Elenchiamo i giocatori con maggior talento nella storia: Pelè, Maradona, Platini, Zico, Baggio, Rivera, Ronaldinho, Totti, Del Piero… soltanto per citarne una minima parte. Giocatori incredibilmente differenti tra loro, nelle epoche e nel modo di giocare, ma uniti però dal talento cristallino e da una maglia che è icona di talento riconosciuto, da compagni e avversari.
Le rare eccezioni si contano sulle dita di una mano: la maglia numero 7 al Manchester United, ad esempio, che ha la valenza della 10 per i Red Devils data l’incredibile concomitanza di talenti che l’hanno vestita, a partire da George Best, passando per Beckham fino ad arrivare a Cristiano Ronaldo.
Tra i giocatori più forti della storia, l’unico grandissimo a non aver fisicamente vestito il numero 10 è stato Johan Cruijff che, anticonformista, ha reso leggendaria la numero 14, maglia da centro-panchinaro di riserva che dopo di lui è diventata decisamente più affascinante.
Il mito della maglia numero 10 assegnata al giocatore con maggiore talento non può non derivare ovviamente dai mitici Mondiali di Svezia del 1958 e dall’esplosione del primo “fenomeno” della storia del calcio: Edson Arantes do Nascimento, noto a tutti come Pelè.
La casualità è spesso parte del mito e, come raccontato per la 14 di Cruijff, la mitologia del 10 e la nascita della sua epica simbologia è frutto di una concomitanza di fattori del tutto fortuiti. Il piccolo Pelè arrivò in Svezia da perfetto sconosciuto. Intendiamoci, in patria era già un portento, ma all’epoca YouTube era fantascienza e i giocatori che giocavano dall’altra parte del globo non arrivavano in tutto il mondo.
In Europa Pelè era un ragazzino che faceva qualche magia con il pallone, giovane virgulto di una Seleçao che annoverava tra le stelle conclamate altri nomi quali Garrincha, Didi o Vava. Il caso volle che quel Brasile così ricco di talenti dimenticasse di comunicare i numeri ufficiali al momento dell’iscrizione al Mondiale. Altri tempi, quasi embrionali a pensarci adesso.
Un addetto della delegazione, avvertito del disguido che poteva costare molto caro, buttò giù i numeri e poi andò a memoria per compilare la lista nel più breve tempo possibile. Fu così che Gilmar, il portiere, si ritrovò la numero 3 sulle spalle, Garrincha l’11 e Didi, che con Pelè e Vava formò il mortifero tridente che asfaltò tutte le squadre compresa la Svezia in finale, giocò tutta la competizione con un anonimo numero 6 sulle spalle.
Il giovane Pelè fu ricordato e dunque “segnato” per decimo e l’assegnazione della 10 avvenne in maniera automatica. Il giovane diciassettenne non si curò di certo del numero che aveva dietro la schiena, ma i numeri che fece in campo furono tanti e tali durante l’intera competizione da farlo diventare un autentica star planetaria.
“O’Rei” decise di non abbandonare più quel numero di maglia che divenne istantaneamente simbolo di talento, di classe, di tutto quello che significa fino ad oggi. La dimensione della grandezza del brasiliano può essere condensata in quello che il suo numero di maglia è diventato.
Simbolo di mito e leggenda in tutte le squadre del mondo, il fascino di quel numero, dal 1958 ad oggi, resta immutato.

Il calcio è la mia passione in ogni sua sfaccettatura: ho giocato tanto, ho allenato altrettanto e adesso mi piace raccontarlo.