Man mano che ci avviciniamo a Qatar 2022, aumentano sempre di più le inchieste sulle terribili condizioni lavorative delle persone impiegate nella costruzione degli stadi.
Il progetto degli stadi della Coppa del Mondo di calcio rimane di primaria importanza per l’economia di uno dei Paesi più ricchi del Golfo, nonostante il blocco universale causato dalla pandemia di coronavirus. Ed è così che nasce uno degli squilibri umanitari più sconvolgenti dell’attualità.
Per rispettare le tempistiche per il completamento degli stadi, di progetti architettonici di dimensioni mastodontiche, si sono perse e si perderanno tantissime vite umane. Parliamo di lavoratori migranti, provenienti lo più dal sud-est asiatico e dai Paesi dell’Africa orientale. Le associazioni umanitarie hanno già condannato in molte occasioni le condizioni proibitive che molti di loro devono affrontare quotidianamente, spesso vittima di incidenti sul lavoro o addirittura “morti improvvise” per insufficienza cardiaca, mascherate dalle autorità come morti naturali. Basti pensare che le aziende hanno preparato dei fondi per risarcire le famiglie dei lavoratori morti nella costruzione di questi stadi, come se fossero dei freddi numeri.
Gli stessi lavoratori, che in piena estate possono essere esposti a temperature soffocanti per più di dieci ore al giorno e dormire in container claustrofobici con altri colleghi, si trovano ora ad affrontare un pericolo invisibile, un virus che non discrimina in alcun modo. D’altronde, anche gli impegni del governo del Qatar, che dovrebbero garantire una serie di misure a favore di questo gruppo vulnerabile, si stanno rivelando tutt’altro che convincenti.
«Stiamo parlando di uno degli scandali più disgustosi della storia dello sport: lo sappiamo e lo vedremo ancora».
Lo scorso gennaio, il Qatar ha proceduto ad abolire la Kafala, una legge comune in Medio Oriente che rendeva obbligatorio per i datori di lavoro permettere ai propri lavoratori stranieri di lasciare il Paese o di cercare liberamente un altro impiego, dopo anni di pressioni da parte dei movimenti sociali. Scrive Tiziana Tomeo in Comparazione e diritto civile: «La Kafala è un istituto giuridico del diritto islamico attraverso il quale un giudice affida la protezione e la cura di un minore (makfoul) ad un soggetto (kafil); quest’ultimo, nella maggioranza dei casi rappresenta un parente che curerà la crescita e l’istruzione del minore (privato temporaneamente o stabilmente del proprio ambiente familiare), pur non creando alcun legame parentale tra gli stessi e senza rescindere il vincolo di sangue del minore con la famiglia d’origine».
Mentre le loro famiglie sparse per il mondo attendono il loro aiuto per sopravvivere alla dura realtà dei rispettivi Paesi, i lavoratori sono intrappolati in un ambiente ostile, senza cibo e attrezzature mediche sufficienti. Molti di loro hanno addirittura dovuto affrontare una detenzione inaspettata e una quarantena forzata, che ha portato alla loro deportazione illegale nel loro Stato di origine.
La stessa FIFA che chiude due occhi al cospetto dello sfruttamento e del razzismo nei confronti dei lavoratori impegnati nella costruzione degli stadi per i Mondiali. Il giornalista Pepe Rodríguez riassume il disastro sportivo, e soprattutto umanitario, della Coppa del Mondo 2022 in un interessante colloquio con Javier Aznar: «Stiamo parlando di uno degli scandali più disgustosi della storia dello sport: lo sappiamo e lo vedremo ancora».
Ai giornalisti norvegesi è stata tappata la bocca
I giornalisti norvegesi Lokman Ghorbani e Halvor Ekeland, della TV NKR, sono stati detenuti per 36 ore in Qatar. Il motivo? Le loro inchieste sulle violazioni dei diritti umani sui lavoratori migranti nei cantieri degli stadi di Qatar 2022. Una volta liberati, i due hanno raccontato di essere stati arrestati fuori dal loro hotel domenica scorsa mentre stavano per lasciare Doha. Sono stati rilasciati solo mercoledì mattina. Secondo il governo qatariota, l’accusa sarebbe di “violazione della proprietà privata” e per aver “filmato senza permesso”. La verità è ben diversa. Ghorbani ed Ekeland avevano trasmesso un servizio a Oslo in cui raccontavano le condizioni disumane di lavoro nei cantieri.
Ekeland e Ghorbani sono arrivati in Qatar domenica 14 novembre. Il giorno successivo, hanno avuto un appuntamento con il dissidente Abdullah Ibhais, conosciuto come oppositore del regime del Qatar.
Ibhais ha lavorato in precedenza come direttore dei media e delle comunicazioni per gli organizzatori della Coppa del Mondo del Qatar 2022. Nell’aprile di quest’anno, è stato condannato a cinque anni di reclusione per corruzione. Ibhais ha fatto ricorso contro la sentenza.
Ore prima di essere intervistato dalla NRK, Ibhais è stato arrestato. Il giornale norvegese Josimar aveva pubblicato un lungo articolo su Ibhais. La testata aveva spiegato il vero motivo della reclusione: Abdullha Ibhais aveva prestato assistenza ai migranti, offrendo loro vitto e alloggio.
Le parole di Ekeland sono state emblematiche: “In questo paese vi sono forti contrasti. Una parte dei lavoratori se la passa malissimo. Si vede il terrore nei loro occhi. Lavorano molto tempo, duramente e in condizioni disumane”.
A queste parole si è accodato il direttore di NKR Thor Gjermund Eriksen: “È inaccettabile che ai media venga impedito di esercitare un giornalismo libero e indipendente su uno dei più importanti eventi sportivi globali“. I giornalisti non hanno potuto intervistare i lavoratori davanti a una telecamera. Questi ultimi erano terrorizzati per possibili rappresaglie.
Gli stessi giornalisti hanno rischiato la pelle. Hanno parlato di “attentato alla libertà di stampa”. Eppure Ghorbani ed Ekeland sono convinti che il governo norvegese farà appello alla libertà di pensiero e di stampa. In Italia abbiamo letto purtroppo ben poco in tal senso. Ci si sta concentrando solo ed esclusivamente sulla qualificazione o meno della Nazionale italiane.
La FIGC non si è ancora espressa in tal senso e speriamo lo faccia presto. Gli stessi calciatori non hanno ancora preso posizione. A differenza di quanto avvenuto in Norvegia, Danimarca e Germania. Boicottarlo adesso e non andarci sarebbe troppo tardi. Federazioni e calciatori avrebbero dovuto farlo all’inizio. Si sarebbero risparmiate tantissime “morti bianche” per un mondiale insanguinato.

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione