• Tempo di lettura:16Minuti

È l’estate del 1978 nel caldo torrido di un sobborgo marsigliese e l’AS Caillolais è sotto 1-0 contro il Vivaux-Marronniers, rivale per il titolo. Solo una vittoria avrebbe assicurato il titolo di campione di Provenza, ma il fischio finale si avvicina sempre più. Improvvisamente, il tempo rallenta e si sentono delle grida non appena un calciatore emerge prepotente per sovvertire il destino.

Quel calciatore salta gli avversari come se fossero fantasmi e si ritrova davanti al portiere. Il palcoscenico è allestito per il più maestoso, artistico e drammatico epilogo fino a quando, all’ultimo momento, il cattivo entra in gioco. A pochi metri dalla gloria, il giovane viene fermato dal fischio dell’arbitro: i lacci dei suoi stivali si slacciano, la partita è finita e il capolavoro rimane incompleto.

Eric Cantona ha iniziato presto a mostrare il suo spirito ribelle in un campo da calcio. L’Eric Cantona 54enne di oggi probabilmente non cambierebbe quel momento determinante della sua infanzia nonostante le lacrime e la rabbia del dodicenne, poiché racchiude in sé la bellezza e il legame emotivo con il gioco che lo ha ispirato.

L’angosciante imperfezione, la catartica nuova genesi, la passione romantica: è difficile definire dove finisce il personaggio Cantona e dove inizia l’adorazione dei suoi fan, ma tutti questi elementi hanno dato vita a un intruglio inebriante che ha preparato e propagato per tutta la vita. A volte spontaneamente e impulsivamente, altre volte intenzionalmente. Cantona può essere considerato come una canzone degli Iron Maiden suonata con uno Stradivari. Energia e strapotere fisico serviti in pillole di raffinata e romantica eleganza.

Pochi giocatori hanno suscitato opinioni così contrastanti come Cantona e hanno lasciato un segno così indelebile nella storia delle squadre in cui ha giocato. Quando diede l’addio al Manchester United nel 1997, a 31 anni, l’effetto che la sua partenza ebbe su coloro che lo adoravano fu monumentale. Come suggerisce Philippe Auclair nella prefazione alla sua biografia del libro Cantona: Il ribelle che sarebbe stato re (2009), quell’addio ha rappresentato la fine calcistica del Cantona calciatore, forse anche il suicidio, ed è stato profondamente rimpianto.

Tre anni dopo che l’arbitro ha interrotto la sua gloriosa corsa verso il gol, si potrebbe dire che la nascita della carriera del ragazzo sia avvenuta in una partitella a livello regionale. Una performance sbalorditiva tra gli altri 35 giovani speranzosi fu notata da un osservatore dell’Association de la Jeunesse Auxerroise, compagine diventata professionista solo due anni prima. La squadra della sua città, il Marsiglia, aveva perso l’occasione di tesserarlo – a causa della mancanza di ritmo – mentre il Nizza si rese protagonista di una vera e propria taccagnata.

Pur accettando Cantona, quando quest’ultimo richiese di avere una maglietta omaggio della prima squadra, i dirigenti gli chiesero di pagarla e il ragazzo rifiutò. A quel punto, il giovane Eric si trasferì in una tranquilla e ridente città della regione vinicola della Borgogna. Si recò da solo, attratto dal calore e dall’affetto della sua prima “famiglia” calcistica e dal padrino del calcio giovanile francese, Guy Roux.

Vero e proprio guru del calcio francese, Guy Roux è stato il primo a capire l’immenso talento di Eric Cantona. In una squadra giovanile che annoverava tra le propria fila anche Roger e Basile Boli, quell’Auxerre faceva a pezzi i pari età. Essere lontano da casa avrebbe dovuto rappresentare una sfida difficile per un ragazzo di 14 anni, ma Cantona ha fatto leva cameratismo dei suoi nuovi fratelli concedendosi visite in locali notturni e “rally” con auto di seconda mano a buon mercato.

Un anno dopo l’arrivo di Cantona, la squadra giovanile conquistò la Coupé Gambardella – la Coppa dei Giovani di Francia – e il focoso calciatore marsigliese, due anni più giovane rispetto all’età limite, segnò un gol decisivo contro la Bulgaria per la Francia under 17. Un progresso così rapido fu dovuto alla sua fenomenale crescita atletica e alla fiducia ripagata in lui e nei suoi coetanei da Roux, che decise di farli confrontare con il rude mondo della terza divisione francese. Cimentarsi al di fuori della propria “confort zone” ha rappresentato una sfida che ha sempre stimolato Cantona, e che lo ha fatto entrare nei cuori di milioni di persone nel corso della sua carriera. Le sue battaglie con la stampa inglese nel corso della sua carriera, che demonizzava il suo atteggiamento e la sua raison d’être, avrebbero racchiuso la sua personale insularità all’interno delle sue manifestazioni d’affetto molto pubbliche.

Questo bizzarro rapporto tra la sua personalità esteriore e quella interiore ha sconcertato la maggior parte delle persone nel corso della sua vita. Pochi, se non nessuno, hanno imparato l’arte di comprendere l’incomprensibile. Sebbene qualcuno lo reputasse un sobillatore di folle e un cattivo esempio per i compagni, fuori dal campo, Cantona era piuttosto tranquillo, in quanto amava recarsi al cinema o fare passeggiate in campagna. Lo stesso uomo che arrivavò a un ricevimento civile del Manchester United in una giacca di flanella bianca e pantaloni casual si sedeva tranquillamente in un angolo del pub nel bel mezzo di una sessione di “team building”, scusandosi e rimanendo con i compagni.

Eric Cantona con Sir Alex Ferguson

Tutte queste stravaganze non dovrebbero sorprendere. In fondo, si tratta di un ragazzo la cui famiglia non ha mai vissuto in un regime ferreo. Suo nonno era un partigiano catalano le cui ferite nella Guerra Civile lo costrinsero a cercare assistenza medica attraverso i Pirenei, mentre suo padre Alberto era un pittore, che nutriva un ardente desiderio di esprimere le sue passioni. Con due fratelli in una famiglia numerosa, la competizione è sempre stata un aspetto naturale della sua educazione, ma la vera competizione non era tanto con gli altri, quanto con sé stesso. Quando si trovava di fronte una scelta logica, Cantona amava scegliere il contrario, se non altro per mettersi in gioco.

«Mi piaceva sorprendere le folle. Ogni volta, in ogni partita ho cercato di offrire loro un regalo. A volte non funzionava, ma quando funzionava… ma dovevo prima sorprendere me stesso, correre un rischio. Sapete, a volte dipende dai limiti che vi ponete».

Questo breve monologo è tratto dal favoloso Looking for Eric (“Il mio amico Eric”) di Ken Loach, dove ha interpretato sé stesso. Parole proferite dallo stesso Cantona, in un film che porta il suo nome, sulla ricerca dell’anima, la commedia e lo spettacolo che ha caratterizzato la sua vita.

Sul campo di calcio è stato affascinato dal grande Ajax di Johan Cruyff, che vide vincere per 2-1 allo Stade Vélodrome nel 1972. Quel che è certo è che la sua famiglia ha sostenuto il suo desiderio di eccellere – che si tratti di sua nonna Lucienne, che ha assistito a tutte le sue partite giovanili, di papà Albert che gli insegnava i grandi artisti e poeti, o solo dei suoi fratelli che erano suoi avversari nelle partite di calcio quotidiane.

Dopo che la sua carriera fu interrotta dal servizio militare e da un’infezione virale, Cantona fu mandato in prestito a 19 anni in Seconda Divisione, nel Martigues, per accumulare minutaggio e, soprattutto, per essere più vicino a Isabelle, la sorella del compagno di squadra Bernard Ferrer. Infatti, Roux si era addirittura accordato con il club per fornire un appartamento ai giovani fidanzati: tutto questo, per un talento brillante, ma che aveva giocato solo 15 partite in prima squadra. Al suo ritorno all’Auxerre, con il suo primo contratto da professionista e maggior maturità, Eric Cantona portò la squadra alla qualificazione alla Coppa UEFA con 17 gol in tutte le competizioni.

Ormai la sua fama aveva varcato i confini francesi, aiutato non poco dalla sua partecipazione agli under 21, vinti giocando un calcio d’attacco di grande impatto. La manifestazione fu trasmessa dal canale via cavo Canal Plus, che si è assicurato i diritti di trasmissione delle partite in diretta degli Espoirs, raggiungendo le luci della ribalta. La nazionale maggiore non se la passava bene dopo i fasti di qualche anno prima, pertanto le attenzioni si spostarono inevitabilmente su quella banda di ragazzini terribili.

Questo poteva significare solo una cosa per Eric Cantona. Aveva bisogno di nuovi lidi per spiegare le ali, e nell’estate del 1988, tutti i club più importanti del Paese si diedero battaglia per assicurarsene le prestazioni. Il ragazzo delle colline fuori Marsiglia fu infine richiamato a casa, in uno stadio la cui capienza era superiore a quella dell’intera popolazione della città. Bernard Tapie aveva rilevato Les Phocéens due anni prima e la sua spietata ambizione avrebbe portato prima gloria e poi pubblico ludibrio all’Olympique Marseille negli anni a venire. Nei piani c’era quella di creare una coppia formata da Eric Cantona e Jean-Pierre Papin.

Il figliol prodigo tornò a casa e fu appoggiato da Tapie, ma dopo qualche mese la folla voltò le spalle a Cantona. Il motivo? I suoi continui atti di insubordinazione. Famoso quello in cui, dopo la sostituzione nel match contro la Torpedo Mosca, gettò la maglia a terra. Una squadra per il quale Eric era cresciuto adorando funamboli come Josip Skoblar e Robert Magnusson, che si ergeva in termini sportivi come simbolo di sfida contro il resto della Francia ed era il suo primo amore, lo aveva rinnegato prima che la sua carriera potesse iniziare. Questo tradimento da parte della piazza fu imperdonabile agli occhi di Cantona.

Il ragazzo fu prestato al Bordeaux, e poi la stagione successiva a Montpellier, dove giocò con Carlos Valderrama, Kader Ferhaoui e Laurent Blanc.

Il suo ormai famigerato sfogo nei confronti del CT della nazionale Henri Michel in uno show televisivo, poche settimane dopo aver firmato per il Marsiglia, non fu certo di aiuto. Non convocato per un amichevole internazionale, ma non informato personalmente, Cantona definì Henri Michel “un sacco di merda”. Il fatto che ad aver sbagliato all’inizio non fosse stato Cantona non ebbe importanza. Quell’episodio contribuì all’immagine sempre più diffusa di una sorta diavolo della Tasmania incontrollabile, che dava più problemi di quanti ne potesse risolvere.

Cantona e Papin ai tempi del Marsiglia

Provare a domare la bestia non era la soluzione. Proteggerla, anche tollerandola con moderazione, si rivelò l’unico modo per poter beneficiare del suo rendimento in campo. Gérard Houllier, allora CT della nazionale, per un certo periodo aveva riflettuto a lungo, assistendo alle trasgressioni selvagge e alle magiche performance. Houllier è stato il primo tecnico a guardare oltre questo carattere fumantino dietro al quale si celava un uomo di estrema professionalità e grinta. È questo che ha sottolineato ad Alex Ferguson quando nel 1992 lo scozzese si era informato sulla sua disciplina.

«Chiudete gli occhi e prendetelo”, disse. “L’unica cosa a cui bisogna stare attenti è la gestione. È un bravo ragazzo che ama il suo lavoro, e ha bisogno di fiducia, non di essere preso in giro».

Molti sostengono che raramente è stato preso in giro, ma che ha creato problemi dal nulla a causa della sua volatilità. Arrivare a questa conclusione significa non vedere la vita come Cantona. Una differenza importante è stata quella che si aspetta dagli altri, e quale sia la percezione delle sue aspettative. Quando parla in modo così brillante della protezione che ha ricevuto da figure come Ferguson e Roux, lo fa perché ricorda con gioia quegli allenatori, proprio come la gioia che ha cercato di dare ai tifosi. Man mano, Eric Cantona ha provato a controllare i suoi bollenti spiriti.

Houllier ha contribuito a facilitare il suo trasferimento in Inghilterra un anno prima della telefonata con Ferguson. Il trasferimento al Nîmes lo aveva visto diventare la stella indiscussa di una squadra di medio livello, ma la sua avventura fu interrotta a causa di una reazione nei confronti dell’arbitro. Quando prese la palla e la scaraventò nei confronti del direttore di gara, uscì direttamente dal campo, consapevole che la sua carriera nel suoi Paese natale era finita.

Era arrivato a Nîmes solo grazie alle sue opinioni schiette sulla “cultura dell’imbroglio”, come la definiva lui, che si era radicata sotto Tapie. Tuttavia era chiaro che quello spicchio di Francia gli andava oramai stretto. Pascal Olmeta, suo ex compagno al Marsiglia ricorda il suo rapporto contrastante con i tifosi. “Lo veneravano, ma questa è la natura dei tifosi francesi. In Francia, un calciatore è un pezzo di carne. La gente lo mastica e poi lo sputa“.

Il figlio magnificente del Dio pallonaro d’oltralpe, Michel Platini, gli consigliò di andare Oltremanica: «Per il cinema e i disegni ci sarà tempo quando sarai vecchio, stanco e rincoglionito». Le Roi Michel caldeggiò il Liverpool, ma il giovane Eric alla fine scelse il Leeds. Quel Leeds in testa alla classifica, ma che aveva bisogno di rinforzi per il titolo. E in inverno arrivò proprio King Eric.

E dire che qualche anno prima, Trevor Francis, ex calciatore della Sampdoria, tra le altre, lo volle sottoporre a un secondo provino per lo Sheffield Wednesday. Cantona si offese per la richiesta di questo secondo provino, ricordando un po’ la famosa frase “Zlatan non fa provini”.

Con il Leeds vinse appunto il campionato, mettendo la firma con un gol leggendario nel 3-0 rifilato al Chelsea.

Segnò anche nel Charity Shield, vinto dal Leeds contro il Liverpool e, in estate, la società dello Yorkshire lo lasciò partire. La scelta scatenò la contestazione dei tifosi nei confronti della dirigenza, ma a decidere era stato King Eric, attratto dalla chiamata del Manchester United. Sir Alex Ferguson lo accolse così: “Mi chiedo se tu sia abbastanza bravo per giocare qui”. Lapidaria la risposta: “Mi chiedo se Manchester sia abbastanza per me”.

Ed è così che fece il suo ingresso al Teatro dei Sogni di Manchester, con il colletto alzato che divenne il suo marchio di fabbrica e sulle spalle un numero, il 7, che allo United ha un certo peso con sapore di leggenda. La maglia, tra gli altri, è stata indossata da Best, Robson, Beckham e Cristiano Ronaldo.

Cantona e il celebre colletto alzato

A Manchester sembrava aver trovato la sua dimensione. A Old Trafford era devastante. Il contributo alla vittoria della Premier League alla vittoria della Premier che mancava ai Red Devils da 25 anni è stato tangibile.

In Inghilterra era oramai uno showman. Vedendo una bici per strada, una volta disse: “se salgo su quella bici vinco il Tour de France”. I tifosi dello United lo hanno amato alla follia, mentre non ha perso tempo ad attirarsi le antipatie degli avversari. Eric Cantona era diventato un’icona grazie alla bellezza dei gol e al carattere mostrato. In pochissimo tempo si impose come leader carismatico dei Red Devils e fu imitato da tanti ragazzini. Il suo tirarsi su il colletto, con aria di sfida, fu emulato da tanti ragazzini per gli anni ’90.

Nei periodi trionfali al Manchester United, in momenti in cui ha perso le staffe sono stati tanti. Come nel gennaio del 1995 a Selhurst Park, i padroni di casa del Crystal Palace affrontarono il Manchester United. Cantona fu espulso per un fallaccio ai danni di Shaw, difensore del Crystal, reo di averlo provocato in varie occasioni.

Uscendo dal capo, ricoperto di insulti dei tifosi di casa, sembrava avviarsi tranquillo negli spogliatoi. Il tutto finché un certo Mattew Simmons, simpatizzante di estrema destra e noto per aver picchiato un benzinaio dello Sri Lanka, incrociò lo sguardo di King Eric, apostrofandolo “francese figlio di puttana” e sfidandolo con un “se hai le palle vieni qui bastardo”. Eppure Simmons era troppo vicino al terreno di gioco. Cantona non si fece pregare e lo colpì con un calcio volante che è entrato nella storia..

Questa scena ha fatto il giro del mondo. Pane per i denti per i tabloit inglesi, che nel contesto dell’Inghilterra finta perbenista degli anni ’90, non perse occasione per dissacrare un personaggio come Eric Cantona.

King Eric fu condannato a 120 ore di servizio sociale e squalificato per 9 mesi. Cantona organizzò una conferenza stampa pochi giorni dopo. I giornalisti si fregarono le mani, sparanzosi di poter gettarsi come degli avvoltoi sulla sua carcassa. Cantona si presentò con la testa rasata, osservandoli da sotto le sopracciglia folte proferendo frasi enigmatiche.

«Solo gli incidenti, il crimine, le guerre, ci uccideranno. Ma sfortunatamente il crimine e le guerre si moltiplicheranno. Amo il calcio. Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che delle sardine stanno per essere gettate in mare». Parole che lui stesso ammise che non avevano senso.

Il declino di King Eric fu la naturale conseguenza. Si avvicinava ai trenta anni e tornò in campo nell’ottobre del 95 con un goal ed un assist. Non era più lo stesso. Quel Manchester United vinceva ancora, perché annoverava tra le propria fila futuri campioni come Giggs, Scholes, Beckham (che ne avrebbe ereditato la maglia numero 7), Gary Neville. Portò a casa F.A. Cup e Premier League contribuendo con buone prestazioni. I tifosi dei Red Devils non smisero di dedicargli cori.

«Sono molto orgoglioso che i tifosi cantino ancora il mio nome allo stadio, ma ho paura che un domani loro si fermino. Ho paura perché lo amo. E ogni cosa che ami, hai paura di perderla».

Nel 2001 ha ricevuto il premio più importante della carriera, venendo eletto giocatore del secolo del Manchester United dai suoi tifosi, il suo popolo.

Ad appena 31 anni ha annunciato il ritiro dal calcio giocato. A fine anni ’90 giocava nella nazionale francese di Beach Soccer e compariva negli spot della Nike (famosissimo il suo “au revoire”). Qualche anno dopo partecipò al film “Il mio amico Eric” in cui interpretò se stesso nella parte dell’amico invisibile di un postino di Manchester. Nel film c’è uno scambio di battute emblematico della personalità di Cantona, quello in cui l’amico chiede ad Eric quale sia stato il suo momento più bello. Eric risponde così: «Il momento più bello di tutti è stato un passaggio. A Irwin, contro il Tottenham. Devi fidarti dei tuoi compagni, altrimenti tutto è perduto».

Un’altra delle mille sfaccettature di un personaggio più unico che raro nel mondo del calcio. Nel 2010 ha consigliato ai suoi compatrioti di ritirare tutti i soldi depositati in banca. In molti gli hanno riso dietro, lui se ne è fregato e, a distanza di qualche anno, gli hanno dato ragione.

«Fare la rivoluzione è semplicissimo. Tre milioni di persone in piazza non cambiano le cose. Se invece tre milioni di persone ritirassero i propri depositi dalle banche, il sistema crollerebbe. Senza armi e senza spargimento di sangue. Alla Spaggiari». 

Nel 2012 ha anche provato una raccolta firme per candidarsi alle presidenziali proprio per abbattere il governo delle banche e dei potenti.

Qualche anno fa, un altro personaggo sui generis e dalla fortissima personalità ha provato a spodestarlo. Il messaggio di Cantona è stato chiarissimo: si è complimentato con Zlatan Ibrahimovic per la sua carriera e per la scelta di andare allo United, ma lo ha avvertito: “A Manchester c’è un solo Re, tu però puoi essere il principe” .

Vincenzo Di Maso