C’era una volta un gemellaggio che a pensarlo adesso non sembra vero, quello tra i tifosi della Roma e del Napoli. Ad unirli era praticamente tutto, in quei mitologici anni Ottanta che videro il calcio italiano brillare in tutto il mondo, ricco di campioni a tutte le latitudini, ricco di squadre che dominavano l’Europa, ricco economicamente e terra promessa per ogni campione che volesse dimostrare il suo valore.

Gli ultrà giallorossi e partenopei partivano da un assioma di passione che li legava. Sapevano supportare la squadra e incitarla come altre tifoserie non sapevano fare. Il Commando Ultra Curva Sud, gruppo organizzato che stava diventando leggenda, era il modello da seguire da parte di tifoserie italiane ed estere sin dalla fine degli anni Settanta: cori organizzati per tutti i novanta minuti, tifo sul modello brasiliano con fumogeni e torce, tamburi ad accompagnare con ritmo diverso i vari momenti della partita.

Entrare all’Olimpico non era uno scherzo per nessuna squadra ospite, travolta da una marea giallorossa sia in campo che fuori. La tifoseria napoletana, ammirata, ne seguì il solco riuscendo ad emularla grazie al calore e alla passione della sua gente, grazie ai ragazzi della Curva B e ad un tifo infernale comandato dal… Commando Ultrà Curva B, un attestato di stima per il CUCS giallorosso.

Il boato dell’Olimpico e il tremore di Fuorigrotta furono l’espressione massima del tifo organizzato italiano negli anni Ottanta.

roma napoli gemellaggio

Alle affinità di tifo si unì la contrapposizione geopolitica al Nord che aveva spadroneggiato sin dagli albori del calcio italiano e ancor di più dopo la nefasta fine del Grande Torino, unica vera grandissima squadra capace di dominare ad eccezione della “triade”. Dagli anni ’50 in poi le briciole del dominio di Milan, Inter e Juventus furono raccolte sporadicamente da squadre che duravano il battito di una farfalla: ci fu il Bologna di Bulgarelli, il Cagliari di Riva, la Lazio di Chinaglia, il Torino di Pulici e Graziani, la Fiorentina di Antognoni, squadre capaci di grandi exploit ma non di durare nel tempo come reali antagoniste alle milanesi e ai bianconeri.

Il quadro cambiò negli anni Ottanta proprio quando le due tifoserie si gemellarono. Trascinate dalla Roma di Viola e Falcao, videro la possibilità di poter controbattere e sconfiggere quel “potere del Nord” rappresentato dalla Juventus dell’Avvocato e di Platini, che a loro modo di vedere “opprimeva” il Sud e comandava il calcio italiano.

Se nei primi anni di quel decennio il Napoli viveva questo gemellaggio soltanto da spettatore interessato, con l’arrivo di Maradona e la fine del ciclo giallorosso ci fu un simbolico passaggio di testimone. La rivincita del Sud, il nuovo Pulcinella che combatteva e scherzava i potenti divenne Diego Armando Maradona che assimilò questo sentimento, lo fece suo, e, da capopopolo Masaniello, trascinò il Napoli a due Scudetti sconfiggendo dapprima la stessa Juventus e poi il Milan di Berlusconi.

falcao maradona

Ecco chi era Maradona per Napoli. Uno scugnizzo come i tanti che giocavano nei vicoli. Diego nei piedi aveva la possibilità di fare tutto, nella testa la voglia di riscattare una città che viveva la frustrazione di anni di isolamento e desolazione, e che lui sentiva essere la periferia d’Italia. Napoli era il prolungamento della sua Villa Fiorito, la periferia di Buenos Aires dove era cresciuto e dove albergavano gli stessi sentimenti di abbandono.

Per intenderci, il Napoli incontrò e sconfisse ad armi pari la Juventus di Platini, il Milan mitologico di Sacchi di cui ancora si parla come una delle squadre più forti di tutti i tempi. Si tolse anche lo sfizio di mettere in fila l’Inter dei record del Trap e la Sampdoria di Vialli e Mancini; tutte squadre che adesso vincerebbero il campionato a mani basse.

Dopo la Roma di Falcao, che seppur in altra maniera e con altro stile aveva interpretato l’umore di Roma, Napoli era al centro del mondo calcistico come non mai orgogliosa e fiera, con i riflettori puntati addosso ogni domenica grazie alle gesta del suo figlio adottivo, grazie al suo D10S.

In tutto questo, le tifoserie si spalleggiarono in questa “guerra” per una decina d’anni. Combatterono a braccetto, con forti connotati di similitudine passionale, caratteriale e geopolitica. Il gemellaggio finì male per screzi tra capi ultrà e a causa di un trasferimento mal digerito dalla tifoseria romanista: quello di Bruno Giordano. Al passaggio al Napoli dell’odiatissimo simbolo della Lazio seguì poi il gesto dell’ombrello di Bagni nel 1987 sotto la Curva Sud. Due episodi che hanno forse fornito il pretesto ai tifosi romanisti di spezzare questo filo ideologico che aveva accompagnato la Roma prima e il Napoli poi nel primeggiare in Italia.

Al tempo d’oggi sembra assurdo pensare che romanisti e napoletani fossero gemellati. L’astio maturato negli anni a seguire vieta addirittura le trasferte perché giudicate troppo pericolose ma, proprio in quei meravigliosi anni Ottanta, ci furono due protagonisti che divennero grandi amici anche fuori dal campo: Maradona e Bruno Conti.

Proprio Bruno Conti, il funambolico “Marazico” del Mundial 82, ha rappresentato la Roma nel rendere omaggio al suo amico Diego (che tentò in tutti i modi di portarlo a Napoli senza successo), depositando una corona di fiori giallorossa nei Quartieri Spagnoli in occasione dello scorso Napoli-Roma.

Un gesto che forse non ha addolcito i rapporti tra due tifoserie arrivate quasi ad odiarsi, ma che resta un segnale importante. Un modo per far ricordare a tutti che in un tempo magico Roma e Napoli hanno combattuto insieme, contrastando come nessuna altra squadra aveva fatto, “il potere del Nord” per oltre un decennio.