Marcel Desailly è il prototipo del centrocampista moderno, nonché uno dei calciatori precursori di una Francia che fondava la sua qualità sulla multietnicità.
Nato da genitori ghanesi, il nome e il cognome di battesimo erano Odenke Abbey. Acquisì nomi francesi quando la madre convolò a nozze con il console francese ad Accra, quando Odenke aveva solo 4 anni.
Gli anni calcistici di Marcel Desailly sono stati floridi. Parliamo di un capitano della Francia e una star la cui carriera calcistica lo ha visto giocare per alcune delle più grandi squadre del mondo. Marsiglia, Milan e Chelsea hanno goduto delle sue solide performance. Desailly è diventato il re indiscusso del ruolo di centrocampista difensivo, e ha giocato con eguale successo anche al centro della difesa, ruolo ricoperto in età avanzata.
Fatto salvo per qualche chilo in più guadagnato – inevitabile per un uomo che compie oggi 52 anni – ha ancora un’aria di invincibilità intorno a sé, come un gladiatore che non conosce la paura. Quell’aria di invincibilità che aveva sin da ragazzino, quando iniziò il suo percorso nelle giovanili del Nantes. Nel vivaio canarino militava uno dei calciatori che avrebbero fatto la storia del calcio francese. Parliamo di Didier Deschamps, vincitore del Mondiale 1998 da calciatore e di quello del 2018 da allenatore.
Il legame tra i due si rafforzò ulteriormente quando la dirigenza del Nantes diede al giovane Didier la consegna di comunicare a Marcel la tragica dipartita del fratello Seth in un incidente stradale. Seth Odonkor era una colonna del Nantes e il modello del giovane Odenke-Marcel. I due erano molto simili a livello fisico, temperamentale e di stile di gioco. Da quel momento il legame tra i due assunse connotati diversi, quelli di un’amicizia che «va ben al di là del campo».

Dopo sei anni con la maglia dei canarini, Desailly fece il grande salto al Marsiglia, dove ritrovò il forte compagno di squadra Eydelie. Già da giovanissimo, divenne il fulcro del Nantes, mostrando una personalità fuori dall’ordinario, unita alle note doti fisiche. Arrivarono offerte di Monaco e Marsiglia, ma il franco-ghanese scelse i marsigliesi.
«Nantes era diventata troppo piccola per me. Volevo andare al Marsiglia, ma tutta la famiglia mi diceva di andare al Monaco perché garantivano uno stipendio enorme. Ma io dissi di no: ero ambizioso, non era solo una questione di soldi».
Nel periodo marsigliese, Desailly si forgiò come difensore centrale, ruolo che avrebbe ricoperto a distanza di anni. Roccioso, strutturato, tecnico, intelligente: oramai era diventato il prototipo del calciatore difensivo moderno. La coppia con Basile Boli era praticamente impenetrabile: «Basile era più goffo di me in campo con la palla tra i piedi, ma era molto più tosto. Per me era un modello per come cercava sempre di essere migliore del giocatore che doveva marcare».
L’esperienza francese fu breve, ma molto intensa. Quel Marsiglia era la squadra più forte di Francia e vantava calciatori di primo livello, sia locali che stranieri. In quelle due stagioni nella città più grande della Francia meridionale, Desailly consolidò la crescita, affermandosi oramai tra i più forti calciatori difensivi al mondo. All’epoca aveva solo 24 anni e riuscì a conquistare la Champions League con quella squadra giovane e terribile, capitanata dall’inseparabile amico Deschamps.
La stagione successiva arrivò la chiamata del Milan, squadra sconfitta proprio dal Marsiglia in finale. E dire che Ariedo Braida aveva visionato Alen Bokšić, obiettivo primario, ma rimase stregato da quel possentissimo calciatore di origini ghanesi. Quando Boban si infortunò, la dirigenza rossonera decise di virare su Desailly.

Mai scelta fu più azzeccata. Fu proprio in rossonero che divenne un nome di spicco al livello internazionale. All’epoca il campionato italiano era considerato il più difficile e competitivo al mondo. Desailly si ritrovò teletrasportato in un mondo completamente diverso.
Ricorda il cambiamento mozzafiato: «L’organizzazione, lo stadio, 82.000 persone a San Siro per ogni partita, Milanello, il campo di allenamento, il cibo, poi Milano è la città della moda del mondo: l’esposizione internazionale che ho vissuto, è un mondo diverso. E poi i soldi: il mio stipendio salì di quattro volte rispetto a quello che guadagnavo a Marsiglia».
«Davanti a me per i tre posti da straniero c’erano van Basten, Boban, Savicevic, Raducioiu, Laudrup e pure Papin, che era Pallone d’Oro. Insomma, ero l’ultimo. Capello mi mandò in campo perché diceva che mi allenavo bene. E mi lasciava tirare pure i calci di punizione, non una grande idea. Penso di essere arrivato al momento giusto».
Alla prima stagione, conquistò lo scudetto e divenne il primo calciatore a vincere due coppe dei campioni consecutivi. Alla fine della sua avventura, Fabio Capello gli ricordò: «Quando sei arrivato, non sapevo chi fossi, ma la prima settimana di allenamento che hai giocato con noi, non ho avuto altra scelta che metterti in prima squadra».
Desailly giocava in posizione bassa a centrocampo, fungendo da vero e proprio schermo, ma non rimanendo certo impalato a contrastare. Quel gol in finale di Champions League contro il Barcellona è un manifesto del suo gioco e del suo dominio atletico. E il franco-ghanese era anche dotato di qualità di impostazione di alto livello, dando brio a un ruolo in passato troppo confinato a consegne interdittive. «In Francia ho segnato pochissimo perché giocavo più per la difesa. Quando sono venuto in Italia mi è stato chiesto di aiutare Papin e Savicevic. Negli allenamenti ho scoperto di avere delle qualità».
A Capello va dato l’enorme merito di aver coniugato le sue abilità difensive con quelle di inserimento e dinamismo. In rossonero vinse quasi tutto e negli ultimi anni della sua carriera, dove preferì il Chelsea allo United, ritornò alla posizione di difensore centrale. Un difensore-centrocampista, capace di coniugare spada e fioretto, è raro come un diamante grezzo. Ed era ancora più raro oltre 20 anni fa. Nel 1998, vinse poi il Mondiale da protagonista, affermandosi tra i migliori calciatori della rassegna iridata.
A dimostrazione della grandezza di Marcel Desailly, il calciatore franco-ghanese è stato inserito nelle Hall of Fame di tutte le squadre in cui ha militato, nonché nella Top XI di quasi tutti i Mondiali o Europei che ha disputato. Dulcis in fundo, Pelé lo ha inserito nel FIFA 100.
Riconoscimenti non a casa, che non possono non far pendere l’ago della bilancia per l’inserimento di Marcel Desailly tra i fuoriclasse del calcio mondiale. D’altronde siamo al cospetto di un calciatore che ha lasciato un segno indelebile in questo sport, ridefinendo la posizione e le caratteristiche del ruolo di mediano davanti alla difesa. Uno come lui non può non essere reputato il prototipo del centrocampista moderno: spada e fioretto allo stesso tempo, un carrarmato dagli ottimi piedi.
Vincenzo Di Maso

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione