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I fratelli Starostin, Aleksandr, Andrej, Pëtr e Nikolaj, sono nati tra il 1902 e il 1909 a Mosca da Peter Ivanovich Starostin, cacciatore delle tenute imperiali e Alexandra Stepanovna, contadina. Grandi appassionati di calcio, la loro storia è legata a quella dello Spartak Mosca, una delle squadre più vincenti della storia del calcio russo.

Le squadre di Stato

Nella Russia diventata Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, le quattro squadre di calcio più importanti di Mosca erano controllate dallo Stato. Il Lokomotiv Mosca apparteneva al Ministero della Ferrovia. Ancora oggi, infatti, davanti allo stadio della squadra, c’è un vecchio modello di locomotiva. La Torpedo Mosca era controllata dalla Zil, la fabbrica automobilistica di Stato. La Cdka (oggi Cska) era il club dell’Armata Rossa mentre la Dinamo Mosca faceva capo al Ministero degli Interni e, in particolare, ai servizi segreti. 

Dal Moscow Sports Club alla Krasnaja Presnja 

Nel 1921 Nikolaj Starostin fu invitato a dirigere la piccola squadra di calcio del Moscow Sports Club, in seguito ribattezzata Krasnaja Presnja (la “Rossa Presnja”) come il quartiere operaio fucina della rivoluzione a Mosca. Presto divenne molto di più di una semplice squadra di quartiere, distinguendosi in numerose competizioni e gare. A tal punto che il poeta e scrittore russo Vladimir Majakovskij le dedicò i suoi versi: «In Russia anche a crepare squadra migliore della Krasnaja Presnja non puoi trovare».

Nasce lo Spartak Mosca

Nel 1926 Nikolaj riuscì a trovare uno sponsor: l’Unione dei lavoratori del settore alimentare. Nove anni più tardi nacque una polisportiva di dimensioni simili a quella delle più importanti squadre di Mosca, sotto l’egida del Komsomol e del Ministero del Commercio: lo Spartak Mosca. Indipendente, proletaria e rivoluzionaria nel Paese della Rivoluzione, questa squadra era destinata a diventare leggenda. Il club professionistico prese il nome da Spartaco, il celebre gladiatore trace che guidò l’epica rivolta degli schiavi contro Roma. Anche lo Spartak era il simbolo di una rivolta, essendo l’unica squadra sovietica di natura proletaria, seguita da comuni lavoratori e non dai rappresentanti dell’esercito o di altre strutture statali.

Le vittorie della squadra del popolo

La “squadra del popolo”, così chiamata perché rappresentava l’uomo comune, i giovani e gli spiriti liberi, aveva il suo motto: Audacia, Fedeltà, Assalto e Vittoria. Lo Spartak si fece portatore di proposte rivoluzionarie per l’epoca, sia dal punto di vista tecnico, introducendo in Russia il “sistema” di origine britannico, sia dal punto di vista della gestione manageriale della società. Arrivò ad attaccare persino il dogma del dilettantismo, regola d’oro dello sport sovietico. 
Tutti e quattro i fratelli Starostin ne divennero giocatori e Nikolaj ne fu anche l’allenatore, seguendone tutti gli aspetti organizzativi. Grazie alla presenza di calciatori di talento, la squadra si aggiudicò diversi tornei, vincendo ripetutamente contro club “ministeriali” dell’Urss. Nel 1937 lo Spartak vinse trionfalmente il torneo di calcio alle III Olimpiadi estive dei lavoratori, ad Anversa, in Belgio, e i suoi atleti furono premiati nel corso dello spettacolo preferito da Stalin: la parata della cultura fisica sulla Piazza Rossa. 

Il gulag e i 10 anni di lavori forzati

Nell’ottobre del 1943 Lavrentij Berija, membro di spicco del Ministero degli Interni, capo della polizia segreta sovietica e “presidente” della Dinamo di Mosca, fece arrestare e condannare a 10 anni di lavori forzati i fratelli Starostin, colpevoli del successo e di avere troppe volte sconfitto la Dinamo in campionato. L’accusa ufficiale era l’aver disputato numerose gare in Paesi capitalistici. L’Nkvd, il Commissariato del popolo per gli affari interni, riteneva, infatti, sospetto qualsiasi contatto del popolo sovietico con gli stranieri.
Anche la stampa si schierò contro i giocatori dello Spartak, accusandoli di aver speso i soldi del popolo, raccolti attraverso pagamenti volontari dai membri della loro società sportiva, per andare in Occidente. “Dobbiamo fare pulizia nelle società sportive, e in particolare nello Spartak, liberarle dai degenerati borghesi, dagli sporchi affaristi che mettono le mani nelle tasche della gente”, scrisse il quotidiano “Komsomolskaja Pravda”.
Iniziò, quindi, un’ondata di arresti nell’entourage degli Starostin. Nelle loro memorie hanno raccontato che vissero un anno e mezzo tra interrogatori e torture da parte degli inquirenti che tentarono in tutti i modi di estorcere loro confessioni sulla cospirazione anti sovietica. Alla fine confinarono Nikolaj in un gulag in Siberia, con l’accusa di complotto contro lo stesso Stalin.

Gli Starostin sopravvivono ai lager

I fratelli furono condotti in campi di prigionia diversi ma fortunatamente riuscirono a sfuggire al plotone di esecuzione. Tutti, ad eccezione di Nikolaj, furono costretti a lavori forzati. Pjotr ha ricordato l’inverno del 1944 come uno dei periodi più difficili dell’intero periodo della sua prigionia: “L’ordine staliniano era in vigore: chi si rifiutava di lavorare doveva essere ucciso. Andavamo avanti, ma molti cadevano per strada senza vita. Il numero di morti dove ero io raggiunse le 40 persone al giorno”.
Il fatto di essere un calciatore era il miglior certificato di sicurezza”, racconterà Nikolaj, che fu nominato allenatore della squadra del campo e inviato in Estremo Oriente, ironia della sorte, per allenare l’appena fondata “Dinamo” della città di KomsomolsknaAmure. In seguito gli consentirono di vivere fuori dal campo e di far arrivare la propria famiglia.

Il figlio di Stalin salva Nikolaj Starostin

Fu Vasilij, il figlio di Stalin, grande promotore di attività sportive, a riconoscere come ingiusta la prigionia di Nikolaj. Si adoperò per riabilitarlo attraverso un lavoro in fabbrica che gli consentiva, per ogni giornata di quota di produzione raggiunta, di veder ridotti due giorni di prigione. Dopo due anni il campione uscì dal campo di prigionia e Vasilij gli affidò la squadra di calcio dell’aeronautica militare russa: la VVS Mosca. L’allenatore giunse a Mosca ma l’autorizzazione di residenza fu presto annullata. Vasilij accolse persino il talentuoso allenatore nella sua residenza. Nelle sue memorie Nikolaj descriverà il periodo della sua vita accanto al figlio di un tiranno. “Andavamo insieme al quartier generale, ai corsi di formazione, alla dacia. Capitò persino di dover dormire nello stesso ampio letto. E Vasilij si addormentava sempre mettendo una pistola sotto il cuscino!”, scriverà Nikolaj nel suo libro autobiografico Futbol skvoz’ gody (Il calcio attraverso gli anni).

Esilio in Asia e rientro in patria

Nikolaj Starostin fu nuovamente arrestato dalle autorità ed espulso durante un’assenza da Mosca del giovane Stalin che, al suo rientro, lo riportò nella capitale. Dopo poco fu esiliato in Kazakistan per violazione dei permessi di soggiorno interni, divenendo allenatore della Dinamo Alma Atà e della Lokomotiv Alma Atà. Solo dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, i fratelli tornarono a Mosca. Nel 1955 riassunse la presidenza dello Spartak, che mantenne fino al 1996, anno della sua morte. Dopo il crollo dell’Urss, prese parte alla creazione della Lega di calcio professionistica russa. 

I fratelli Starostin tornano al calcio

Pjotr fu l’unico a non rientrare nel mondo del calcio e lavorò come ingegnere. La vita nel gulag aveva seriamente danneggiato la sua salute. Aveva una grave forma di tubercolosi e, a causa del congelamento, gli fu amputata una gamba. Andrej divenne dirigente della nazionale sovietica e Aleksandr fu a capo della Federcalcio della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Dal 1996 una via prende il nome dal maggiore dei fratelli, Nikolaj Starostin, a Mosca. A lui è dedicato anche il murale situato nella parte orientale della città, tra i quartieri di Novokosinó e Kosinó-Ukhtómskije. Nel 2014 è stato realizzato un monumento che ricorda i fratelli Starostin presso il nuovo stadio dell’FC Spartak Mosca.

Murale di Nikolaj Starostin sulla via a lui intitolata a Mosca – foto dal web

Calcio: esempio di coraggio 

Ancora oggi i tifosi dello Spartak Mosca continuano ad amare i fratelli Starostin. Il loro sogno si è avverato. La squadra vince e rappresenta «un elemento unificante per le popolazioni di etnia russa al di là dei confini nazionali», come scrive Mario Alessandro Curletto – docente di lingua e cultura russa presso l’Università di Genova – nel suo libro “Spartak Mosca – Storie di calcio e potere nell’URSS di Stalin”, edito da Il melangolo nel 2005 e ripubblicato da fila37 dieci anni dopo.
La storia dei fratelli Starostin è la storia vera di una passione collettiva, divenuta lo strumento della lotta per l’emancipazione dalla dittatura. La loro vita incarna la forza di un pensiero universale, che sopravvive non solo alle persone ma anche alle ideologie. Superandole.

Copertina del libro di Mario Alessandro Curletto: Spartak Mosca – Storie di calcio e potere nell’URSS di Stalin