L’allenatore del Bayern Monaco Julian Nagelsmann ha le idee chiare nonostante le età: la sua idea di dotare i calciatori, almeno il regista della squadra, di un auricolare per riprendere il modello della NFL è lungimirante e potrebbe essere rivoluzionaria. Il calcio è in chiara crisi d’identità.
Un prodotto che ha funzionato per 100 anni con poche innovazioni adesso viene ribaltato dalla voglia di tecnologia e da idee spesso strampalate per renderlo “al passo con i tempi”, per dargli maggior appeal o semplicemente per il gusto di cambiare.
Nagelsmann, allenatore prodigio capace di esordire alla guida dell’Hoffenheim a soli 28 anni, non usa mezzi termini ed è chiaramente a favore di un’idea che rivoluzionerebbe totalmente il metodo di allenare, con la possibilità di mandare dettami e schemi direttamente nell’orecchio di uno o più giocatori.
“Il calcio deve smettere di nascondersi dietro la tradizione e rivoluzionarsi. Il football americano è molto più avanzato del calcio. Il quarterback è dotato di un auricolare per ascoltare il suo allenatore. È qualcosa di cui avremmo assolutamente bisogno anche noi”.
Un sistema che negli USA è già in voga quindi, ma in uno sport estremamente più complesso, più nutrito a livello di giocatori in campo e ricco di soluzioni che nascono dal piede e si accentrano sulla figura del “quarterback”, che ha necessità di un aiuto per poter prendere la scelta giusta.
Il calcio è chiaramente un’altra cosa, non ruota intorno a un singolo che fa muovere la squadra e dare indicazioni è più facile. La “febbre del cambiamento” sta tuttavia investendo la Dea Eupalla in tutti i suoi settori. Il VAR è stata la prima rivoluzione di un processo tutt’ora in atto che vorrebbe il Mondiale ogni due anni, le cinque sostituzioni che sono ormai permanenti a prescindere dal Covid, per non parlare della Super Lega con tutti gli annessi e connessi e tante altre piccole grandi migliorie che ne stanno trasformando la natura.
Premesso che tutte le cose nascono, vivono e sono destinate a spegnersi più o meno lentamente, e il calcio non fa eccezione alla regola, il sabotaggio ad opera di quello che resta “il gioco più bello del mondo” è ormai prassi. La forza di questo sport, la presa che ha avuto tra persone di ogni età, non è solo un retaggio culturale o una passione che si passa di padre in figlio.
La sua forza è stata la sua semplicità di comprensione anche ad alti livelli che rendeva possibile l’emulazione di una partita tra professionisti anche tra bambini, che potevano imitare i loro campioni anche su un prato con due zaini a far da porta. Senza differenze. Il distacco tra i “professionisti con la tecnologia e i loro potenti mezzi” e il resto di chi pratica questo sport, se va bene lo renderà uno sport come un altro, se va male ne sancirà la fine.

Il calcio è la mia passione in ogni sua sfaccettatura: ho giocato tanto, ho allenato altrettanto e adesso mi piace raccontarlo.