Storico accordo per il movimento del calcio femminile in America, urlare sembra avere un senso. Non è stato vano per le atlete della nazionale a stelle e strisce alzare innumerevoli volte la voce contro l’establishment; seppur in tribunale, è stato conquistata una pedina per la crescita di un movimento già anni luce avanti rispetto al resto del mondo.

Le forti e insistenti voci delle maggiori rappresentati della nazionale americana sono sempre state il sottofondo della crescita del movimento in questi anni. Molti ricorderanno gli screzi a seguito della vittoria USA degli ultimi Mondiali 2019 in Francia; in quel caso Megan Rapinoe (probabilmente una delle attiviste più convinte) rifiutò nettamente l’invito alla Casa Bianca dell’allora presidente Donald Trump insieme a tutte le sue compagne.

“Il tuo messaggio esclude le persone. Ci stai escludendo: stai escludendo le persone che assomigliano a me, escludendo le persone di colore, stai escludendo gli americani che ti supportano. E’ un’opportunità per questa amministrazione di metterci in mostra come ospiti per la giornata il nostro invito alla Casa Bianca. Non penso che questo abbia senso per noi. Non posso immaginare che qualcuna delle mie compagne di squadra possa essere messa in quella posizione: ci sono così tante altre persone con cui preferirei parlare e avere conversazioni significative che potrebbero davvero influenzare il cambiamento a Washington, piuttosto che andare alla Casa Bianca”.

Parole piuttosto coraggiose, forse un filo troppo enfatiche, ma sicuramente di grande impatto. Le stesse portarono Rapinoe a superare lo stesso Donald J. Trump nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Secondo Public Policy Polling, la stella della Nazionale aveva infatti conquistato il 42% dei consensi a fronte del 41% dell’allora Presidente in carica.

La vittoria dopo le battaglie

Molte sono state poi le cause con le quali la Federazione americana si è dovuta scontrare. Le richieste delle atlete sono sempre state ferme, e la mobilitazione per renderle realtà si è spesso concretizzata sul piano nazionale. Questa cultura americana della chiassosa lotta popolare, che spesso presenta lacunosità e problematiche anche a livello politico, nel caso del movimento calcistico femminile è stata determinante non solo per le conquiste precedenti, ma anche per quella di poche ore fa.

E’ stato proprio ieri infatti quando, dopo l’ennesimo scontro in tribunale, la Federcalcio americana ha dovuto mollare la presa di fronte alle richieste delle Americane. E’ stata finalmente riconosciuta, non solo nella forma ma anche nella pratica, la parità di genere anche nella nazionale americana. La U.S. Soccer si impegna infatti ufficialmente a pagare le atlete della propria nazionale in egual misura rispetto ai colleghi uomini. Anche Joe Biden (che, a naso, sarà più simpatico rispetto al suo predecessore a Megan Rapinoe, anche in questo caso impegnata in prima linea con una class action) ha utilizzato parole di giubilo in un tweet.

“Questa è una vittoria attesa a lungo nella battaglia per la parità di salario. Sono orgoglioso della nazionale di calcio femminile Usa per non aver mai mollato, dentro e fuori il campo. Ora chiudiamo il gap salariale in tutte le industrie.”.

Joe Biden nel suo tweet

L’entità della conquista e le differenze ancora presenti

Oltre a questo, arrivano anche 24 milioni di indennizzo dalla stessa Federazione. Di fatto un risarcimento danni, che da’ inevitabilmente l’idea di un’istituzione messa in ginocchio di fronte alla cocciuta lotta delle atlete. E’ ovvio che, relativamente ai club, il divario sia ancora drammaticamente sostanzioso; in tal caso però è necessario fare una successiva e forse scontata analisi. Il campionato di MLS maschile è alla disperata ricerca di crescita, e pur di assicurarsi dei fuoriclasse mediatici è pronta a sborsare fortune impensabili; scontato fare l’esempio di un campione come Higuaìn, il quale percepisce ben 4,7 milioni l’anno dalla sua squadra. Rispetto alle colleghe donne siamo incredibilmente distanti, ma solo perché da pochissimi anni l’immensa macchina del calcio maschile ha iniziato ad affascinare sul serio gli imprenditori in America, sicuramente attratti da un movimento come quello dell’ MLS, che dia maggiori garanzie nel settore degli investimenti rispetto al femminile.

Nel caso delle calciatrici però queste grandi differenze economiche nei club vengono (seppur in piccolissima parte) calmierate dagli sponsor, che nel settore calcistico femminile americano sono incredibilmente radicati. In questo caso la legge del mercato è molto semplice: tanto più si garantisce visibilità agli sponsor, quanto più questi saranno disposti a sborsare danaro. E in America (vedi l’esempio della stessa Rapinoe) alcune atlete sono comunemente individuate come eroine sociali e modelli da seguire. La strada è quindi definita.

Dunque, in sintesi, se nel caso della nazionale le sovvenzioni vengono dallo stato e non si avvicinano neppure minimamente ai numeri dei club, nei campionati non si segue più etica o morale, ma essendo un contesto privato si è obbligati ad andare incontro alle feroci leggi del mercato.

E negli altri paesi?

Mentre in America però le paladine dei pari diritti e delle pari opportunità lottano e conquistano facendo terra bruciata dietro di loro, sul campo e fuori, oltre i confini americani la situazione è decisamente diversa. Fatta eccezione per Norvegia e Australia infatti, le nazionali a stelle e strisce sono le uniche ad aver conquistato un tale traguardo. La parità salariale in nazionale, anche in questi casi, non garantisce di certo stipendi faraonici alle atlete, ma rappresenta un passo sociale in avanti.

E’ giusto dunque inquadrare tutto nella giusta misura e comprendere come altri tipi di approccio sul lungo andare possano portare ugualmente a soddisfacenti risultati. In Europa, questo è certo, c’è ancora da fare il passo subito precedente a quello americano: la completa transizione verso il professionismo di tutti (o la maggior parte) dei paesi. Abbiamo visto la situazione in Spagna, dove tutto sembrava pronto per il tragitto in discesa prima di un repentino cambio di direzione; conosciamo però anche la realtà del calcio femminile in Inghilterra e in molte altre nazioni, che con le giuste normative e un approccio astensionista (non intervenzionista e, molto in breve, legato alle istituzioni come il nostro) è riuscito a raggiungere grandissime conquiste, senza il bisogno di alzare la voce, senza la parità salariale in nazionale ed evitando di scomodare i Palazzi.

Sarà forse il naturale, più sobrio e silente approccio ai problemi degli europei rispetto a quello degli americani; sarà che siamo abituati a vedere le cose crescere fra le nostre braccia e non a grattaceli che spuntano da un giorno all’altro; o forse sarà che siamo un po’ meno bravi degli altri e troppo poco caciaroni. La verità è che chi guarda il giardino del vicino diventare sempre più verde sarebbe bene che si facesse delle domande sulle reali cause, e che si guardasse bene dal non trascurare il suo.

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