“Ho cominciato a giocare a pallone all’età di otto anni. A quell’epoca erano tutti pazzi per un cartone animato sul calcio, Captain Tsubasa (in Italia “Holly e Benji”). Credo in tutta onestà che sia stata quella la scintilla che mi ha fatto avvicinare al calcio, poi la scuola mi ha indirizzato su questa strada. Eravamo molti ragazzini e un solo campo. Così, ci toccava fare i turni. Mi è capitato di giocare anche all’alba, alle cinque o alle sei del mattino. Ho sempre la stessa passione. Per me è altrettanto piacevole giocare a piedi nudi per strada o in uno stadio mitico. E poi giocare una partitella è il modo migliore per farsi degli amici, viaggiare, scoprire il mondo vero. Il calcio è uno sport incredibile, praticato ovunque, amato in ogni Paese che ho visitato”.
La storia calcistica del Giappone è stata avara di calciatori di spessore, almeno fino al periodo a cavallo del nuovo millennio. Quella compagine del Sol Levante ai Mondiali di Francia ’98 perse tutte le partite ma, nei match contro Argentina e Croazia, dimostrò di poter competere con nazionali estremamente blasonate. Nella partita contro l’Argentina, la seconda metà della ripresa fu appassionante. L’albiceleste era in difficoltà mentre i giapponesi avevano ancora birra. Guidati dalla sapiente regia di un ragazzino poco più che 20enne, gli asiatici sfiorarono più volte il pareggio.
Quel ragazzino aveva qualcosa di speciale, doti mai viste nel Sol Levante a livello calcistico. Hidetoshi Nakata sembrava uscito da un anime giapponese sul calcio. Catapultato in Italia, nel Perugia dell’eccentrico presidente Luciano Gaucci, non nuovo a scommesse esotiche, l’impatto di Nakata sul nostro campionato fu devastante. Il giapponese si presentò in Europa segnando ben 10 gol al suo primo campionato.

Incarnazione del wabi sabi
La Roma di Capello era una squadra quadrata che, ad immagine e somiglianza del suo tecnico, macinava punti sotto i colpi di Totti e Batistuta. Già, Batigol, l’unico di marcatore di quell’Argentina-Giappone che fece conoscere Nakata al mondo. E Nakata fu il colpo scudetto. Al suo esordio con la maglia giallorossa, vennero agitate ben 15.000 bandierine in Curva Sud.
L’ex giocatore del Perugia riuscì ad applicare al meglio il wabi sabi, inteso come “la capacità di apprezzare ciò che è veramente importante nella vita, eliminando tutto ciò che non è essenziale”. Grazie al lavoro di Capello, il giapponese riuscì a mettere da parte ghirigori e giocate per la platea, diventando calciatore, appunto, più essenziale.
Dai suoi piedi la chiave di volta per lo scudetto della Roma nell’annata 2000/2001. Con due tiri di Nakata (un gol e una bordata che portò alla goffa respinta di Van der Sar), i giallorossi rimontarono la Juve e si involarono verso lo scudetto. La settimana dopo, in un match condizionato dalla tensione, il giapponese servì un assist dopo nel match contro l’Atalanta. Quando Totti attraversò un momento di calo, fu l’ex Perugia e prendere per mano la squadra. L’ambiente romano è incandescente e estremamente esigente. Con il suo modo di pensare totalmente avulso, “glaciale”, Nakata riusciva a fare deserto e a pensare solo a giocare.
A 24 anni, quel giovane del Sol Levante aveva vissuto il proprio apogeo calcistico.Seguirono stagioni in Italia a buoni livelli ma lontane dall’apogeo. Nel 2006, a soli 29 anni, Nakata annunciò il ritiro dal calcio.
“Volevo cominciare un altro viaggio”.

“Quando ho lasciato il calcio mi sono messo in viaggio. Da solo. La condizione ideale per assimilare dagli altri. Ho girato in tutto il mondo, cento nazioni in tre anni. Dopo una carriera di soli hotel e stadi, volevo vedere i luoghi, parlare con le persone. Il lusso dei paesi sviluppati e la frugalità di quelli poveri, bisogna conoscerli entrambi. Certo, il calore di alcuni luoghi dell’Africa nera e dell’Asia mi ha lasciato dentro qualcosa. Ovunque mi riconoscevano non tanto perché fossi famoso io, quanto per la popolarità planetaria del calcio”.
Viene in mente il concetto di Shinrin-yoku, ovvero il potere di guarigione dei famosi “bagni della foresta” giapponese. Concetto più ampio che va interpretato come esperienza sensoriale, riequilibrando il sistema nervoso. Come una sorta di purificazione dell’anima per gli shintoisti come Hide, necessaria dopo anni di tsumi, i peccati.

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione