Folta chioma con capelli lunghi ben oltre le spalle, fisico robusto e occhio malupino: così si presentò Renato Portaluppi alla Roma. Era noto anche come Renato Gaúcho, classico soprannome di coloro che provengono dallo stato di Rio Grande do Sul.
Giocava con i calzettoni abbassati “perché così chi mi deve marcare capisce che non ho paura di niente”. Ala destra purosangue, sfruttava le lunghe leve ed amava dribblare. Fin troppo, visto che era poco avvezzo ai rigorosi schemi del calcio italiano. Frequenti furono gli alterchi con avversari, compagni, allenatori e direttori di gara.
La sua carriera iniziò con il botto. Approdato al Gremio, squadra di Porto Alegre, città più famosa dello stato, vinse Copa Libertadores e Intercontinentale al primo colpo. In quest’ultimo torneo la sua squadra annientò l’Amburgo di Magath. In quel match segnò le due reti del Gremio: il primo in serpentina, il secondo di testa. Le reti e la prestazione gli valsero il premio come miglior giocatore della partita. Il premio fu una Toyota.
Dopo aver collezionato tanti trionfi nazionali con il Gremio, si trasferì a Rio per giocare nel Flamengo. Con il Fla conquistò la Bola de Ouro, il riconoscimento riservato al miglior giocatore del campionato brasiliano. A 26 anni era oramai considerato come uno dei migliori calciatori di tutto il Brasile. Era ora di fare il grande passo verso l’Europa. Ad accaparrarselo fu la Roma di Dino Viola, che investì quasi 4,5 miliardi del vecchio conio.
Quando quel 29 giugno 1988 Renato Portaluppì atterrò a Roma, Bruno Conti fu travolto da sensazioni troppo positive, rivelatesi quindi sbagliate.
“Vedendolo atterrare pensammo: qui è arrivato un fenomeno. Si parlava di Renato Portaluppi come di un giocatore straordinario e quell’arrivo in elicottero fece clamore. Infatti un po’ tutti dissero: è arrivato uno che trascinerà la Roma, un grande campione“.
Dino Viola esagerò, reputandolo più forte di Gullit e paragonandolo addirittura a Maradona. Con il Pibe de Oro aveva in comune solo la passione per la bella vita e le belle donne. A Roma il brasiliano non mise in mostra neanche il 20% delle qualità fatte vedere nella sua terra. Ed elogi arrivarono anche dal Barone Nils Liedholm (“Pelé Bianco”) mentre il Guerin Sportivo gli dedicò la copertina “Re Nato”. Lui stesso era dotato di grande autostima. Basti pensare che qualche anno fa ha affermato che il suo talento era superiore a quello di CR7.
Nel 4-3-3 iniziale, Liedholm gli diede fiducia facendolo giocare nel reparto offensivo assieme a Völler e Rizzitelli. Con quello schieramento, troppo sbilanciato, la Roma subiva troppi gol e il tecnico passò al 4-4-2. Dopo averlo provato prima come seconda punta e poi come ala, Liedholm si spazientì e gli preferì Massaro dopo poche giornate di campionato. Renato fu protagonista in Coppa UEFA segnando contro il Norimberga e garantendo il passaggio del turno ai giallorossi. Eppure in quella partita si fece espellere.
L’ex Gremio e Flamengo chiuse la stagione con 4 reti totali, di cui 3 in Coppa Italia e 0 in campionato. Il passo da fuoriclasse a bidone fu breve. Il tutto esemplificato da uno striscione dei tifosi della Roma: “A’ Renato, ridacce Cochi”. E il Gaucho non fece nulla per scrollarsi di dosso questa etichetta. Litigò con Giannini e Massaro, venendo alle mani con quest’ultimo.
Nonostante fosse evidente che il principale responsabile fosse lui, il brasiliano si scagliò contro i compagni.
“Alla Roma mi ha rovinato Giannini. Mi si è messo contro. In Serie A ci sono calciatori che tecnicamente non giocherebbero neanche nella B brasiliana. Perché non si è visto il vero Renato in Italia? Chiedetelo a Massaro e a Giannini che non mi passavano mai la palla. Come potevo mettermi in evidenza se ero escluso dal gioco? A questi due elementi aggiungerei il Presidente Viola che non mi ha mai difeso“.
Il vero motivo era ravvisabile nella scarsa professionalità mostrata. In Brasile bastava il talento. In Italia non era nulla senza controllo, come affermava una nota pubblicità. Potevi permetterti di darti alla dolce vita solo se avevi un talento smisurato come quello di Maradona.
A riguardo, è lo stesso brasiliano a raccontare qualche aneddoto. “Ho posseduto almeno mille donne. Una volta alla fine di un allenamento a San Paolo mi si è avvicinata una fotomodella. Eravamo ancora sul campo e mi disse: ‘Ti voglio qui, adesso, proprio dove c’è la panchina’. I compagni erano già andati negli spogliatoi, non c’erano giornalisti. Non ho potuto rifiutare…Oltre a quella volta ho fatto l’amore al Maracanã e nella toilette dell’aereo che mi portava a Roma“.
A Roma ha frequentato i locali più esclusivi e lo ha fatto spesso anche durante la settimana. Donnaiolo incallito, all’arrivo a Roma dichiarò: “Più che i terzini, dovranno essere le loro mogli a stare attente a me”. Vestito con abiti griffati, impomatato e profumato ha rubato tanti cuori. Ha fatto impazzire tante donne e quasi nessun avversario. Agli allenamenti sovente si è presentato ubriaco e/o con pochissime ore di sonno.
Renato è stato un bidone a Roma, ma il suo flop esula da motivazioni tecniche. Nella patria del futebol bailado ha potuto condurre questo stile di vita scanzonato e bohémien, senza ripercussioni sull’aspetto tecnico. In Italia si è presentato da spaccone, autoincensandosi per le sue doti da calciatore e da latin lover. Ha messo in pratica solo le seconde…
Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione