Il Muro di Berlino fu edificato il 13 agosto 1961. Rimase in piedi per 10.316 giorni, fino a quando fu abbattuto il 9 novembre 1989. Il Muro di Berlino ha separato in maniera divisoria persone, Paesi e ideologie, sia materialmente che metaforicamente.
La storia di Berlino è la storia del XX secolo. Una città che fu l’epicentro non solo di uno dei regimi più crudeli della storia dell’umanità, ma anche della divisione politica simbolica tra Occidente e Oriente, America e Unione Sovietica, capitalismo e comunismo. Fiducioso di conseguire la vittoria della Seconda Guerra Mondiale, Adolf Hitler aveva predisposto il progetto Welthauptstadt Germania, una serie di attività impresse alla capitale tedesca, che sarebbe stata rivoluzionata a livello architettonico. La riedificazione di Berlino fu inserita nell’ambito del “piano comprensivo di costruzione per la capitale del Reich”. Il progetto fu edificato solo in parte e l’Olympiastadion fu portato al termine.
La città fu teatro di un rapidissimo cambiamento del suo panorama socio-economico, dalla Repubblica di Weimar negli anni Venti, dove l’enorme inflazione del dopoguerra fece sì che le banconote diventassero così inutili da essere bruciate per farne un falò, all’ascesa relativamente prospera del nazismo. Berlino era in una costante crisi d’identità, sprofondata e scavata, continuamente rabberciata dalle macerie, divisa e rimodellata sotto un establishment in costante mutamento.
Dopo la seconda guerra mondiale, Berlino fu divisa in quattro parti, spartite tra inglesi, americani, francesi e sovietici. Il Muro fu costruito dalla Repubblica Democratica Tedesca, il governo fantoccio sovietico della Germania dell’Est, per arginare il flusso di persone in fuga verso i settori di dominio occidentale dal blocco sovietico. Questo sancì l’iniziò più di un quarto di secolo di identificazione forzata per i berlinesi. Una città divisa: o eri un berlinese dell’Ovest o un berlinese dell’Est.
La storia politica di Berlino ha plasmato anche la cultura calcistica del suo popolo. Si è spezzata e spaccata, come testimonia l’enorme differenza tra la Hertha Berlino, squadra della zona Ovest, e l’Union Berlino, squadra della zona Est. Per essere una capitale di circa tre milioni e mezzo di abitanti, Berlino non è una città particolarmente florida a livello calcistico.
L’Hertha è la sua squadra di maggior successo, con l’ultimo titolo nazionale arrivato nel 1931, 32 anni prima della fondazione della moderna Bundesliga. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Die Alte Dame (la Vecchia Signora) è stata la squadra sostenuta dal partito nazista. Il suo stadio, il magnifico Olympiastadion da 74.000 posti, fu costruito nel 1936 dall’architetto capo di Hitler, Albert Speer, e il presidente del club nell’era prebellica era Hans Pfeifer, un membro del partito nazista insediato da Hitler per mantenere l’ideologia del partito.
L’Hertha è la squadra di Berlino che vanta il maggior numero di tifosi, con una media di circa 50.000 spettatori a partito, e mentre il suo stadio si trova attualmente nel prospero quartiere di Charlottenburg – la tradizionale sede di opulenti leader prussiani – l’Hertha è considerata la squadra di Berlino per antonomasia, vantando un foltissimo numero in tutta la città. Helmut Klopfeisch è il tifoso più famoso del club.
Klopfeisch Era uno delle migliaia di tifosi dell’Hertha di Berlino Est, intrappolato dalla parte sbagliata della cortina di ferro quando venne eretto il Muro e non ebbe più la possibilità di vedere la propria squadra. Klopfeisch fece di tutto per scoprire il risultato della sua squadra, accovacciato vicino al Muro quando la partita dei suoi beniamini era in corso per cercare di sentire la folla, per poi unirsi in seguito ai fan club segreti dell’Hertha a Berlino Est, incontrandosi di nascosto nei bar e nei caffè per seguire la squadra.
