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In un calcio che fa del dinamismo, della reattività e della foga atletica, la sua religione, stride osservare il centrocampo della Roma. A Udine, orfana di Mkhitaryan, è emersa la flemma degli interpreti giallorossi in mediana. E’ ormai chiaro che Pellegrini e Sergio Oliveira, giocatori dai piedi raffinati, sono uno lo specchio dell’altro: registi sacrificati all’incontrismo, la cui naturale posizione è più di qualche metro avanti. Lo stesso Mkhitaryan non è certo dedito all’interdizione, nonostante la sua classe superiore alla media gli consenta di riciclarsi con grande disinvoltura in un nuovo ruolo, di regista arretrato, a 33 anni suonati.

Se l’armeno, come definito da Fonseca, è un vero “professore” dall’intelligenza tattica sopraffina, i suoi compagni di reparto soffrono terribilmente le squadre aggressive per la differente attitudine che hanno nell’interpretare il ruolo. Cristante non nasce mediano. Nonostante sia stato impiegato anche come centrale di difesa e abbia imparato molto su come si lavora in marcatura, è arrivato a Roma con l’etichetta di “mezzala” con propensione al gol, dato che nella stagione precedente al suo arrivo era stato il centrocampista più prolifico della Serie A. L’ex-Atalanta non manca di personalità e impone il suo carisma, è in sostanza il Matic di Mourinho quando allenava il Manchester United: fisico, tosto ma anche limitato tecnicamente.

Rimarrebbe Veretout ma il francese viaggia a fasi alterne; a volte (raramente) sembra la reincarnazione di Nainggolan, più spesso si spende e si sacrifica ma sembra girare a vuoto. Se è vero che la forza di una squadra nasce proprio nella zona nevralgica del campo, basti pensare alla Roma di De Rossi e Pizarro o di Emerson e Tommasi, si vede subito come la Roma di Mourinho manchi della complementarità degli interpreti. In fondo con una diversa gamma di attitudini difensive e offensive, Cristante, Veretout, Pellegrini e Sergio Oliveira sono la stessa faccia dell’interpretazione del ruolo di centrocampista. Manca l’alter-ego, dinamico, che consenta di farli andare a briglia sciolta, un giocatore “alla Barella” che consenta di dare dinamismo e non tiri mai dietro la gamba.

Al calcio dinamico di oggi, la Roma risponde con un reparto statico, e soffre terribilmente chi lo aggredisce. Un difetto che Mourinho ha individuato sin da luglio, quando ha invocato a gran voce il nome di Xhaka che, per caratteristiche, è molto diverso da tutti i centrocampisti della rosa della Roma. Lo svizzero avrebbe garantito quella cattiveria in stile De Rossi, unita a una buona dose di dinamismo e piedi abbastanza educati anche se, nel caso dello svizzero, non da regista.

Il tecnico portoghese è conscio che da un centrocampo di livello nasce sia la fase di interdizione, dunque la copertura ai centrali di difesa, sia la prolificità offensiva che nasce dall’accompagnare in maniera adeguata la manovra. A Udine, come in tante altre occasioni quest’anno, si sono visti tanti doppioni non riuscire a trovare le giuste misure, a “pestarsi i piedi”, a soffrire le marcature preventive lasciando troppo spesso la trequarti sguarnita a Deulofeu e compagni. Prendere un profilo “dinamico” sarà la priorità del prossimo mercato, come lo è stato l’estate scorsa. Mourinho dovrà scegliere bene e non andare sull’occasione a prezzo di saldo, vedasi Sergio Oliveira, per colmare un buco con un altro doppione.

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