Giorgio Chinaglia è l’indiscusso protagonista del primo scudetto della Lazio, vinto nel 1974. Era la Lazio di Wilson, Oddo, Maestrelli e, naturalmente, di Long John. Il calciatore toscano è stato un simbolo della Lazio, ma la sua vita non è stata legata solo ai colori biancocelesti.
La famiglia di Chinaglia fu costretta a emigrare nel Regno Unito a causa della situazione economica italiana nel dopoguerra. Long John è tornato spesso sulla sua infanzia, ricordando la povertà della famiglia, la durezza del padre e il fatto che è stato costretto a lavorare sin da bambino. Questo background, assieme ai suoi gol, lo hanno fatto diventare un idolo tra i tifosi della Lazio.
Ha iniziato la sua carriera da calciatore allo Swansea, che lo considerava non abbastanza bravo per fare carriera nel calcio e lo ha lasciato andare. Tornato in Italia per il servizio militare, ha iniziato a giocare per un paio di club minori. È nel 1969 che ha ottenuto la sua grande occasione: l’ingaggio da parte della Lazio, al fianco del compagno di squadra italo-britannico Pino Wilson all’ormai defunto Internapoli.
La sua vita a Roma iniziò non senza intoppi. Nel giro di due anni Chinaglia e i suoi nuovi compagni di squadra si ritrovarono in serie B dopo la retrocessione nella stagione 1970-1971. L’unico successo della Lazio prima degli anni Settanta era stata la solitaria Coppa Italia del 1958. I rivali cittadini della Roma avevano vinto una sola volta la Serie A prima di questo periodo, con il potere del calcio italiano saldamente concentrato nel Nord ricco e industriale. Eppure la Lazio risalì la china alla grande e diventò una delle migliori squadre italiane. Tra il 1972 e il 1974 la squadra si classificò prima, seconda e terza in Serie A, vincendo il titolo nel 1974 con il notevolissimo contributo di Chinaglia, che mise a segno 24 gol.

Ormai aveva anche preso l’abitudine di segnare nel derby di Roma. Forse l’esultanza più cara ad ogni tifoso della Lazio: il dito indice di Chinaglia sotto la Curva Sud durante un derby contro la Roma.
Siamo al 31 marzo 1974: dopo un iniziale vantaggio dei giallorossi, arriva il pareggio di D’Amico e poco dopo viene concesso un rigore per i biancocelesti.
Dopo la concessione della massima punizione da parte del direttore di gara, sugli spalti si scatena il putiferio. Un clima cosi teso non può che accendere l’animo di Giorgio Chinaglia che si presenta sul dischetto. Rincorsa lunghissima, palla da una parte, portiere dall’altra.
Dopo il gol, il pallone, come a voler suggerire l’esultanza, rimbalza all’interno della porta e torna da Chinaglia che lo raccoglie scaraventandolo verso i tifosi romanisti. Long John punta il dito indice della mano destra perfettamente allineato con i suoi occhi, rimanendo piantato cosi a testa alta, urlante di soddisfazione, con il braccio teso e, appunto, il dito puntato verso la curva ostile.
Quel gesto, però, fa inviperire i sostenitori romanisti che arrivano a minacciare addirittura la moglie del bomber laziale e Chinaglia, eletto a furor di popolo idolo della curva biancoceleste, viene costretto a vivere per tre mesi a casa dell’allenatore Maestrelli.
In campo, come nella vita, Chinaglia era una figura sanguigna e controversa. Spesso litigava durante le partite – non di rado anche con i suoi compagni di squadra – e reagiva con rabbia quando non gli veniva data la palla. Ma era fuori dal campo che diventava una figura ancora più confittuosa.
Gli anni Settanta in Italia erano noti come gli anni di piombo, un periodo politico pieno di tensioni dove le “linee di faglia” tra destra e sinistra si allargavano sempre più. Già nel 1976 il Partito comunista italiano ottenne più di un terzo dei voti alle elezioni, mentre anche un partito guidato da un ex scagnozzo di Mussolini cercava di arrivare al potere.
In tempi più recenti, i sentimenti di destra degli ultrà laziali sono diventati ben noti, con il famigerato saluto fascista di Paolo Di Canio nel derby di Roma che ha richiamato l’attenzione sulla politica delle squadre di calcio di Roma. Negli anni Settanta la situazione era simile, e lo stesso Chinaglia rivolse un saluto fascista ai tifosi della Lazio. Chinaglia espresse anche il suo sostegno al partito di estrema destra guidato da uno degli uomini di Mussolini.
Non si sa fino a che punto Chinaglia fosse coinvolto politicamente; ciò che è chiaro è che non sfuggiva certo dalle polemiche e si divertiva a irritare gli avversari, in campo e fuori dal campo. Quello non era però un periodo in cui la politica in Italia era solo un argomento di discussione, come nei tempi attuali. Gruppi terroristici come le Brigata Rosse (di sinistra) e le Squadre d’Azione Mussolini (di destra) erano sulla cresta dell’onda. Nel 1978 le Brigate Rosse rapirono e uccisero Aldo Moro, l’ex presidente del consiglio del nostro Paese.
La vita nella Capitale divenne difficile per Chinaglia. L’attaccante di origini toscane possedeva una pistola, come la maggior parte dei compagni di squadra alla Lazio. Tuttavia, le polemiche che Chinaglia amava cominciarono a fargli perdere il controllo, e cominciarono ad emergere le minacce di rapimento da parte di gruppi terroristici. La sua famiglia si trasferì negli Stati Uniti a metà degli anni Settanta, con Giorgio che fu molto riluttante a lasciare la Lazio, prima di decidere di raggiungerla negli USA nel 1976. A 29 anni non avrebbe più giocato in Serie A. Ma la sua carriera era tutt’altro che finita.
Ingaggiato dai New York Cosmos, è diventato un pioniere della North American Soccer League, il primo importante tentativo degli Stati Uniti di entrare nel mondo del calcio. A New York giocava al fianco di Pelé, Carlos Alberto e Franz Beckenbauer, mentre i Cosmos diventavano la squadra più importante della nazione. La NASL aveva iniziato ad attrarre le star sul viale del tramonto, ma non era il caso di Chinaglia. In sette stagioni con il Cosmos, avrebbe segnato quasi 200 gol in partite di campionato ufficiali (e quasi 400 in totale), finendo come capocannoniere del club in ogni stagione.
Egocentrico come ai tempi della Lazio, criticava Pelé per non passargli la palla e per non correre abbastanza. Chinaglia è entrato nella NASL Hall of Fame nel 2000 e rimane una leggenda del calcio negli Stati Uniti; quando i New York Cosmos sono stati rilanciati recentemente, il club ha ritirato la maglia numero 9 in suo onore.
Nonostante i molti anni trascorsi in Galles e negli USA, Chinaglia ha dichiarato di essersi sempre sentito italiano, ma la sua carriera con gli Azzurri è stata una grande delusione. Dopo aver segnato al suo debutto, e aver contribuito alla prima vittoria dell’Italia contro l’Inghilterra a Wembley, ha partecipato ai Mondiali del 1974.
Raramente impiegato, litigò con l’allenatore dell’Italia Feruccio Valcareggi quando fu sostituito nella fase a gironi, con l’Italia che non riuscì a ripetere i fasti del 1970. Al ritorno a casa, Chinaglia – persona arrogante e schietta, simbolo di una Lazio impopolare – divenne un facile capro espiatorio. La sua carriera in nazionale si concluse nel 1975, appena tre anni dopo il debutto, con sole 14 partite giocate, condite da 4 gol.
Alla fine della sua carriera calcistica, Chinaglia ha proseguito quella imprenditoriale. È stato presidente della Lazio e proprietario del New York Cosmos a metà degli anni ’80, ma le sue imprese sono state spesso rovinate da indagini penali. Nel 2004 è tornato in Italia nel tentativo di rilevare il Foggia, società poi in serie C dopo un periodo glorioso in serie A nei primi anni ’90 sotto la guida di Zdeněk Zeman. L’acquisizione fallì, Chinaglia fu accusato di riciclaggio di denaro sporco e tornò negli Stati Uniti.
Ma non fisce qui. Gli ultrà laziali spalleggiarono Chinaglia per l’acquisizione della società. In carica dal 2004, Lotito aveva cercato di ridurre drasticamente il potere degli ultrà, che fecero di tutto per far acquisire la società dal loro idolo. Il piano fallì e riaffiorarono le accuse di riciclaggio di denaro sporco. Il clan dei Casalesi si era mosso in prima linea, mettendo sul tavolo 21 milioni di euro e minacce di stampo mafioso per convincere Lotito a cedere. Il ruolo di Chinaglia fu reputato cruciale e venne considerato lo “sponsor” dei Casalesi. Colpito da un mandato di arresto per riciclaggio, Chinaglia fuggì negli USA.
Giorgio Chinaglia appartiene a un’Italia che non esiste più; un tempo in cui la cortina di ferro toccava il confine orientale del Paese, in cui le ideologie politiche combattevano una feroce battaglia, in cui il terrorismo era parte integrante della vita italiana. Era un uomo che amava la vita mondana, soprattutto quella di New York, ma che non si accontentava mai di una vita facile e agiata, memore dell’infanzia difficile. Era un prolifico bomber, che ha segnato più di 100 gol con la Lazio, squadra che ha portato tra le grandi del calcio italiano.
Figlio di un umile operaio metallurgico, aveva l’abitudine di parlare di sé in terza persona. Giorgio Chinaglia è stato un uomo orgoglioso di essere italiano, che ha passato la maggior parte della vita all’estero. Come noto, Chinaglia è stato votato come il più grande giocatore della società biancoceleste nei festeggiamenti per il centenario. In un’epoca ben precedente a quella dei calciatori atleti con addominali scolpiti, Chinaglia era una vera rockstar del calcio.

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione