: “il 3-1 sul Milan del gennaio 2015 me lo ricordo benissimo, fu un’emozione grandissima soprattutto per ciò che rappresentava la maglia bandiera. Fu una serata incredibile nella quale segnai una doppietta. Il primo gol fu propiziato da un assist di Klose, mi auguro che la Lazio domenica possa ripetersi”. Infine ha parlato del suo rapporto con Pioli: “ho avuto un ottimo rapporto con Pioli, un allenatore bravissimo capace di leggere bene le partite variando anche lo schema di gioco lasciando fermi alcuni suoi principi di gioco. Il suo unico limite, forse, era quello di essere un leader vero dello spogliatoio, un qualcosa che non si riuscì a ripetere nel suo secondo anno nella Capitale”.
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