Due giorni dopo la caduta del Muro, 15.000 berlinesi dell’Est si accalcarono per vedere la squadra giocare per la prima volta dopo 30 anni, in uno stadio situato a meno di 20 km da quella voragine di cemento che li privò di quel diritto. A Berlino, la politica è stata indissolubilmente legata al calcio. Ha avuto il potere di condannare i tifosi a rimanere confinati in una striscia di terra, separata da un muro, a pochi chilometri dal teatro in cui si esibiva la propria squadra. Un subdolo sadismo.
Dall’altra parte del muro c’è l’Union Berlino. Con sede nel bel mezzo di una foresta, a Köpenick, la società fu fondata con il suo nome attuale nel 1966 come club di lavoratori. L’Union Berlino è affettuosamente conosciuto come Eisern Union, Unione di ferro, e il suo kit originale è stato ispirato dalla divisa dei lavoratori locali del settore metallurgico. L’essenza del club è definita dal suo status di società fondata, appunto, come club di lavoratori.
Nel 2008, quando lo Stadion An der Alten Försterei aveva un disperato bisogno di riparazioni e la società non poteva permettersi questi esborsi, 1.600 tifosi dell’Union misero insieme 140.000 ore di lavoro accumulato e ristrutturarono lo stadio senza ricorrere a risorse esterni, riparando gli spalti, montando un tetto e facendo risparmiare alla società circa 2 milioni di euro in lavori di riparazione. Tutto ciò è stato fondamentale per la promozione e la stabilità odierna del club
Oggi, l’Union è considerata la squadra alternativa di Berlino, con una cultura del tifo unica in Germania, fatta su misura per i puristi. Sono sempre stati considerati come la squadra anti-establishment, un luogo dove la gente si ribella contro il proprio potere dominante nella zona est del Muro, canta canzoni sognando la propria città unificata e si unisce nella sua posizione radicale contro la Stasi.
Quei tifosi hanno rappresentato l’immagine del dissenso civile. La Stasi – la rete di polizia, di informatori e di spie del partito comunista al potere – conservava archivi dettagliati su ogni cittadino, documentando hobby e abitudini, registrando ogni movimento e “sussurro”. Spesso inviava infiltrati nei fan club dell’Union per cercare di fiutare qualsiasi segno di ribellione o di opposizione al regime: un altro segno della vita completamente opprimente condotta da quelle persone nella Berlino Est.
Il 27 gennaio 1990, appena 79 giorni dopo la caduta del muro, l’Hertha giocò per la prima volta contro l’Union. Era solo un’amichevole all’Olympiastadion, ma non c’era odio, non c’era violenza, non c’erano soprusi. I tifosi si riunirono assieme, pagando simbolicamente il biglietto d’ingresso in diverse valute, cantando i cori di una città riunificata. Era molto più di una semplice amichevole: era l’inizio di un’unione tra due città che erano divise ma che, finalmente, si erano unite.
L’Hertha vinse 2-1 quel giorno, e le squadre non si sono affrontate fino al settembre 2010 nel primo match ufficiale tra le due compagini dopo la riunificazione. Questo derby unico mise di fronte due squadre che per oltre mezzo secolo hanno condiviso una città ma non un Paese, in una capitale divisa, troppo spesso polarizzata dall’ideologia politica e devastata da sistemi di credenze contrastanti.
Hertha e Union si sono incontrate in partite ufficiale solo quattro volte in 52 anni di esistenza fino al ritorno in Bundesliga dell’Union, frutto di una rivalità tra città divise da ideali politici discordanti, e anni di una città lacerata da feroci oscillazioni dello spettro politico.
Mentre Hertha-Union è ancora considerato il principale derby di Berlino, nel periodo in cui il muro era alzato, la rivalità più feroce a Berlino era tra Union e Dynamo, oggi nota come Berliner FC Dynamo (BFC). La Dynamo era la squadra della Stasi, la squadra di Berlino Est e la squadra del partito. Il suo più grande tifoso era il capo della polizia Erich Mielke, un uomo con un potere quasi totale in Germania Est.
Durante gli anni ’70, la migliore squadra della Germania dell’Est era la Dynamo Dresda, che aveva vinto cinque titoli dell’Oberliga, così Mielke costrinse i suoi giocatori a trasferirsi nella capitale e trasformò la BFC Dynamo in una squadra di successo. La compagine vinse 10 titoli di Oberliga. Che le società o i calciatori fossero d’accordo o meno, non era importante: Mielke aveva il potere di portare a Berlino i migliori giocatori della Germania dell’Est. L’influenza di Mielke ha anche portato a una fama di corruzione per la BFC. Gli arbitri venivano corrotti e la squadra vinceva spesso con un rigore allo scadere. I tifosi avversari lasciavano spesso lo stadio 10 minuti prima della fine nel tentativo di sfuggire all’inevitabile scandali.
I tifosi dell’Union disprezzavano il regime comunista e gli infiltrati della Stasi. La loro etica anti-establishment derivava dall’odio feroce per il BFC e per tutto ciò che rappresentava: una rappresaglia contro l’establishment che li ha rinchiusi lontano dall’Occidente. Non solo la BFC ebbe successo, ma la sua ideologia era ciò che aveva diviso la loro città, e la squadra di calcio era l’incarnazione del regime. Questa rivalità si basava interamente sulla divisione politica, un esempio di come il braccio venoso della politica a Berlino si inseriva in maniera così radicale nel calcio.
La Dynamo gioca attualmente in Regionalliga Nordost, quarto livello del calcio tedesco, e la sua storia di successi è legata indissolubilmente al regime che la ha finanziata. Come per tutto a Berlino, la cultura del calcio sta cambiando rapidamente. Hertha e Union sono le due grandi squadre di oggi, ma il panorama dietro di loro è in continua evoluzione.
Il numero di squadre fondate da minoranze etniche è eccezionale; ci sono club fondati da turchi, il Türkiyemspor Berlin e l’AK Berliner 07, un club ebraico, il TuS Makkabi Berlin, un club polacco, l’FC Polonia Berlin, e un club croato, lo SD Croatia Berlin. Sebbene alcuni di questi club siano stati fondati quasi cento anni fa, si aggiungono al nuovo volto di Berlino, definito dalle diverse etnie di una città un tempo distrutta.
La cultura calcistica di Berlino non ha eguali in Germania, apparentemente divisa e unita allo stesso tempo, dove ci sono cose più importanti del rosso contro il blu. Nessuna città è stata così lacerata nel XX secolo. Era un luogo danneggiato, le cui squadre di calcio non hanno mai avuto la possibilità di prosperare come avrebbero dovuto. Ora si sono riprese e stanno vivendo il loro apogeo.
Mentre l’amicizia tra Hertha e Union quando il Muro era in piedi è ben documentata, il futuro potrebbe riservare un diverso tipo di derby, dove le tradizionali divisioni tra destra e sinistra torneranno in gioco. Berlino potrebbe presto avere il suo grande derby, in quanto la città è pronta a conquistare il suo posto nella mappa del mondo del calcio.
Sembra che Berlino sia stata spesso usata come un giocattolo da uomini tirannici in giacca e cravatta che sventolavano una bandiera di colore diverso, che desideravano un pezzo di torta più grande, che non gli apparteneva, per affermare il loro dominio in una guerra che nessuno voleva veramente combattere. A farne le spese sono stati sempre gli abitanti della città: sono stati picchiati, perseguitati, cacciati e sfrattati, mandati in giro come un giocattolo per bambini.
Per i sovietici non era sufficiente che ci fossero confini in tutte le città. Avevano bisogno di un ostacolo permanente e inamovibile per alterare per sempre la storia di una città e di un Paese e per ingabbiare i cittadini che sentivano quella città come la loro. Quei cittadini innocenti a cui era stata negata la loro città, e spesso la loro squadra, per un quarto di secolo.
È impossibile che questo immenso tumulto non influenzi l’intera psiche della popolazione di una città. I berlinesi sono ormai un collettivo, una comunità che fa di tutto per unirsi e per riunirsi come città. Che si tratti di Union o di Hertha, la gente sembra definire sé stessa prima attraverso la propria città, e poi attraverso la propria squadra. Berlino viene prima di tutto, i colori vengono dopo.
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione