“Adesso sono 20 minuti che la Roma non batte una grande”. Con questa frase Mourinho ha esordito nell’intervista post-partita di DAZN. Una battuta che nasconde tanto orgoglio per una squadra plasmata dal portoghese per andare a fare la guerra pur di togliersi di dosso l’etichetta di “complessata”, di squadra incapace di battere una squadra “top” da quasi 20 mesi.
Diciamoci la verità: in pochi anche tra i Romanisti pensavano che la Roma potesse uscire con tre punti da Bergamo. Ci speravano, come è giusto che sia, ma nel tifoso c’è sempre quella vena di irrazionalità che ti fa dire “io me lo sentivo”, che ti fa pensare che potrebbe essere la volta buona contro ogni pronostico. E’ stato così ma il caso non c’entra niente.
Negli ultimi anni Bergamo è stata una tappa infausta per i colori giallorossi; anche quando i valori in campo sembravano più equilibrati, i nerazzurri avevano sempre la meglio a causa della differenza di fisicità messa in campo dalle due squadre. Il miracolo di Mourinho è stato trasmettere al 100% la voglia di ingaggiare una battaglia (sportiva ci mancherebbe) senza quartiere contro una squadra abituata a brutalizzare gli avversari in primis sotto l’aspetto fisico, chiedere al Napoli di Spalletti per ulteriori informazioni.
Facilitata dall’immediato vantaggio che ha dato uno sprint alla motivazione della Roma, la squadra non si è lasciata intimidire rispondendo colpo su colpo agli orobici, lottando su ogni pallone come fosse l’ultimo della carriera di ogni giocatore. Costringere Gasperini a cambiare modulo dopo appena mezz’ora simboleggia la difficoltà degli smaglianti padroni di casa, colpiti proprio nel loro punto di forza: il pressing a tutto campo, la corsa e la fisicità esasperata nei contrasti.
E’ stata la Roma di Mourinho, furba e allo stesso tempo equilibrata nel gestire i momenti di difficoltà, tosta e letale nelle ripartenze. Una squadra che ha mostrato umiltà nel momento in cui c’era da essere incudine, soffrire e ripiegare, per poi martellare nel momento giusto. Mourinho si è dimostrato tirato a lucido, alla faccia del “bollito”. Tatticamente ha ingabbiato l’abile Gasp. E’ stato capace di catechizzare i suoi prima e durante tutto il match, uscendo afono ma soddisfatto dalla contesa più difficile dell’anno.
La sua soddisfazione nell’aver tolto uno scheletro dall’armadio della Roma, quell’astinenza di vittorie contro le big, ha trasformato la vittoria in una liberazione, in una nemesi che per la legge dei grandi numeri prima o poi sarebbe comunque arrivata. Nessuno tuttavia, a parte Mourinho e la squadra, credeva veramente che il “momento del riscatto” arrivasse a Bergamo, contro la squadra che ha raccolto più punti in Europa nelle ultime 10 giornate, in una città ribollente d’entusiasmo.
La gara di ieri al Gewiss Stadium potrebbe essere il punto di svolta della storia di Mourinho a Roma, che ha candidamente ammesso di voler rimanere a Roma “anche sei anni, sicuramente tre” ma che non distolto l’attenzione dalle finestre di mercato, vera occasione di crescita qualitativa della rosa. Sei anni di Gasp, sei mesi di Mourinho: ieri la differenza non si è vista ma il portoghese sa che se la Roma vorrà arrivare a certi livelli le “seconde linee” dovranno essere scelte valide e non ragazzi da mettere dentro per necessità.
Il calcio è la mia passione in ogni sua sfaccettatura: ho giocato tanto, ho allenato altrettanto e adesso mi piace raccontarlo.