Se per la Juventus “vincere è l’unica cosa che conta”, il Real Madrid è l’espressione di questo concetto elevato all’ennesima potenza. Florentino Perez sotto questo punto di vista non perdona e non fa sconti, neanche di fronte a Zinedine Zidane, artefice del più grande ciclo di vittorie dei Blancos dagli Anni ’50.

Sotto la sua prima guida il Real Madrid ha vinto tre Champions League consecutive (record assoluto in coabitazione con Carlo Ancelotti e Bob Paisley), due campionati spagnoli (2016-2017 e 2019-2020), due Supercoppe UEFA, due Supercoppe di Spagna e due Coppe del mondo per club.

Nonostante queste vittorie, il punto nodale della sua lettera di addio è stata la mancanza di valori da parte dei dirigenti del Real, a suo avviso pronti a metterlo alla porta dopo una sconfitta, usando i media come arma per creare conflitti e incomprensioni tra lui e lo staff.

Colpi bassi che il franco-algerino, vincente sì ma di comprovato spessore umano, si è legato al dito snocciolandoli poi in una lunga lettera pubblicata dal quotidiano AS, fonte notoriamente vicina al madridismo.

Una lettera di ringraziamento, di addio e di puntualizzazione, perché Zizou non è tipo da tenersi le cose dentro e il fuoco ribolle sotto quella maschera di pacatezza: come in campo quando era capace di ergersi sopra tutti con la sua classe per poi improvvisamente esplodere in uno scatto d’ira, tornando improvvisamente tra gli umani.

La partenza è lenta, come a dover prendere ritmo, come a doversi riscaldare nei primi dieci minuti della partita, il tono è conciliante:

“Ho accettato di tornare ad allenare il Real Madrid dopo una pausa di circa otto mesi perché me lo chiedeva il presidente Florentino Pérez ma anche perché quando ho incontrato ognuno di voi per strada ho sentito il supporto e la voglia di rivedermi con la squadra. Perché condivido i valori del Madridismo.”

Il ritmo pian piano sale Zizou incalza, motivando la sua scelta:

“Oggi le cose sono diverse. Me ne vado perché sento che la società non mi dà più la fiducia di cui ho bisogno, non mi offre il supporto per costruire qualcosa a medio o lungo termine. Conosco il calcio e conosco le esigenze di un club come il Madrid, so che quando non vinci devi andare. Ma qui una cosa molto importante è stata dimenticata: cosa ho costruito quotidianamente”.

Zizou si erge come in campo, prende possesso della partita e detta i tempi, fissando anche nella lettera la sua autostima e le sue capacità, non riconosciute e anzi, a suo modo di vedere sottostimate:

“Io sono un vincitore nato e sono stato qui per conquistare trofei, ma al di là di questo ci sono gli esseri umani, le emozioni, la vita e ho la sensazione che queste cose non siano state valorizzate. Mi sarebbe piaciuto che negli ultimi mesi il mio rapporto con la società e con il presidente fosse stato un po’ diverso da quello degli altri allenatori. Non chiedevo privilegi, ovviamente no, ma un po’ più di memoria”

Una volta presa in mano la partita, comincia a dominare la scena, e non risparmia più nessuno, chiudendo in bellezza, segnando un gol morale che ha i tratti del capolavoro, smascherando un ambiente, quello madridista, che spesso gioca più nei palazzi, nei corridoi e nelle strategie, che in campo:

“Per durare più a lungo i rapporti umani sono essenziali, sono più importanti del denaro, più importanti della fama, più importanti di tutto. Devi prenderti cura di loro. Ecco perché mi ha fatto molto male quando ho letto sulla stampa, dopo una sconfitta, mi avrebbero buttato fuori se non avessi vinto la partita successiva. Ha ferito me e tutta la squadra perché questi messaggi trapelati intenzionalmente dai media hanno creato interferenze negative con lo staff, creato dubbi e incomprensioni”.

Per Zizou è il momento di riposare, di prendersi una pausa, ma non durerà a lungo: il suo futuro non sarà in Italia, la cui unica destinazione poteva essere la Juventus fresca dell’ingaggio di Allegri.

Che la Francia stia già pensando a lui per il dopo-Deschamps?